Lettere in redazione

La morte in diretta televisiva

Gentile direttore, il 6 ottobre su Rai 3 è andato in onda «Chi l’ha visto», noto programma dedicato alle persone scomparse. Ad un certo punto si è trasformato in un agghiacciante reality show, un mix tra «Grande fratello» e «La vita in diretta». Solo che stavolta non si trattava di vita ma di morte. La morte in diretta poteva essere il titolo del programma. Una diretta di una mezz’ora tra lo studio centrale e la casa in cui c’era la madre della povera Sarah, con l’inviata del programma accanto a lei.

Dal momento in cui la conduttrice ha annunciato le prime indiscrezioni sul ritrovamento di un cadavere nella zona che riguardava la vicenda è stata una mezz’ora di annunci in cerca di conferme ufficiali, notizie battute da quotidiani e agenzie di stampa fino all’ultima terribile indiscrezione che lo zio di Sarah aveva confessato l’omicidio. Una diretta che si è chiusa con il rumore del pianto della cugina di Sarah che non era fra gli «inquadrati» della casa, che lasciava presagire che questa atroce notizia fosse vera, come purtroppo è stato.

Non voglio fare la morale. Ma una questione morale sì. Che senso ha tenere un collegamento in diretta con un genitore di una ragazzina scomparsa dopo averle dato la notizia del ritrovamento di un cadavere che con molta probabilità è proprio il suo? Che senso ha tenerla lì sotto i riflettori, bombardata da un ping pong di notizie in attesa di conferma? Che senso ha tenerla lì, annunciandole persino che ad uccidere Sarah è stato un suo stretto parente? Si dirà, la madre non era costretta a continuare il collegamento, cosa che la conduttrice ha più volte detto durante la diretta. Ma una madre in quelle circostanze può preoccuparsi di trovarsi in un reality?

Nel momento della notizia del ritrovamento del cadavere doveva essere lei a preoccuparsi della follia e dello squallore di vivere in diretta tv gli sviluppi di un dramma di così privato e intimo? Cosa ci voleva ad interrompere il collegamento da parte della conduttrice? Non si poteva proseguire la trasmissione senza questa mezz’ora vergognosa in cui pareva di assistere alle evoluzioni di uno spoglio elettorale dove si cerca nel viso prima che nelle parole degli interessati la reazione al dato che viene presentato? A cosa serviva la presenza della madre se non a rendere più eccitante e clamorosa la puntata? Mi ha fatto schifo, ho provato rabbia e molta amarezza. Perché anche la sacralità della vita è sacrificata di fronte ad uno share, ad un audience. Perché anche la dimensione più intima e privata della persona fa spettacolo. Perché Sarah ha dovuto subire anche questo oltre alle atrocità che l’hanno strappata alla vita. Una nazione che perde la capacità di indignarsi mi fa seriamente paura.

Ho pensato a proporre al Consiglio Comunale un atto ufficiale sulla vicenda. Ma temevo sinceramente che passasse un messaggio distorto di strumentalizzazione di quanto accaduto. E poi in fondo è un sentimento personale il mio che si riversa meglio in queste righe che Le scrivo. Che spero possano sollecitare una riflessione. Perché se anche la morte diventa un reality, in onda per di più sulla televisione pubblica, credo si debba riflettere. E trovare la forza di non lasciare la propria indignazione nel chiuso del nostro cuore.

Jacopo Cellaivicepresidente vicariodel Consiglio comunale di Firenze

E’ difficile non condividere questa riflessione e questa voglia di indignazione. Anche se poi, a mente fredda, è forse necessaria una riflessione ulteriore, che non scagiona nessuno, si badi bene, ma che cerca di capire perché si è arrivati a tanto. E qui entra in ballo anche il pubblico, magari non per colpa propria, ma per mancanza di un’educazione alla lettura e alla fruizione dei mass media. Non è un caso, ad esempio, che si parli di «reality», contrabbandando la finzione per realtà, il ciò che appare per il ciò che è. È una vecchia storia. Fatto sta che non sappiamo più distinguere il vero dal falso: l’attentato alle Torri Gemelle ci sembrava un film; «L’isola dei famosi» o il «Grande fratello» li consideriamo tv verità, il nostro «buco della serratura».

Persino la vita e la morte, in questo contesto, perdono senso. Non valgono più nulla: né l’una né l’altra. In più, per gli ascolti, per lo scoop ad ogni costo, non si guarda a nulla. Si mettono telecamere e microfoni sotto il naso a tutti, si suonano campanelli, si entra nelle case, si scava nelle macerie….

Altri «avvoltoi», nei giorni successivi, hanno fatto anche peggio della Sciarelli, che almeno ha chiesto alla madre di Sarah se voleva interrompere il collegamento. Certo non è bastato, anche perché quella trasmissione ha avuto un altro effetto devastante: quello negativo nei confronti della madre stessa, che a molti è sembrata fredda, impassibile e insensibile, proprio perché nella finzione, in quei casi, si piange a dirotto, ma nella realtà solo chi l’ha vissuto sulla propria pelle può sapere cosa passa nella testa e nel cuore di una mamma che ha perso, in quel modo, la figlia quindicenne.

Andrea Fagioli