Lettere in redazione

Perché non utilizzare gli embrioni congelati?

Ho seguito con attenzione le vostre informazioni sul referendum che, a mio parere, non è il frutto della maturità dei nostri concittadini ma il risultato di una competizione ove ha prevalso la collaudata propensione all’astensionismo per i quesiti referendari, di qualsivoglia natura, soprattutto questi che presupponevano una volontà di documentazione che ha scoraggiato tutti, preoccupati… di arrivare sani e salvi alla fine del mese.

Prima del voto anch’io certamente come altri ho provato a documentarmi con l’ausilio di testi e di medici (cattolici!) amici, che godono della mia stima. Il tutto allo scopo di dare una risposta motivata alla mia coscienza di cattolico laico che riconosce un solo dogma e ama la cultura del dubbio. L’embrione è tale nei suoi primi stadi di sviluppo dopo la fecondazione. Questo non è opinabile. Quindi alla fecondazione abbiamo il primo stadio della segmentazione dell’uovo (morula) che precede la blastula, entrambe formate da linee cellulari (4, 8, 16, etc). La blastula altro non è che uno stadio della segmentazione dell’uovo in cui i blastomeri (cellule derivate dalla segmentazione dell’uovo) sono disposte a delimitare una cavità centrale (cavità blastocistica).

Ecco allora la domanda: se è consentito l’espianto di organi allo scopo di salvare vite umane, perché la legge vieta di utilizzare morule, cioè futuri, ma non ancora embrioni soprannumerari della fecondazione assistita e li destina quindi a morte, impedendone di farne alcunché? Perché una morula che non ha alcuna forma di attività cerebrale, nessun organo funzionante, non può donare le sue cellule staminali alla ricerca per dare una speranza alla sperimentazione terapeutica e farmacologica?Francesco CalcagniniSarzana (Sp) La lettura che lei dà dell’esito del voto è semplicistica. Non credo si possa sostenere che i «sì» sono stati così pochi perché gli italiani non hanno voluto documentarsi. Chi ha tenuto incontri in giro per l’Italia può testimoniare sempre grande interesse e affluenza. Certo la materia è di per sé difficile, come dimostra anche il fatto che c’erano scienziati a favore del «sì» e altri che difendevano la legge. E come dimostra anche la sua lettera. Perché dal punto di vista della scienza non si può sostenere, come lei fa, che una cellula uovo appena fecondata non sia ancora «vita umana». Come ha spiegato anche sul nostro settimanale il prof. Vescovi – un non credente, detto per inciso – «La vita inizia all’atto della formazione del nucleo diploide dell’essere umano, che contiene l’informazione genetica che caratterizza quell’essere, con la formazione dello zigote. La vita inizia con la fecondazione e finisce con la morte». Non c’entra nulla che quella morula non abbia attività cerebrale (ovviamente… perché non ha ancora il cervello). Da quando le due cellule si fondono insieme abbiamo «un individuo umano irripetibile». Che poi sia «persona» o meno è un discorso che non compete agli scienziati. Ne riparli pure con i suoi amici medici e vedrà che le cose stanno proprio così.Detto questo, veniamo alla sua domanda. Gli organi umani possono essere espiantati solo quando è accertata la morte del donatore. Non è sufficiente che si preveda che quella persona morirà, deve essere già morta. Lo stesso vale per gli embrioni congelati: non si possono usare per esperimenti solo perché presumibilmente nessuno deciderà mai di impiantarli in un utero per farli nascere. Che poi il vero problema della sperimentazione terapeutica sulle staminali – nonostante quanto veniva ripetuto in campagna referendaria – non è quello di utilizzare quei 30 mila embrioni congelati, prodotti dissennatamente negli anni passati, grazie alla mancanza di regole, perché quelli servono a poco. Per fare esperimenti veri, come fanno negli Stati Uniti o in Inghilterra, è preferibile materiale «fresco». È meglio produrre in laboratorio nuovi embrioni e su quelli intervenire subito. E questo la legge 40, giustamente, lo vieta, anche se a qualche ricercatore – che guarda il problema solo dall’ottica del suo lavoro di ricerca – la cosa non va giù.

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Claudio Turrini