Papa in Sud Sudan: ai preti, “sostenere le lotte del popolo, asciugate le sue lacrime”
Sostenere con la preghiera davanti a Dio le lotte del popolo, attirare il perdono, amministrare la riconciliazione come canali della misericordia di Dio che rimette i peccati: è il nostro compito di intercessori!”. Lo ha esclamato il Papa, incontrando nella cattedrale di Giuba il clero del Sud Sudan

Il Papa ha citato la “pazienza” di Mosé e la sua “lotta con Dio perché non abbandoni Israele”. “Si schiera dalla parte del popolo fino alla fine, alza la mano in suo favore”, ha commentato Francesco: “Non pensa a salvarsi da solo, non vende il popolo per i propri interessi! Intercede, lotta con Dio; tiene le braccia alzate in preghiera mentre i suoi fratelli combattono a valle”. “Essere profeti, accompagnatori, intercessori, mostrare con la vita il mistero della vicinanza di Dio al suo popolo può richiedere la vita stessa”, ha osservato il Papa: “Tanti sacerdoti, religiose e religiosi sono rimasti vittime di violenze e attentati in cui hanno perso la vita”. In particolare, Francesco ha citato San Daniele Comboni, “che con i suoi fratelli missionari ha compiuto in questa terra una grande opera di evangelizzazione: egli diceva che il missionario dev’essere disposto a tutto per Cristo e per il Vangelo, e che c’è bisogno di anime ardite e generose che sappiano patire e morire per l’Africa”. “Io vorrei ringraziarvi per quello che fate in mezzo a tante prove e fatiche”, l’omaggio del Papa: “Grazie, a nome della Chiesa intera, per la vostra dedizione, il vostro coraggio, i vostri sacrifici, la vostra pazienza. Vi auguro, cari fratelli e sorelle, di essere sempre pastori e testimoni generosi, armati solo di preghiera e di carità, che docilmente si lasciano sorprendere dalla grazia di Dio e diventano strumenti di salvezza per gli altri; profeti di vicinanza che accompagnano il popolo, intercessori con le braccia alzate”.
“Per intercedere a favore del nostro popolo siamo chiamati anche noi ad alzare la voce contro l’ingiustizia e la prevaricazione, che schiacciano la gente e si servono della violenza per gestire gli affari all’ombra dei conflitti”. Ne è convinto il Papa, che incontrando nella cattedrale di Giuba il clero del Sud Sudan ha affermato: “Se vogliamo essere pastori che intercedono, non possiamo restare neutrali dinanzi al dolore provocato dalle ingiustizie e dalle violenze perché, là dove una donna o un uomo vengono feriti nei loro diritti fondamentali, Cristo è offeso. Se c’è una tentazione da cui dobbiamo guardarci, è proprio quella di lasciare le cose come stanno e non interessarci delle situazioni per paura di perdere privilegi e convenienze”. “Per liberare dal male non basta la profezia, occorre protendere le braccia ai fratelli e alle sorelle, sostenere il loro cammino”, come ha fatto Mosé che “per quarant’anni, da anziano, rimane accanto ai suoi”. “E non è stato un compito facile”, ha sottolineato Francesco: “Eppure, Mosè non si è ritirato: sempre vicino a Dio, non si è mai allontanato dai suoi”. “Anche noi abbiamo questo compito”, la consegna del Papa: “tendere le mani, rialzare i fratelli, ricordare loro che Dio è fedele alle sue promesse, esortarli ad andare avanti. Le nostre mani sono state unte di Spirito non solo per i sacri riti, ma per incoraggiare, aiutare, accompagnare le persone ad uscire da ciò che le paralizza, le chiude, le rende timorose”.
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