Opinioni & Commenti

Gay pride a Pisa: un grave errore il patrocinio di Regione e Comuni

Su Chiesa e omosessualità è da poco uscita, in «Noi famiglia & vita» di Avvenire, una bella intervista alla fiorentina Cristina Simonelli. Spiazza davvero, la presidente del coordinamento fra le teologhe italiane, nel rispondere a Luciano Moia in una chiacchierata che già dal titolo («Omosessualità? La Scrittura può essere riletta così») è invitante nella sua freschezza. Spiazza, la teologa, almeno chi su omosessualità e dintorni ricorda la fobia, la cattiveria, il disprezzo, che in tanti, dentro e fuori la Chiesa, fino a qualche tempo fa – e qualcuno perfino oggi – si era soliti usare.

Spiazza, la teologa, con tre risposte positive ad altrettante domande formulate con invidiabile chiarezza: è possibile che il mondo lgbt possa evangelizzare la Chiesa portandola a una comprensione migliore del Vangelo? È possibile che le persone omosessuali che sono parte della Chiesa, e magari del suo clero, possano fare un percorso con il resto della comunità? Questo ha a che vedere anche con le persone che non sono parte della Chiesa? «Essere disprezzati – nota Simonelli dopo aver risposto “si” alle prime due domande – ferisce comunque e dunque anche a chi non si riconosce nella Chiesa importa come ci esprimiamo nei loro confronti».

Ho questo in mente, e nel cuore, alla vigilia del Toscana Pride 2019 che sta per sfilare a Pisa. Faccio outing. Sono fra quelli che non si esaltano davanti a questo tipo di sfilate, in particolare nelle zone più folcloristiche o carnevalesche (se capisco la carica provocatoria che quelle mascherature avevano all’inizio, oggi le trovo per lo stesso mondo dei «diversi», rituali, scontate, imbarazzanti, controproducenti, umilianti, corrette nella loro apparente scorrettezza).

Sono fra quelli che si bloccano, e da posizioni non certo conservatrici, davanti al tema dell’utero in affitto e alle ipocrisie, anche lessicali, di chi nel difendere questa pratica inumana tenta di mascherarla dandole definizioni diverse, tartufesche. Mi fermo davanti al «matrimonio» (ma non, certo, davanti a forme di «unione») e alla ricerca comunque di figli, come fossero un diritto, da parte delle persone omosessuali ritenendo che per crescere un bambino occorrano le diversità – figuratevi come sono retrò! – di un babbo e di una mamma. Trovo buffo, direi umiliante, che a quell’acronimo (oggi LGBTIQU+) vengano aggiunte in continuo lettere (e oggi quel «più» finale che può finire per significare un sacco di cose) capaci solo di rendere banali e comunque inadeguate tematiche così complesse.

Quanto al facile, scontato, patrocinio concesso da Regione Toscana e da numerosi Comuni, con il massimo rispetto per tutti, anche se si tratta di un grave errore, credo che l’intervista su Avvenire finisca per avere un peso assai più rivoluzionario, una carica assai più innovativa rispetto alla dimensione – burocratica e formale – di un pezzo di stoffa, il gonfalone, esibito in strade plaudenti con un gesto «trasgressivo» come può esserlo una falsa recita … in stile Littizzetto.