Opinioni & Commenti

Giovani in movimento

Eppur si muovono. Tenuti fuori dalla porta da una società che invecchia senza pentirsene e tende a investire più sul passato che sul futuro, i giovani italiani mandano segnali di non rassegnazione. La mobilitazione delle «sardine» richiede un supplemento di analisi e come tutti i fenomeni sociali allo stato nascente non può essere incasellato all’interno di uno schema in modo sbrigativo e superficiale. Nato in un contesto politico preciso, come una reazione anti-Salvini nell’Emilia Romagna che va verso il voto regionale, si è rapidamente esteso ad altre regioni. Il tentativo di comprendere il nuovo conduce inevitabilmente a cercare confronti sia nel tempo (è stato per esempio citato il precedente dei «girotondi» anti-berlusconiani) che nello spazio (in molte parti del mondo sono in corso movimenti sociali rilevanti). Ma attenzione a non perdere per questa via la capacità di cogliere le caratteristiche specifiche e gli elementi di novità. Se proprio si cerca un termine di confronto, è alla mobilitazione degli studenti per l’ambiente che probabilmente bisogna guardare.

Analogie a parte e a prescindere dalle collocazioni di schieramento, che pure sono tutt’altro che irrilevanti, in questi giovani autoconvocati c’è una freschezza di comportamenti e una positività di motivazioni – innanzitutto il rifiuto del populismo, della propaganda basata sull’insulto e sull’odio – che non possono non essere guardati con estremo interesse da tutta la società, anche per il loro carattere tendenzialmente intergenerazionale. Prima di chiedere a questi giovani risposte che ancora non possono dare, sarebbe bene prendere sul serio la domanda di partecipazione che essi esprimono, coniugando l’uso del web come strumento di mobilitazione e la presenza fisica ben evocata dallo stesso autoironico nome del movimento, dall’idea di essere così tanti in una piazza da ritrovarsi stretti, appunto, come «sardine».

Questo fenomeno nuovo si sviluppa, non a caso, in contemporanea con la crisi in cui si dibatte il Movimento 5 Stelle. Crisi che è anche di linea politica, certamente, ma investe la stessa forma di partecipazione che il M5S ha provato a incarnare, suscitando anche tante speranze in ampi settori dell’opinione pubblica. Il fatto che una  scelta di portata potenzialmente decisiva anche per il governo nazionale, come il rifiuto dell’alleanza regionale con il Pd, sia stata presa dalla sera alla mattina con un frettoloso voto online in cui si è espresso in tal senso il 70% di appena 28 mila iscritti, rivela un meccanismo di partecipazione intrinsecamente inadeguato. Non che le precedenti prove di democrazia digitale interna avessero dato risultati particolarmente esaltanti, ma in questo caso è stato lo stesso Movimento ad accusare il colpo. Ora sono in corso dei ripensamenti intorno a quella scelta, ma il dibattito interno è molto più radicale, riguarda quel che il M5S pensa di sé, della propria organizzazione e del proprio futuro. Un travaglio che, per certi aspetti, non interessa soltanto gli iscritti e gli elettori di quella particolare compagine, perché chiama in causa una questione di fondo, quella della partecipazione politica e dei canali attraverso cui essa si concretizza. Che significa oggi «associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», come recita l’articolo 49 della Costituzione? Davvero non esiste una via diversa tra certe stanche ritualità dei partiti tradizionali e il leaderismo populista che sembra bruciare ogni mediazione sociale? Forse si colloca proprio a questo livello la salutare provocazione che ci viene dalle «sardine».