Opinioni & Commenti

Gmg, il Papa e i giovani: una gigantesca speranza collettiva capace di cambiare la vita e non solo

Ma gli slogan sono al tempo stesso fortunati e sciagurati. Fortunati perché in poche parole possono racchiudere un intero progetto di vita, per i singoli individui, per le comunità, per le nazioni. Sciagurati perché possono anche prosciugarsi e ridursi a parole belle ma vuote, incapaci di determinare alcun cambiamento nella vita personale e delle società.

Speranza… se una cosa è certa, è che tutti i giovani arrivati a Rio, a cominciare dai settemila italiani (la più numerosa presenza d’oltreoceano), hanno nel cuore una speranza, un sogno. Piccolo o grande. Un successo scolastico, una professione da intraprendere, un affetto, una missione… fino al dono di una fede meno fragile e più grande, capace davvero di riempire il proprio cuore e traboccare, riempiendone altri. Se chi arriva fosse attanagliato da dubbi, più che da certezze, la speranza inconfessata sarebbe di vederli dissipare a poco a poco. Guai pensare le centinaia di migliaia di giovani come a una massa indistinta e anonima. Sono centinaia di migliaia di cuori ciascuno con il suo personale sogno, piccolo o grande; e tutti quei sogni, messi l’uno accanto all’altro sotto la Croce della Gmg, davanti al Papa, diventano una gigantesca speranza collettiva, capace di cambiare non solo le singole vite, ma il mondo intero. Allora sì che lo slogan acquista un senso.

Ma Bergoglio che cosa dirà ai giovani? Domanda corretta e scorretta al tempo stesso. Le sue parole saranno importantissime e forse, senza essere dei maghi, è possibile anticiparle. Quello slogan infatti l’ha coniato lui, lo scorso 7 giugno, parlando agli allievi delle scuole dei gesuiti (video). Stava rispondendo a Giacomo, un ragazzo della Lega missionaria studentesca, parlando a braccio dopo aver consegnato agli atti della Santa Sede il discorso ufficiale, senza leggerlo (troppo lungo, perfino noioso): «Non lasciatevi rubare la speranza! Per favore, non lasciatevela rubare! E chi ti ruba la speranza? Lo spirito del mondo, le ricchezze, lo spirito della vanità, la superbia, l’orgoglio». Ma allora, dove ritrovare la speranza rubata? «In Gesù povero, Gesù che si è fatto povero per noi (…). Non si può parlare di povertà, di povertà astratta, quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste. Andare, guardare laggiù la carne di Gesù. Ma non lasciatevi rubare la speranza dal benessere, dallo spirito del benessere che, alla fine, ti porta a diventare un niente nella vita».

Parole importanti. Ma queste stesse parole sono un invito a osservare i fatti. I gesti. Ciò che papa Francesco fa a Rio è importante quanto e più delle parole che dirà. Ha scelto di recarsi al Santuario dell’Aparecida: Maria, la preghiera, il dono della fede. Poi all’ospedale di San Francesco d’Assisi, gestito dai francescani, rifugio per poveri e tossicodipendenti. Infine andrà alla favela di Varginha, dove vivono i poveri veri. E incontrerà alcuni giovani detenuti.

I suoi gesti concreti sono la messa in opera di quanto detto a Giacomo. È come se Bergoglio dicesse: andate voi da chi è povero e ammalato e ha perso la speranza e non ha sogni, muovetevi voi per primi, non aspettate che siano loro a venirvi a trovare. E non aspettate che qualcuno cambi per voi la società, e perfino migliori la Chiesa. Muovetevi voi per primi. Se così sarà, speriamo ci venga risparmiato l’ennesimo vuoto retorico dei «giovani futuro del mondo, futuro della Chiesa, futuro di qua e di là». Certo, sono il futuro. Ma sono soprattutto il presente!

Qualcuno potrebbe obiettare che lo slogan «Non lasciatevi rubare la speranza» non è così originale. Vero, se lasciato isolato, svuotato di contenuti, di fede, di progetti. Che poi altri lo abbiano fatto proprio, beh, suona a merito di Bergoglio. Tra i tanti, è bello qui ricordare don Vincenzo Savio, il vescovo salesiano di Belluno-Feltre morto nove anni fa, che tanti ricordi ha lasciato in Toscana, specialmente a Firenze e a Livorno. E tanto amava i giovani, venendone riamato. A pochi giorni dalla morte, confessava: «Ho avuto una sola paura, di chiunque volesse bloccare i miei sogni».