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Il Papa in Turchia: le due cattedre

di Enzo BianchiIn un certo senso la notizia era attesa: il Papa andrà in Turchia nel novembre prossimo, su invito del governo di quel Paese. Era attesa perché, dopo lo storico incontro tra Paolo VI e il Patriarca ecumenico Athenagoras a Gerusalemme nel 1964 e la reciproca levata delle scomuniche risalenti al 1054, sancita il 7 dicembre 1965, vigilia della chiusura del Vaticano II, i rapporti tra la Chiesa cattolica e il Patriarcato ecumenico hanno assunto la nota di un paziente e sapiente «dialogo della carità». In questi quarant’anni si è infatti riannodata la tradizione che unisce tra loro le due cattedre di Roma e di Costantinopoli, nel nome dei due fratelli Pietro, la «Roccia», e Andrea, il «primo chiamato». Da anni ormai vi è un tradizionale scambio di visite fraterne, con una delegazione di Costantinopoli che si reca a Roma per la solennità dei Santi Pietro e Paolo e una delegazione della Santa Sede che restituisce la visita a Costantinopoli in occasione della festa di Sant’Andrea, il 30 novembre.In alcune circostanze è stato lo stesso Giovanni Paolo II a recarsi alla sede di Sant’Andrea, così come il Patriarca ecumenico – Dimitrios prima e poi Bartholomeos – ha guidato a volte di persona la delegazione ortodossa. Senza dimenticare il grande gesto, compiuto da Giovanni Paolo II proprio in vista della festa di Sant’Andrea del 2004, della restituzione delle reliquie dei Santi Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo a Costantinopoli. In realtà ci si attendeva che, come già il suo predecessore, anche Benedetto XVI si recasse a Costantinopoli già lo scorso novembre, rispondendo all’invito rivoltogli dal Patriarca Bartholomeos in occasione dell’inizio del ministero papale. Allora il governo turco sollevò qualche difficoltà, ma come non vedere anche in questo «ritardo» diplomatico un segno provvidenziale?L’annuncio del prossimo viaggio, infatti, arriva a pochi giorni di distanza dalla tragica morte di don Andrea Santoro a Trebisonda e segna così la volontà comune di dialogo, più forte dei gesti di odio. Dialogo tra Vaticano e uno Stato laico composto in maggioranza da musulmani, certo, entrambi intenzionati a evitare uno scontro di civiltà; ma anche occasione unica per ridare slancio al dialogo tra Chiesa cattolica e Patriarcato ecumenico.

Fin dal suo primo discorso, Benedetto XVI ha annunciato la sua ferma volontà di proseguire il cammino ecumenico, dicendosi intenzionato a porre anche segni e gesti concreti per far avanzare la Chiesa verso l’unità voluta dal suo Signore. E quale gesto più toccante e coinvolgente del ritrovarsi con una Chiesa sorella riconoscendo insieme che, ancora una volta, «il sangue dei martiri è seme dei cristiani»? Sì, sta per essere scritto un altro capitolo di quel Tomos Agapis, di quel «Libro dell’amore» che riconduce Roma e Costantinopoli all’unico Amore che fonda la fede cristiana, quello del Signore Gesù che ha tanto amato il mondo da dare per esso la sua vita.

La schedaLa Turchia, vero e proprio ponte tra Oriente e Occidente, a stragrande maggioranza islamica, aspira ad entrare nell’Unione europea. Ingresso che passa per il rispetto delle libertà fondamentali. Non a caso la Commissione europea, nella Proposta per l’ammissione, ha specificato, tra le altre cose, che Ankara deve prima riconoscere piena «libertà di religione», concetto che comprende «l’adozione di una legge» che rimuova gli ostacoli che oggi colpiscono «le minoranze religiose non musulmane e le loro associazioni». Uno di questi è la nuova legge sul diritto di proprietà delle comunità religiose. In Turchia, infatti, solo alcune minoranze religiose non islamiche possono avere beni, tramite le «fondazioni della comunità». La nuova legge – in discussione ormai dal 2002 – dovrebbe consentire alle comunità religiose non islamiche di mantenere le proprietà attuali e di recuperare quelle tolte negli ultimi 70 anni. Ma – osservano le minoranze religiose – il governativo Direttorato generale per le Fondazioni afferma che «sono solo 160 le fondazioni riconosciute dallo Stato e tra queste non rientrano quelle della Chiesa cattolica e delle Chiese protestanti». Il governo ha difficoltà a riconoscere le fondazioni anche perché dovrebbe restituire le molte proprietà tolte alle comunità religiose sin dagli anni ’30.