Opinioni & Commenti

Il segno della vita

DI CARLO LAPUCCIll simbolo della croce è uno dei più antichi e diffusi dell’umanità e si può dire che si trovi in forme diverse in tutte le civiltà: l’incontro di due realtà che si compenetrano è il segno della vita stessa, della realtà. Molti simboli recenti e remoti nascondono nel loro fondo la croce, ossia il nodo di due dimensioni. Su questo sono state scritte un numero infinito di pagine, con considerazioni e meditazioni vertiginose, che hanno segnato il pensiero antico, quello cristiano e di altri popoli, civiltà e religioni.

Ciò che distingue il pensiero cristiano dagli altri è il fatto che questa croce, vuole essere qualcosa di più del simbolo della dimensione espulsa dalla realtà cosmica o dal Divino, che si estende dal centro indefinitamente nelle quattro direzioni, stringe in un nodo e mette in comunione ogni entità, componendo il tutto in armonia ed equilibrio, ordinando il Cosmo. La croce cristiana è un nodo dal significato ineffabile, che allaccia il Cosmo, rappresentato dalla croce, al Divino presente in Cristo, fiume di luce creativa che pervade il mondo. L’uomo, come parte specifica della creazione, vi è presente nella propria figura, assunta dal Logos nell’Incarnazione.

Tutto ciò, se non è presente alla coscienza di ogni cristiano che prega davanti alla Croce, esiste nella sua percezione che affonda le radici nella storia e nella tradizione, nella sua fede, nell’amore che si dilata in tutti i fratelli e ascende fino a Cristo nella Comunione dei Santi. La Chiesa riconosce l’importanza delle immagini come tramite al sacro, così come fanno altre religioni. Nell’immagine, come nel rito, ognuno attinge quanta energia serve al suo tentativo d’elevarsi verso il Divino.

Anche se priva della figura di Cristo, la croce cristiana la presuppone, altrimenti sarebbe un semplice segno, un simbolo di valore universale, ma non del Mistero dell’Incarnazione, Passione e Morte di Cristo.

Per questo la Croce e il Crocifisso pervadono la nostra vita religiosa e il nostro ambiente: è il tratto che si fa sul corpo nuovo cristiano col Battesimo, col quale ci si segna, col quale si accompagna l’agonia e si scende nella tomba. Per questo il simbolo della Crocifissione compare fino dai primi secoli del Cristianesimo, già nella porta di Santa Sabina a Roma. L’Occidente per secoli ha preferito rappresentare non Cristo morto, ma sofferente nel martirio, con la corona regale. Quindi subentrò la rappresentazione orientale che preferiva la forma più patetica del Cristo morto, tradotta poi in mirabili Pietà, che indicano uno scivolare verso una dimensione più sentimentale che contemplativa.

Nel mondo popolare il Crocifisso ha tanta importanza da divenire punto di riferimento solo in momenti forti, di crisi di fede, di disperazione, di malattia, di tensione religiosa o alta meditazione. Con la devozione ai Santi a volte ha colluso la superstizione a livello quotidiano: dalle protezioni, alle candele. Il Crocifisso non entra di solito in una devozionalità spicciola e, bisogna dirlo, perfino la bestemmia se ne tiene lontano. Segno di una percezione comune d’una realtà la quale non può essere che rispettata.

Purtroppo tutte queste considerazioni, se agiscono ancora sul comportamento, non sono più nell’orizzonte della coscienza dei più anche se si considerano credenti, come lo erano invece un tempo. Quando si ammirano gli affreschi di Piero della Francesca nella Basilica di San Francesco ad Arezzo si avverte un punto culminante di una lunga meditazione sulla Croce, avvenuta per miti e per simboli, che abbraccia oltre un millennio. La leggenda dell’Invenzione della Croce, che si trova nella Leggenda aurea di Iacopo da Varagine, comprende simboli che vanno dal peccato di Adamo, fino all’Esaltazione della Croce del 628. Nel legno della Croce, tolto dalla pianta cresciuta sulla tomba d’Adamo da un seme paradisiaco, Salomone ricava un ponte, che la Regina di Saba riconosce come destinato a dare la salvezza al mondo. Sepolto sotto terra riaffiora per formare la croce che si alza sorreggendo Cristo, sopra la tomba d’Adamo, versando il sangue sul suo teschio e riscattando il genere umano. Vi è in questo mito anche una componente iniziatica, ma tutto il mistero della Salvezza era riproposto in queste immagini anche a chi non sapeva leggere.

Pensare che il Cristianesimo si debba disfare di una simile realtà è cosa peregrina e, anche volendo, tutto continuerebbe a gridarlo dai tetti, a cominciare da duemila anni di arti figurative. Quello che fa pensare è che il materialismo, da cui l’uomo viene progressivamente permeato, non permette più di cogliere immediatamente il simbolo: tutto è ciò che appare; nel nostro caso un uomo morto sopra una croce. Avviene la stessa cosa anche davanti a immagini come il Volto Santo di Lucca?

Da qui nasce, se c’è, il perturbante. Ma se la percezione immediata ci dice una cosa, non è detto che il contesto non ci inviti a interpretarla. Quale occasione migliore per un credente di altra fede, vedendo un Crocifisso, informarsi sul significato di un simbolo appartenente alla religione di coloro che lo ospitano, imparando, se non ad amarlo, a comprenderlo e rispettarlo? Quale occasione migliore per un maestro aprire questa strada, che è della conoscenza, del rispetto e della convivenza. La conoscenza e l’apertura verso le altre fedi non è cosa che compete solo ai cristiani. Personalmente i simboli delle altre religioni mi hanno talvolta commosso, ma non disturbato, invitandomi a capire, premessa all’amare. E se si vuole che i figli di Dio si amino, chiamando il Padre con i nomi che conoscono, cerchino di capire la lingua altrui, non chiedano a nessuno di non usare i suoi nomi, di togliere i suoi simboli.