Opinioni & Commenti

In Europa è finita la solidarietà. E non solo per i migranti

Una cinquantina di anni fa, quando la Russia era l’indiscussa seconda potenza mondiale, Andrei Amalrik scrisse un libro che all’epoca sembrava la farneticazione di un visionario: Sopravviverà l’Unione Sovietica fino al 1984?. Eppure il dissidente russo aveva dato alla patria del socialismo reale solo cinque anni di vita in meno prima delle sua morte che allora sembrava inimmaginabile. Oggi purtroppo molti si domandano se anche l’Unione Europea ci sarà ancora fra dieci o quindici anni.

Questa grande, originale, promettente costruzione dentro cui finora abbiamo riposto quasi tutte le nostre speranze mostra molti acciacchi, ma sopra tutti questi domina una malattia che può essere mortale e che è il risorgere degli egoismi nazionali e il rifiuto della solidarietà che è l’esatto contrario di un organismo a cui al fonte battesimale è stato messo il nome di Unione. L’Unione Europea sembra oggi uno dei tanti esseri viventi che sul pianeta sono minacciati di morte semplicemente perché cambia il clima dentro cui sono nati e vissuti in passato.

Bisogna ricordare che circa settanta anni fa l’Unione Europea nacque perché grande fu lo spirito di solidarietà che prevalse fra i popoli europei nonostante che fossero ancora sanguinanti tutte le ferite della guerra passata ed enorme l’odio accumulato negli animi. Eppure a quei tempi ci furono gesti di generosità oggi assolutamente inimmaginabili anche fra chi avrebbe avuto tante ragioni per gridare solo vendetta. Alla conferenza di Londra del 1953 Inghilterra e Francia cancellarono metà dell’enorme debito che la Germania aveva anche se era stato il paese che aveva scatenato la guerra. Il francese Schuman che pure era stato gettato in carcere dalla Ghestapo propose alla Germania di mettere in comune il carbone e l’acciaio con la famosa Ceca mentre fino ad allora i francesi avevano cercato semplicemente di annettere le zone minerarie tedesche. De Gasperi si sforzerà di fare riammettere anche la Germania nelle organizzazioni europee mentre si tendeva a punirla con l’emarginazione. Alla fine anche le riparazioni di guerra tedesche e italiane furono in gran parte condonate.

Oggi al contrario, come si è visto all’ultimo vertice di Bruxelles sembra che non ci sia accordo nemmeno nel dire che c’è stato un accordo. Sulla questione dei migranti il nostro Salvini è certamente il più agitato e ossessionato. Ma ormai il «va fuori stranier» è pressoché generale. Domina ormai anche fra i partiti aderenti al Partito Popolare europeo che pure vengono da una lontana ispirazione cristiana. Il Fidesz in Ungheria e il Po in Polonia sono i più irriducibili nel chiudere le loro frontiere e nel respingere le famose quote di migranti. L’Unione Cristiano Sociale bavarese, uno dei pochi partiti di origine democristiana che porta ancora quasi senza accorgersene il nome di cristiano, non solo chiede la chiusura delle frontiere tedesche, ma vuole rimandare in Italia anche i migranti che sono arrivati in Germania. E neppure a sinistra, dove pure l’antica parola d’ordine socialista «proletari di tutto il mondo unitevi» farebbe immaginare almeno un rimasuglio di pietà se non di fraternità, la pratica non è molto diversa. Dal 2015, quando era al potere il socialista Hollande, ad oggi la Francia ha respinto alla sua frontiere 47mila emigranti («Le Monde» 24 giugno 2018). Perfino i mitici socialdemocratici al potere in Danimarca e Svezia una volta tanto accoglienti hanno ormai chiuso ermeticamente i loro paesi da tre anni a questa parte.

E la fine della solidarietà non riguarda solo il tema migranti. Ogni progetto ispirato ad una maggiore corresponsabilità sui problemi europei sembra ormai condannato al naufragio più dei profughi in mare sui loro gommoni che si sgonfiano. Nel 2012 la Merkel ha detto definitivamente no al progetto degli eurobond che era sul tavolo da quando oltre venti anni fa l’aveva proposto addirittura il creatore dell’euro Jacques Delors e che consisteva nel mettere in comune almeno una parte del debito dei paesi europei in modo da difenderli dalla speculazione. Alla fine non se ne è fatto di nulla anche del progetto di creare eurobond comuni per incentivare gli investimenti nei paesi strozzati dall’austerità.

In alternativa per aiutare i paesi in crisi  si cerca ora di mettere il Fondo Europeo di Stabilità (Esm), ma solo con la miseria di 25 miliardi di euro quando per salvare la sola Grecia di miliardi ce ne sono voluti 300. Non è andato in porto sempre per l’opposizione tedesca il progetto di una garanzia comune sui depositi bancari per sostenere le banche in difficoltà che pure era stato chiesto e sostenuto dalla Banca Centrale Europea. Alla fine è finito in un cassetto anche il progetto di un sussidio comune europeo contro la disoccupazione di quindici milioni di cittadini dell’eurozona presentato dal ministro Padoan.

Nonostante che se ne discuta ormai da cinquanta anni non siamo nemmeno riusciti a realizzare un patto di armonizzazione fiscale per cui ogni paese tende ad attrarre i capitali a scapito dell’altro con tariffe sulle imprese sempre più basse tanto che il Lussemburgo, l’Olanda e l’Irlanda sono ormai di fatto dei paradisi fiscali a costo quasi zero soprattutto per le grandi multinazionali. In fatto di concessioni per la ristrutturazione del debito per i paesi più indebitati con sospensione del pagamento degli interessi e dilazione nella restituzione dei capitali è stato più generoso  il  Fondo Monetario Internazionale che l’Unione Europea come si è visto nel caso della Grecia.

Eppure proprio perché l’Europa dell’euro è di fatto un’area in  cui valgono le regole del liberismo economico dentro la cosiddetta «economia sociale di mercato» ha assoluta necessità della compensazione di una forte dose di meccanismi ispirati allo spirito di solidarietà che possa colmare almeno in parte le disuguaglianze sempre più crescenti e laceranti fra i vari paesi e dentro i paesi stessi e garantire un minimo di coesione sociale e di coesione internazionale. Quando faceva i suoi primi passi il Mercato Comune Europeo che rispetto al liberismo economico dell’Europa di Maastricht era solo una piccola deregolamentazione, De Gasperi, che pure qualcuno accusava di essere un liberale, avvertì già allora che «la libera concorrenza presenta degli aspetti negativi» e che questi potevano e dovevano essere corretti solo da una «morale unitaria con il suo fermento di fraternità evangelica», cioè con quella che era stata da duemila anni l’anima dell’Europa.

Era in fondo quell’invito alla fraternità in nome di Dio che Schiller aveva messo in quell’Inno alla gioia che è diventato una messa in tedesco dell’Unione che nemmeno i tedeschi capiscono più: «Abbracciatevi moltitudini! Sopra il cielo stellato deve abitare un padre affettuoso».