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Israele e Palestina, smuovere la pace dal binario morto

di Romanello CantiniLa visita a Roma di Abu Ala con gli incontri che il primo ministro palestinese ha avuto con le più alte cariche dello Stato e con il Papa è stata l’occasione per fotografare lo stallo del processo di pace in Medio Oriente. A quasi quattro anni di distanza dall’inizio di quella che impropriamente è stata chiamata la seconda intifada, ben più sanguinosa e spietata della prima, si contano ormai un centinaio di attentati terroristici contro Israele e migliaia di vittime e di abitazioni distrutte nel campo palestinese.

Anche la cosiddetta road map che la comunità internazionale propose un anno fa è ad un punto morto. Nemmeno le condizioni minime che quel progetto di pace richiedeva, con la fine del terrorismo da una parte e il blocco e lo smantellamento delle colonie illegali dall’altra, sono state rispettate.

Ed ora da parte del governo Sharon si minaccia una separazione unilaterale fra israeliani e palestinesi con una sorta di linea Maginot. In teoria, a parte il fatto che né gli israeliani né i palestinesi possono sopravvivere economicamente separati gli uni dagli altri, nessuno può impedire ad uno stato di difendere i propri confini. Ma il guaio è che Israele non ha di fatto confini che lo facciano assomigliare ad un qualsiasi stato.

Le colonie che i governi israeliani hanno costruito nei territori occupati negli ultimi quarant’anni hanno portato fuori dallo stato ebraico riconosciuto dall’Onu oltre duecentomila israeliani. Questa invasione a macchia di leopardo della Cisgiordania e della striscia di Gaza è stata da sempre l’incognita che ha fatto dubitare della reale volontà di Israele di ritirarsi un giorno dai territori strappati ai palestinesi.

La colonizzazione ha reso impossibile una continuità territoriale della sovranità concessa all’Autorità palestinese. A mano a mano che lo scontro senza quartiere rendeva i coloni più esposti alle imboscate e ai tiri di mortaio il governo di Gerusalemme ha desertificato le zone adiacenti alle colonie e ha costruito una rete di vie di comunicazione riservate che chiudono in sacche soffocanti la popolazione palestinese. Infine con la costruzione del muro di divisione il governo israeliano tende ad annettere parte della Cisgiordania per cercare di mettere al riparo le colonie sparse ovunque.

Ma ora anche Sharon sembra essersi convinto che almeno una parte delle colonie sono indifendibili. Una settimana fa ha dichiarato che le colonie di Gaza (un temerario Forte Alamo per cui settemila ebrei vivono in mezzo ad un milione e mezzo di palestinesi) devono essere smantellate. Ma perfino questa ritirata minima dettata da una opportunità militare sembra essere in grado di mettere in crisi la coalizione di governo. E si fa concreta la possibilità di un nuovo governo con l’apertura ai Laburisti. È uno spiraglio minimo verso qualcosa di nuovo su cui non dovrebbe mancare una decisa pressione internazionale per cercare di smuovere il percorso della pace dal binario morto in cui è piombato.