Opinioni & Commenti

La sceneggiata della devolution

DI EMANUELE ROSSI*L’attuale accesa discussione in tema di «devolution», a confronto con la realtà effettiva delle cose, fa sembrare il tutto talmente paradossale da non sembrare una cosa seria. Com’è noto, alla scadenza della scorsa legislatura l’allora maggioranza approvò una riforma consistente della Costituzione, riguardante l’intero Titolo V, con un significativo ed ampio spostamento di competenze dal centro alla periferia. L’approvazione della legge costituzionale, opera di una maggioranza assai ristretta, fu duramente contestata dall’allora opposizione, sia nel merito (giacché si sarebbe trattato di un «falso» federalismo) che nelle procedure seguite (contestandosi una riforma costituzionale approvata dalla sola maggioranza).

La nuova maggioranza, che nel proprio programma aveva anche indicato la necessità di passare dal «falso» al «vero» federalismo, ha partorito, per segnare detto passaggio, la proposta di cui ora si discute, che rispetto ai venti articoli modificati dalla legge costituzionale n. 3/2001 si limiterebbe ad aggiungere un comma ad uno di essi, aumentando la competenza legislativa esclusiva delle Regioni con tre ulteriori materie: l’assistenza e organizzazione sanitaria, l’organizzazione scolastica e la definizione «della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione», la polizia locale. Questa, soltanto questa, sarebbe la «devolution» (argomento per il quale, lo si ricorda, questo Governo ha istituito persino un Ministro apposito).

La riforma costituzionale in realtà riformerebbe assai poco: malgrado infatti che si voglia attribuire alle regioni l’assistenza e l’organizzazione sanitaria, la «tutela della salute» rimarrebbe di competenza concorrente (spetterebbe cioè comunque allo Stato la definizione dei «principi fondamentali»); per quanto riguarda poi l’istruzione, allo Stato rimarrebbe comunque la competenza esclusiva sulle «norme generali sull’istruzione», mentre l’«istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e della formazione professionale» rimarrebbe potestà concorrente tra Stato e Regioni; quanto infine alla polizia locale, già l’attuale formulazione dell’art. 117 attribuisce allo Stato la competenza in materia di ordine pubblico e sicurezza, ma «ad esclusione della polizia amministrativa locale».

A tutto questo si deve aggiungere che allo Stato spetta comunque la potestà legislativa esclusiva in ordine alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»: potestà che, se correttamente esercitata, potrebbe essere sufficiente a garantire dai rischi di disparità di trattamento eccessivo tra cittadini a seconda delle Regioni in cui si trovano a vivere. Se poi questo non bastasse, si pensi che l’attuale art. 116 consente alle Regioni che lo richiedono di ottenere competenza legislativa in materie ulteriori: tra queste rientrano sia «le norme generali sull’istruzione» che la tutela della salute: perché allora non lasciare le cose come stanno, e consentire alle Regioni che intendono assumere le competenze in materia di attivarsi, lasciando al contempo libere quelle che non lo vogliono di non vedersi costrette a gestire ulteriori materie?

Come si vede, dunque, mancano del tutto i presupposti per chiamare questa proposta «devolution», per decantarne gli effetti «federalisti» e per temere chissà quali effetti di disgregazione dell’unità nazionale. A quest’ultimo proposito: siamo sicuri, ad esempio, che l’avere attribuito in via esclusiva alle Regioni la potestà legislativa in materia di assistenza sociale (come ha fatto la legge costituzionale n. 3/2001) sia meno grave di attribuire loro l’assistenza sanitaria?

Ancora una volta, si assiste ad operazioni di facciata, che colpiscono l’immagine e lasciano da parte la sostanza vera delle cose: da più di un anno questa maggioranza non è ancora riuscita ad approvare una legge di attuazione della riforma costituzionale, così che tutte le competenze che dovrebbero essere passate alle Regioni sono di fatto bloccate e ancora gestite dallo Stato (anche questa è «devolution»?); né si pensa al vero tassello mancante della riforma «federalista», ovvero la riforma del Parlamento in modo da prevedere una Camera quale organo di rappresentanza delle Regioni.

Un’ultima osservazione sulle modalità di approvazione della riforma. Davvero, in questi casi, un sussulto di dignità non guasterebbe: se infatti è stato considerato grave che una riforma costituzionale fosse approvata dalla sola maggioranza, come possono seriamente ritenere i critici di allora (al di là della correttezza costituzionale di tale operazione) che in questo caso sia possibile ed opportuno non solo approvare una riforma costituzionale «a colpi di maggioranza», ma addirittura «blindarla» con il voto di fiducia? Da parte di tutti, un po’ più di serietà e di coerenza sarebbero assai utili.*docente di diritto costituzionale – Scuola Superiore S. Anna – Pisa