Opinioni & Commenti

Politica: parole antiche per un nuovo alfabeto sociale

di Domenico Delle Foglie

Si accettano scommesse: non c’è persona con la testa sul collo che possa fare una previsione realistica sulla strutturazione della politica italiana dopo il ciclone Monti. Chi ha modo di affacciarsi nei Palazzi romani, può ascoltare le diagnosi più bizzarre sugli esiti di questa lunga transizione che ci divide dal voto politico. Un appuntamento che ormai tutti, salvo improbabili rivolgimenti, ritengono fissato nella primavera del 2013. Ci attende, dunque, un finale di legislatura segnato dal governo tecnico. Ancora non è dato sapere con quali schieramenti si arriverà al fatidico voto. Basti pensare che anche un inossidabile bipolarista come Silvio Berlusconi si spinge persino a non escludere un’intesa Pdl-Pd-Terzo Polo per consentire a Mario Monti di continuare a governare. La chiamano Grande Coalizione sul modello tedesco, dimenticando però che in Germania c’erano i politici di professione a guidarla. Politici regolarmente eletti col voto popolare, e non un pur bravissimo «tecnico».

Quindi questo tempo, poco più di un anno, è un tempo strategico. Da utilizzare al meglio. Innanzitutto restituendo ai partiti, che a norma di Costituzione restano la spina dorsale della partecipazione politica dei cittadini, il ruolo che a loro spetta. Ma a condizione che si avvii quel processo di autoriforma che, per giudizio unanime, appare indispensabile. Primo fra tutti, il superamento dei partiti personali, nei quali non è garantita la democrazia interna. Una democrazia formale costruita su partiti privi di democrazia interna sostanziale, è una contraddizione troppo grande per non depotenziare la democrazia tout court. Peraltro, questa dimensione democratica interna appare essenziale in vista del ricambio delle classi dirigenti e per rendere effettivamente contendibile la leadership. Questa precondizione è essenziale per garantire alla società civile, ai giovani e alle donne, e persino al mondo cattolico, la possibilità concreta di macinare politica.

In secondo luogo, tutti i partiti dovrebbero mettere a frutto questo tempo, non per costruire nuove alleanze o singolari alchimie politiche. Questo tempo dovrebbe essere impiegato per ripensare se stessi in funzione del Paese. La crisi della Prima Repubblica dovrebbe aver insegnato che proprio l’assenza di progetto e di visione ci ha portati nelle secche del disastro finanziario. Perché laddove un partito (e con esso la classe dirigente) non sa interpretare il Paese e offrirgli un quadro di valori e di riforme democratiche, allora restano sul campo solo gli interessi. E meno male che l’Italia ha saputo trovare un «Gran Commissario» per tirarsi fuori dalla crisi finanziaria e strutturale di sistema. Ma non si può chiedere a Monti di riformare anche il sistema politico. Non può e non deve farlo.

E i cattolici? Forse un indizio lo ha offerto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, quando di recente «richiamava all’importanza di non perdere alcune parole antiche, che non sempre sono alla moda, ma che possono contribuire a un nuovo alfabeto sociale, un nuovo modo di pensare – adeguato, vivo per l’oggi – per parlare la lingua del sociale». Queste parole antiche sono «vita e famiglia, lavoro e partecipazione, libertà e relazione, politica e rappresentanza». Non è poco per ripartire.