Opinioni & Commenti

Quel patrimonio di ulivi della Valle di Cremisan

Ricordo che in visita al sindaco di Betlemme (che conservava nel suo studio una foto di La Pira), l’ingegnere capo della città volle accompagnarmi in auto per vedere alcune località. Con lui era un secondo tecnico, di cui lì per lì non capii la funzione. Funzione che fu presto chiarita: inchiodata la macchina ad un certo check, l’ingegnere scese di macchina e alla guida si sostituì l’altro; la cosa si ripeté altre due volte. Mi spiegarono che i permessi di guida riconosciuti dalla polizia israeliana erano limitati ad alcune zone e non avevano validità generalizzata! In codesta occasione mi accorsi di quanto fosse rilevante la presenza delle piante – e degli olivi in particolare – nella zona. L’olivo, non era solo connotativo del paesaggio, così artificialmente tormentato da ragioni logistico-militari, ma era soprattutto un simbolo, il simbolo, di una originaria continuità identitaria ora profondamente ferita.

Oggi, quegli olivi, alcuni dei quali secolari, sono spazzati via dai bulldozer dell’esercito israeliano per realizzare un’altra tratta di muro, distruggendo, ovviamente, anche quelle strutture precarie ove alloggiano non poche famiglie. Ne soffriranno anche le comunità cristiane raccolte intorno a padre Cornioli del patriarcato latino e a padre Shomali, sacerdote cattolico; e alcune strutture di queste comunità saranno divise dal nuovo muro. Insomma, le demolizioni alle strutture precarie palestinesi sono riprese con vigore, soprattutto dopo il riconoscimento della Palestina da parte del Vaticano e l’impegno del vicario patriarcale di Gerusalemme padre Ibrahim Shomali; e nonostante le preoccupazioni di Robert Piper, coordinatore delle attività umanitarie dell’Onu.

Noi vogliamo continuare a sperare e a credere in una soluzione negoziata e paritetica, nonostante i muri che si continuano a innalzare. Perché sappiamo che «i muri che dividono gli uomini non arrivano fino in cielo».