Opinioni & Commenti

Restare umani e non dimenticare chi fugge da guerra e fame

C’è un rischio di cui quasi nessuno parla, impegnati come siamo a guardare solo nel nostro orto. Tutti così impegnati a parlare di corona virus, delle paure per la salute ma soprattutto per l’economia, che pochi si rendono conto di quanto succede non molto lontano dalle nostre coste. Le immagini dei militari turchi, che quasi spingono in mare i profughi siriani, e quelle della guardia costiera greca impegnata a evitare gli sbarchi sulle coste, in altri momenti avrebbero forse fatto salire l’indignazione.

Avrebbero fatto dire, giustamente, che questa è un’altra prova del fallimento di un’Europa – ma Russia e Stati Uniti non sono da meno – impegnata solo a spostare, ogni tanto, l’attenzione di un’emergenza umanitaria ben più grave di quella del corona: qualche mese è la Libia e quindi in prima linea c’è l’Italia, poi il problema si sposta in Turchia e quindi in Grecia. La verità è che se tutto il mondo, giustamente, è impegnato a cercare il vaccino – e tutti ci auguriamo che presto si trovi una soluzione – nessuno si preoccupa di chi è costretto da una guerra infinita, dalla fame e dalla povertà ad abbandonare la propria casa, la sua città per cercare di dare un futuro ai figli. Rischiando e, troppo spesso, pagando con la vita.

Ma è da capire quale futuro possa avere chi scappa dalla Libia (dove arrivano i profughi di mezza Africa) o dalla Siria (al centro di un braccio di ferro internazionale), in un mondo che ha perso la capacità di indignarsi davanti a certe immagini. Ancora una volta i profughi sono usati per scopi politici: dal leader turco Erdogan, che da anni ottiene miliardi di euro minacciando l’Europa di lasciar partire i profughi (sembra 3 milioni di persone che vivono sotto tende fatiscenti quando non all’aperto, al freddo, sotto la neve), ai signori della guerra in Libia. E intanto in quei campi si continua a morire e nessuno si preoccupa di sapere se anche lì è arrivato il corona virus e magari stanno morendo anche per questo.

In Italia, poi, lo spettacolo dato da alcuni, per esempio il mondo del calcio, è ancora peggiore, con le società di Serie A, tutte, che guardano solo ai loro interessi, quasi che intorno fosse sempre domenica. Eppure non è così. E allora bisogna trovare il colpevole che, ancora una volta, è stato da molti individuato nell’informazione. Ne ha tante di responsabilità. Ma non si possono non dare notizie e in questa emergenza abbiamo l’obbligo di darle. Noi per primi, anche in questo numero, diamo molto spazio mantenendo però – e speriamo di esserci riusciti – l’obiettivo di non esagerare e di essere soprattutto corretti con chi ci legge. Le colpe dei media, invece, sono altre. E forse al primo posto c’è proprio il dimenticare le altre emergenze, come quella che in questi giorni si svolge ai confini della Turchia o, ancora, nel Mar Mediterraneo. Ma anche in altri Paesi come la Nigeria, come racconta a pagina 11 di questo numero un giovane sacerdote nigeriano che svolge il suo servizio alle porte di Firenze. Il suo grido di allarme noi lo abbiamo raccolto e speriamo di trasmetterlo a chi dovrebbe intervenire (forse le Nazioni Unite?). Per primi però vogliamo trasmetterlo ai nostri lettori convinti che tutti dobbiamo ricordarci di essere umani, di avere la capacità di discernere quanto ci succede vicino. Perché, come ha dimostrato anche il corona virus, il mondo è uno solo e le altre Nazioni non sono così lontane.