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Riforma della giutizia: il frutto di quattro anni di scontri

di Francesco Mario AgnolimagistratoDopo quattro anni di virulente polemiche col voto di fiducia da parte della Camera, è “quasi” cosa fatta la riforma (o “controriforma”, secondo la polemica definizione dei magistrati) dell’ordinamento giudiziario, il cui varo ha occupato rilevante parte del quinquennio di governo della coalizione di centro-destra. “Quasi”, perché la tardiva inserzione della norma che pone limiti di età per l’accesso agli uffici direttivi, ritenuta ad personam in quanto la si considera finalizzata a bloccare le aspirazioni del procuratore generale di Torino, Giancarlo Caselli, ad assumere la guida della procura nazionale antimafia, renderebbe costituzionalmente possibile, anche se resta politicamente improbabile, un nuovo rinvio alle Camere da parte del presidente della Repubblica. Comunque sia, gli applausi dei parlamentari della maggioranza, il gelido silenzio dell’opposizione, il quarto (inutile) sciopero dei magistrati il 14 luglio, il nuovo sciopero subito proclamato, per opposte ragioni, dagli avvocati penalisti, rendono evidente la radicale disparità di giudizi in una materia che per la sua delicatezza avrebbe avuto invece necessità del più largo consenso possibile Qualcuno ha preso spunto dalle opposte valutazioni di magistrati e avvocati per sostenere che proprio il contrasto fra chi non voleva la riforma e chi la voleva ben più decisa in punto a separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri fornirebbe la miglior prova che il legislatore ha saputo trovare un punto di equilibrio fra le varie esigenze.

Il ragionamento è debole e, in ogni caso, c’è qualcosa che non va se dopo sette passaggi parlamentari, un rinvio alle Camere e un’approvazione a colpi di fiducia il presidente del Consiglio e leader della maggioranza che l’ha fortemente voluta, se ne dichiara non soddisfatto, pur aggiungendo che “è un primo passo verso una giustizia veramente giusta e processi più brevi”. Da un’altra sua frase si arguisce che la legge va nella direzione di una giustizia veramente giusta, perché attenua la contiguità fra giudici e “p.m. che la sinistra ha saputo impiantare nell’ambito della giustizia. E che ancora oggi, sono troppo vicini ai partiti dell’attuale opposizione”.

Ora se vi è una cosa certa è che, invece di accelerare i tempi della giustizia, la riforma li allungherà ulteriormente, ed è significativo che nessuno abbia saputo nemmeno indicare quali fra le previste innovazioni consenta di raggiungere questo risultato. Certamente non la norma sulla progressione in carriera a mezzo di esami, che spingerà i magistrati a dedicare tempo ed energie alla confezione di elaborate sentenze e, comunque sia, alla preparazione dei concorsi esattamente come accadeva una quarantina di anni fa quando la carriera era imperniata su titoli e esami. Ancor meno la norma cosiddetta anti-Caselli, oltre tutto mal formulata, perché, mentre mantiene ferma la data del pensionamento al 70° anno di età per il calcolo degli almeno quattro anni di residua permanenza in servizio necessari per conseguire un ufficio direttivo, lascia in piedi la facoltà dei magistrati di restare in servizio fino ai 75, sicché i futuri titolari di uffici direttivi vi permarranno per 9-10 anni in contraddizione con l’esigenza sempre concordemente proclamata di ridurne la durata (si parlava di quattro anni, eventualmente rinnovabili per non più di una volta e in altra sede).

Infine, oltre ad essere probabilmente inutile per bloccare (se questo era lo scopo) il procuratore Caselli, al quale, a quanto si dice, il Consiglio superiore della magistratura avrebbe preferito, sia pure a lieve maggioranza, un altro aspirante, questa norma blocca in maniera definitiva la carriera di circa seicento relativamente anziani ed esperti magistrati, non pochi dei quali probabilmente decideranno adesso di prendere la strada del collocamento a riposo con ulteriore aggravio dei già pesanti vuoti d’organico, fra le principali cause dei tempi lunghi della giustizia. Resta la giustificazione politica delle presunte toghe rosse. Basta a giustificare quattro anni di scontri, la contrapposizione frontale fra i rappresentanti di poteri dello Stato?