Opinioni & Commenti

Una campagna elettorale a colpi di propaganda, ma senza idee nuove

A nemmeno due mesi che ci separano dalle elezioni politiche saranno, con ogni probabilità, caratterizzati da una serie di colpi a sorpresa e iniziative propagandistiche. Come sempre o quasi, in campagna elettorale, ma il fatto che il Presidente della Repubblica si sia sentito in dovere, nel messaggio di fine anno, di invitare le forze politiche a non lasciarsi sedurre dal fascino delle promesse che non si possono mantenere la dice lunga sulla capacità di elaborazione progettuale dei tre poli che si contendono la leadership nazionale. Finora abbiamo assistito al lancio di molti ballon d’essai: dalla creazione del ministero per la terza età, all’abolizione del canone Rai, alla possibilità di un referendum sull’euro. Per il resto, si spera nella rendita di posizione: il Pd punta sulla ripresa economica; il Movimento Cinque Stelle sul voto di protesta e risentimento; il Centrodestra sulla paura: degli immigrati come della crisi che poi non è ancora stata sconfitta, anzi. I sondaggi di questa prima fase (ma le cose possono cambiare, e più volte) danno in ascesa l’asse FI-Lega-FdI. È nella natura di questa parte della politica il sapersi unire di fronte alla scadenza elettorale: l’unica volta che non lo hanno fatto, nel 1996, subirono una cocente sconfitta e hanno imparato bene l’arte. Non altrettanto bene hanno imparato a non dividersi dopo il voto, e questa volta la tendenza potrebbe farsi ancora più accentuata per la minor potenza della personalità di Silvio Berlusconi. Il suo potrebbe essere un gran ritorno, ma anche un acuto sfiancante.

Sfiancato invece appare già il Pd, che pare non aver saputo cogliere nessuna delle opportunità strategiche che il dibattito politico gli ha porto negli ultimi tre anni. Da ultimo la stessa legge elettorale: pensata per aiutare chi sia in grado di aggregare delle coalizioni (cosa in sé apprezzabile), i suoi stessi creatori hanno dimostrato enormi difficoltà a dialogare non solo con Liberi ed Uguali, ma anche con la lista +Europa e la stessa componente centrista di Beatrice Lorenzin. La disputa sulla margherita sul simbolo è il miglior segnale di una componente politica fratturata e rissosa. I grillini sono partiti prima degli altri, con il vento in poppa, ed hanno presentato subito un candidato premier nella persona di Di Maio. Ma questi non ha ancora mostrato la statura del leader politico, e persistono i dubbi su chi all’interno del movimento darà le carte dopo le elezioni. Se poi si parla di vuoto programmatico, nel movimento questa è una carenza particolarmente accentuata. Magari proprio questo aiuterà a vincere le elezioni, ma di sicuro sarà un gravissimo handicap dal 5 marzo.

Ultima riflessione sulle componenti minori. L’esperienza di Liberi e Uguali si rifà al vento neolaburista che soffia in Gran Bretagna, ma anche in Francia e Germania. È necessario da parte di questa componente, all’interno della quale militano politici consumati e spesso preparati – non tutti – uno sforzo in più di progettualità. Corbyn ha dimostrato che una campagna sui valori della solidarietà sociale può essere premiante. Si osi, allora, perché il vuoto lasciato dagli altri può essere riempito.

Infine i centristi. Abbiamo assistito, con il ritiro di Angelino Alfano, al tramonto di una politica fatta di proclami e rivendicazioni di cattolicità ma di scarsa coerenza (pensiamo alla legge sulle unioni civili e a quella, mancata, sullo ius soli). Forse è un ciclo che si chiude, di certo però non se ne è ancora aperto un altro. Anche qui, più che mai. Urgono nuove idee e una visione della politica che non sia decaffeinata.