Toscana

350 toscani in Terra Santa

Dal nostro inviato Lorella PellisLa prima impressione è quella del classico «colpo di phon». Saranno 30 gradi sicuramente. Israele accoglie il gruppo dei pellegrini toscani con una luce quasi accecante. Sono le 16. Al «Ben Gurion», il principale aeroporto israeliano, tutto fila liscio. Da più parti si tirano sospiri di sollievo. Non si può nascondere una certa apprensione. In vari momenti, durante il tragitto dall’Italia a Tel Aviv, le conversazioni sono cadute sulla paura, sulla speranza che non succeda niente, sul fatto che la maggior parte di parenti ed amici, vista la situazione, ha sconsigliato fino all’ultimo di partire. Alla fine, però, il gruppo che si è formato è di 350 persone. Notevole.

La strada verso Nazareth offre un panorama incantevole. La città della Galilea tagliata nel mezzo dalla via Paolo VI (a lui dedicata dopo la visita del 1964) è quanto di più rasserenante ci possa essere. Alle 10 del mattino – forse anche perché è tempo di ramadan – non c’è quasi nessuno in giro, neppure altri gruppi di turisti. La giornata è limpida. Per strada tutto è pulito. Anche al suk, il tipico mercato dentro la parte più vecchia della città, tutto tace. Si capisce che hanno aperto da poco perché i negozianti sono ancora intenti a sistemare a dovere le loro merci.

Nella Basilica dell’Annunciazione tutti i toscani si ritrovano per assistere alla Messa. I concelebranti sono 38. Il padre guardiano del convento dei Francescani ringrazia: «Grazie per essere qui. Con questo semplice gesto voi siete motivo di speranza per le comunità che si trovano in Terra Santa. Grazie perché voi siete gli annunciatori della pace in questa terra che anela da sempre alla pace». In effetti a quattro anni dalla cosiddetta «Seconda Intifada», scoppiata nei territori palestinesi in seguito alla visita di Sharon alla spianata di Haram ash-Sharif, la mancanza di pellegrini si fa sentire. «Ultimamente c’è una ripresa – dice il vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, Rodolfo Cetoloni – e mi risulta che l’aumento è portato dagli italiani, sicuramente i più coraggiosi. Qualcuno arriva anche dalla Polonia e dalla Croazia ma le altre nazioni stentano a riprendere i pellegrinaggi».

Verso le 18 il gruppo sale a Gerusalemme, la città delle tre pietre: il Santo Sepolcro, il Muro del Pianto e la Tomba di David. Ormai è buio pesto lì ma stranamente il cielo è ancora luminoso e l’impatto con la città potente. Alcune raccomandazioni prima di scendere dai pullman allarmano un po’: «Mai allontanarsi da soli, l’importante è stare in gruppo». La vecchia Gerusalemme e la visita in notturna al Muro del Pianto porta a riflettere sul conflitto di musulmani ed ebrei sulla Spianata delle Moschee: tutto il problema sta lì e forse non si risolverà mai. Intanto, appoggiati al Muro, gli ebrei pregano e cantano dondolandosi continuamente. Anche le donne, nel pezzo di muro a loro riservato, fanno la stessa cosa. Sembra un paradosso, ma nella Gerusalemme che non trova pace non si respira aria di guerra.Prima di entrare a Betlemme l’impatto con il muro della discordia e della divisione è un pugno nello stomaco. Il check point non crea problemi. Un giovanissimo militare israeliano sale sui pullman e in un minuto la cosa si risolve. Nella città di Gesù Bambino c’è una grande festa per l’inaugurazione della nuova scuola materna e il clima è davvero gioioso. I negozi sono aperti, dentro c’è anche qualche persona e tutto fa sperare in una ripresa. Ma la calma e la tranquillità sembrano solo apparenti. Amira, 16 anni, occhi scuri ed intensi, fa parte del gruppo degli scout locali. Abita proprio a ridosso del muro: «Israele – dice – ha bombardato la mia casa, non vi abbiamo potuto abitare per un pezzo. Eppure siamo persone e non bestie. Il problema è che qui noi ci sentiamo imprigionati, il lavoro continua a mancare e c’è tanta povertà». «In realtà – ci spiega il vescovo Cetoloni – da un punto di vista pratico è cambiata la situazione economica, sono i palestinesi nei territori occupati a subirne le conseguenze perché sono chiusi. E se prima molti uscivano per andare a lavorare in Israele adesso non possono più passare e piano piano la situazione economica si degrada. La situazione economica ha anche fatto sì che molti tentino l’emigrazione e mi risulta che nelle zone intorno a Betlemme circa il 10 per cento dei cristiani se ne sono andati». Betlemme, la scuola del sorrisoLa domenica del sorriso arriva anche in questa terra martoriata dall’odio e dalla guerra. Un sorriso contagioso, che passa di occhi in occhi, di bocca in bocca, di volto in volto. A guardarli, tutti quei marmocchi che ti gironzolano intorno vestiti a festa, assediati da tanti palloncini colorati, sono la gioia in persona. Qualcuno ti prende per mano e ti accompagna in direzione della nuova scuola. Già, è proprio quello l’evento di cui oggi tutti stanno parlando. E la data di domenica 24 ottobre nessuno se la dimenticherà più. Il cielo sembra anche più limpido del solito.Sono arrivati in tanti, già dalle prime ore del mattino, notevolmente in anticipo per paura del check point, per assistere ad un evento quasi epocale per questi luoghi: l’inaugurazione della scuola materna situata proprio nel cuore di Betlemme, accanto al «Terra sancta school» e all’auditorium del «Saint Francis Millennium center».

Un’iniziativa che ha richiamato nella città di Gesù Bambino oltre mille pellegrini provenienti da ogni parte d’Italia (ben 350 dalla sola Toscana, legata in modo particolare a Betlemme, ma anche dall’Umbria, Emilia Romagna, Campania, Lombardia, Veneto, dal Lazio e dalla Repubblica di San Marino) come pure dalla Germania e dal Giappone. Così come non sono mancate autorità istituzionali italiane, europee e arabe. Sono molte le facce toscane che si incontrano nella piazza: fra i primi intravediamo il sindaco di Pratovecchio, Angiolo Rossi, da sempre impegnato nella solidarietà verso la Terra Santa, e il presidente della Regione Toscana, Claudio Martini.

Fortemente voluta dalla Custodia di Terra Santa e dal francescano padre Ibrahim Faltas in qualità di direttore del «Terra Sancta school», la scuola è stata realizzata dalla Conferenza episcopale italiana (per l’occasione rappresentata da monsignor Piergiuseppe Vacchelli), con il contributo delle diocesi di Fiesole e Montepulciano-Chiusi-Pienza, l’Antoniano di Bologna, la Provincia Toscana dei frati minori, l’Unicoop di Firenze e di molti altri soggetti pubblici e privati.

Quello che è stato definito «Il cantiere della speranza» fu iniziato nel 1998. Nella drammatica situazione palestinese, la costruzione del nuovo asilo a Betlemme è stato per anni l’unico cantiere aperto in città, persino durante il coprifuoco, che ha permesso ad una cinquantina di operai di lavorare garantendo, sul momento, uno stipendio alle loro famiglie e, per il futuro, una istruzione primaria a più di trecento bambini.

Concepita ed arredata alla luce dei più moderni criteri di pedagogia e formazione per la prima infanzia, la scuola si sviluppa su sei piani. Oltre a 12 aule (di circa 30 metri quadrati, con tanto di servizi igienici), colorate di verde, giallo, rosa e azzurro, su una superficie complessiva di oltre 3200 metri quadrati vi sono tre laboratori per le attività artistico-manuali, un’area per l’attività motoria e due grandi spazi attrezzati per il gioco. Più precisamente, al piano terreno c’è un giardino di inverno per i giochi al coperto, mentre al primo piano c’è un ampio porticato sempre per i giochi. Al secondo, terzo, quarto piano ci sono le aule e una cucina per gli insegnanti. La struttura può ospitare fino a trecento bambini – sia cristiani che musulmani – dai tre ai sei anni. Venti gli insegnanti.

«È una scuola da vivere non solo nelle aule ma anche dall’esterno – ha spiegato Angiolo Rossi – a cominciare dalle sue linee e dal suo progetto architettonico. Una creazione che si affaccia su Betlemme ma non la domina; guarda Gerusalemme, fa da ponte verso la Città Santa superando tutti i muri e le barriere costruite dagli uomini».

Il nastro inaugurale della scuola, intitolata a Giorgio La Pira nel centenario della sua nascita e a Mariele Ventre, è stato tagliato dopo le una ma quella che si è rivelata una domenica davvero speciale per Betlemme, una sorta di Natale anticipato, come qualcuno l’ha definita, era cominciata prima: con l’appuntamento, alle 10, nell’auditorium – ma una volta era un campetto da calcio – per la celebrazione della Messa. In un’aula gremita da tremilacinquecento fedeli, con le autorità sedute nelle prime file, hanno fatto ingresso gli scout con le loro cornamuse e i loro corni. Quindi la processione dei concelebranti, un centinaio in tutto. Ha presieduto mons. Luciano Giovanetti vescovo di Fiesole, con accanto padre Rodolfo Cetoloni, vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, il vescovo emerito di Volterra Vasco Bertelli e mons. Pietro Sambi, Nunzio e delegato Apostolico per la Terra Santa. All’interno della Messa i diversi saluti delle autorità presenti. «Grazie perché non vi siete fatti prendere dallo scoramento dinanzi alle tante difficoltà – ha detto padre Ibrahim Faltas che dal 1° novembre lascerà Betlemme e assumerà il suo nuovo incarico di parroco di Gerusalemme –, grazie per aver dimostrato concretamente rispetto e amore per i bisogni della vita quotidiana di fratelli meno fortunati, grazie per la vostra fraterna e fattiva solidarietà».

Alla fine le porte dell’Auditorium si aprono. Che la festa continui. Magari agitando tutti insieme i cappellini colorati che i bambini di Betlemme hanno voluto donare agli intervenuti per ricambiare in qualche modo l’affetto che sentono nei loro confronti. «Grazie perché ci sei!» ci hanno fatto scrivere. Un dono che, anche a casa nostra, terrà vivo il loro ricordo.

Carmelo e Maria, novelli sposi specialiCarmelo e Maria, due ragazzi come tanti. Lei abita a Firenze, lui viene dalla Sicilia ma si stabilisce in Toscana, alla Panca, una frazione del comune di Greve in Chianti. Quattro anni fa si incontrano, si conoscono, si innamorano e decidono di sposarsi. Lei è impiegata, lui lavora nel settore delle cooperative sociali. Una storia normale, almeno fino a qui. Nel giugno scorso decidono di affrontare il cammino verso Santiago di Compostela. Percorrono 300 chilometri, a piedi, loro due da soli. Di tanto in tanto si uniscono a gruppi incontrati durante il viaggio ma poi ripartono in solitudine mettendo a nudo i loro cuori e i loro desideri.

Ed è proprio durante il loro peregrinare che maturano un’idea speciale. «Ho sempre detestato i matrimoni troppo sfarzosi – spiega Carmelo –. Volevamo unire alla festa qualcosa che desse un significato più profondo alla nostra unione». «Sì – prosegue Maria – volevamo ringraziare Dio per averci fatto incontrare, per aver dato inizio alla nostra storia, volevamo condividere con gli altri la nostra felicità. Allora abbiamo pensato di allegare alla partecipazione di nozze una lettera con la quale, invece dei regali di nozze, chiedevamo offerte per i bambini del Baby-hospital e l’orfanotrofio di suor Sofia a Betlemme. I soldi li avremmo consegnati personalmente perché il nostro viaggio di nozze sarebbe stato il pellegrinaggio in Terra Santa organizzato dalla diocesi di Fiesole».

E così è stato. Incoraggiati anche dal parroco di San Paolo alla Panca, don Paolo Ermini,Carmelo e Maria (rispettivamente 45 e 36 anni) si sono sposati il 16 ottobre e come promesso sono partiti per la Terra Santa insieme agli altri 350 pellegrini. Con loro, questa volta, hanno portato una cifra davvero significativa per aiutare bambini sfortunati e bisognosi. «Non ci crediamo neppure noi – continua Carmelo – ma al momento abbiamo ricevuto in dono 14 mila euro e da casa dicono che ne stanno arrivando ancora». Non solo: insieme ai soldi i nostri due sposi hanno ricevuto bellissimi biglietti di accompagnamento dove le persone ringraziano di aver avuto l’opportunità di fare qualcosa di buono e di utile. «La nostra “strana” richiesta – precisa Maria – ha contagiato anche tanti estranei. C’è stato un incredibile passaparola. Un’intera casa di riposo ha deciso di contribuire alla causa. Ognuno ha dato quanto poteva permettersi: abbiamo ricevuto da 1 a 600 euro».

Adesso i soldi sono finalmente giunti a destinazione. «Al ritorno dobbiamo ringraziare tutti, uno per uno», promettono gli sposi. Sicuramente ci vorrà un po’ di tempo perché le persone sono tante davvero!

Diario di viaggio20 OTTOBREArrivo all’aeroporto di Ben Gurion, alla periferia di Tel Aviv. Partenza per Nazareth. Sosta al Monte Carmelo che domina Haifa, una delle città più importanti di Israele. 21 OTTOBRENazareth. Visita della chiesa di San Giuseppe o della Nutrizione, museo e scavi, chiesa di San Gabriele con la fonte di Maria. Il suk e la Sinagoga. Basilica e grotta dell’Annunciazione. Salita sul Monte Tabor, visita al santuario della Trasfigurazione. Visita a Cana di Galilea nel santuario della Famiglia. 22 OTTOBRECafarnao, casa della suocera di Pietro, luogo dove sicuramente dimorò Gesù. Tabga («Settefonti»): Santuario della moltiplicazione dei pani e dei pesci e chiesa del primato di Pietro. Monte delle Beatitudini. Traversata del lago di Tiberiade in battello. Valle del Giordano fino a Gerico. Salita fino a Gerusalemme. 23 OTTOBREChiesa della Dormitio Mariae. Cenacolo. Nella zona del Monte degli Ulivi Cappella dell’Ascensione. Monastero delle Clarisse francesi. Chiesa del Dominus flevit, Basilica dell’Assunzione di Maria. Ingresso nella città vecchia di Gerusalemme. Chiesa di Sant’Anna, Via Crucis lungo la via dolorosa fino al Santo Sepolcro. Basilica del Getsemani. 24 OTTOBREBetlemme. Inaugurazione della scuola materna. Visita alla Basilica della Natività, alla grotta del latte. Visita al Baby hospital. 25 OTTOBREDeserto di Giuda. Mar Morto. Rientro a Gerusalemme. 26 OTTOBREBetlemme. Chiesa di Santa Caterina. Visita della città. Rientro in Italia. I pellegriniBen 350 provenienti dalle diocesi di Fiesole e Montepulciano-Chiusi-Pienza. Si aggrega anche un piccolo gruppo di Pontedera (Pisa). I vescoviAccompagnano i pellegrini il vescovo di Fiesole, Luciano Giovannetti (con all’attivo già 7 viaggi in Terra Santa), il vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, Rodolfo Cetoloni – di casa in Terra Santa, dove, nella chiesa di San Salvatore a Gerusalemme, fu ordinato sacerdote proprio 31 anni fa – e l’emerito di Volterra, monsignor Vasco Bertelli, decano della Terra Santa con i suoi 30 pellegrinaggi. Dall’Italia a Tel AvivSi alzano di buon’ora. Comincia intorno alle quattro o alle cinque del mattino del 20 ottobre la giornata per i toscani in partenza per la Terra Santa. Sono stati divisi dagli organizzatori in 7 gruppi, ognuno distinto da un colore diverso: celeste, arancione, bianco, giallo, rosa, rosso e verde. Anche i pullman per i vari spostamenti hanno lo stesso colore di riferimento. Cinque gruppi partono dall’aeroporto di Pisa, uno da Roma e uno da Milano. Il ricongiungimento – particolarmente faticoso per alcuni che devono letteralmente disfare la valigia al momento del controllo a Pisa – avviene a Tel Aviv dove il volo charter 5388 della compagnia israeliana «Sun d’or» atterra intorno alle 15. ClimaUna settimana di piena estate. La temperatura nel mese di ottobre a Gerusalemme e Betlemme, infatti, va da una media diurna di 27 gradi a una notturna di 15°. Le mascotteSono due gemelli di Montepulciano, Leandro e Lavinia Marzuoli, 7 anni, i più giovani partecipanti al pellegrinaggio. Sono accompagnati dai genitori. La più anzianaMaria Bovoli, 84 anni, è la pellegrina più anziana. Di origine bolognese, attualmente abita in Toscana dove fa la spola fra Torri, frazione di Rignano sull’Arno, e Viareggio in Versilia. L’emozione inaspettataDurante la Messa celebrata a Cana, le coppie di sposi sono invitate a sedersi intorno all’altare. È una sorpresa inaspettata. Il celebrante benedice nuovamente gli anelli nuziali e marito e moglie insieme ringraziano il Signore per il dono ricevuto. Commozione generale e, alla fine, grande applauso. L’imprevistoI piedi sono sicuramente tra i principali protagonisti di un pellegrinaggio. Chiedetelo a Marco Cappelli, di Incisa Valdarno, insieme alla moglie Carla una delle colonne portanti di tutto lo staff organizzativo. Alla vigilia della partenza Marco ha fatto un movimento sbagliato con il piede sinistro. Sul momento niente, il problema si è presentato a Gerusalemme. Secondo le radiografie si tratta di rottura di un ossicino e Marco è stato costretto all’ingessatura, con tanto di spostamenti su una sedia a rotelle. Ne avrà per un mese e mezzo. Da Tel Aviv all’ItaliaAl controllo dei bagagli all’aeroporto di Tel Aviv colpisce ancora ma questa volta a tappeto. Tutti indistintamente devono aprire valigie, borse e bagagli a mano. Un disastro a cui, per alcuni, si aggiunge il ritardo della partenza del volo. Arrivo in Italia in tarda o tardissima serata. OrganizzazionePressoché perfetta grazie ad uno staff, «ciceroni compresi», che è riuscito in una impresa faraonica. Complimenti. AttestatoAl termine della visita in Israele ogni pellegrino ha ricevuto l’«Attestato di stima» firmato dal ministro del turismo Gideon Ezra. ArrivederciTutti i partecipanti al pellegrinaggio sono inviatati all’incontro di domenica 14 novembre ore 15 a San Giovanni Valdarno. Non mancate! Progetto della regione per curare i bambini palestinesiGerusalemme – «Saving Children, medicine in the service of peace», dietro queste parole c’è un progetto concreto che da un anno cura bambini palestinesi in ospedali israeliani. In una terra martoriata da attentati, posti di sblocco che chiudono o aprono villaggi a insindacabile discrezione, rappresaglie, colpi di mortaio che fanno quasi sempre vittime indifese e civili, ci sono persone che stanno già vivendo, ogni giorno, una pace possibile, una coabitazione e collaborazione costruttiva. Questo progetto realizzato dalla Regione Toscana, dalla Fondazione Peres (il presidente Martini lo ha incontrato e ha cenato con lui a Tel Aviv), dall’ospedale Meyer, dall’Unicoop Firenze e dalla Conferenza episcopale toscana ha salvato dalla morte oltre 600 bambini in undici mesi. La sola Regione ha stanziato 400.000 € all’anno per i prossimi tre anni per poter curare i bambini palestinesi nelle strutture ospedaliere israeliane. Nel primo anno dovevano essere 200 ma, grazie alla generosità di molti, compreso anche Bill Gates, il numero è triplicato. Ma ancora più importanti sono «i successi non medici» come li ha chiamati il Presidente Claudio Martini dopo aver visitato l’ospedale di Hadassa, accompagnato da Eli Milgalter, medico israeliano e dal suo collega palestinese Cardiac Surgeon. Sì, perché grazie a questo progetto le equipe che curano i piccoli pazienti sono miste, si guarda alla professionalità e alle singole competenze e non all’appartenenza etnica. All’inizio è stato anche un problema di sicurezza, hanno spiegato i sanitari: c’era la paura di far entrare palestinesi in ospedali israeliani. Le città palestinesi, sono rese impenetrabili dal muro che le circonda e dai check point, che quando vengono chiusi senza preavviso (a noi è successo lunedì mattina a Betlemme) fanno restare ciascuno dov’è, ambulanze comprese. Grazie al lavoro della Fondazione Peres che segue fin dalla diagnosi il singolo caso, aiutando nel disbrigo di tutte le pratiche, molti bambini sono stati operati in tempo. Alcune malformazioni cardiache, un terzo delle operazioni hanno riguardato il cuore, diagnosticate e operate nei primi mesi di vita, hanno non solo salvato il bambino ma hanno anche definitivamente risolto ogni problema. «Con questo lavoro – ha spiegato il dottor Milgalter – la cosa positiva che abbiamo scoperto, oltre la medicina, è che possiamo collaborare. Inoltre per noi è molto significativo che tutti i reparti dell’ospedale siano coinvolti e non solo quello dove vengono ricoverati i bambini». Renato Burigana

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