Toscana

A Betlemme la resistenza dei frati e delle suore di Poggio a Caiano

DI ANDREA FAGIOLIPer entrare nella Basilica della Natività occorre piegarsi. L’angusto ingresso, detto Porta dell’Umiltà, impone un atto di riverenza per uno dei principali luoghi santi della cristianità: la grotta che accolse il primo vagito del Dio fattosi uomo.

Si prova un’emozione tutta particolare a varcare quella soglia sovrastata da enormi pietre. Più che una basilica, all’esterno sembra una fortezza. E quel passaggio, alto poco più di un metro, è lì per proteggerla dagli invasori. L’arco costruito dai Crociati fu ribassato quattro secoli fa per evitare che i musulmani vi entrassero a cavallo. Oggi sembra lì per tentare di scoraggiare addirittura i carrarmati israeliani. Ma mai come in questi giorni la basilica è andata ed è così vicina alla totale profanazione.

«La porta sud della Natività è stata sfondata dall’esercito israeliano ed i palestinesi che prima si trovavano dentro la basilica ora si sono ritirati nel convento dove ci sono quaranta frati – raccontava nei giorni scorsi il francescano padre Ibrahim Faltas poco prima di essere sfiorato da un proiettile sparato da un cecchino israeliano –. Le scorte di cibo sono terminate e non possiamo uscire. L’unica cosa che possiamo fare è attendere che i palestinesi lascino il convento e che gli israeliani vadano via da Betlemme. Purtroppo, i palestinesi non hanno alcuna intenzione di uscire da qui. Sono oltre duecento e tutti armati, tra di loro ci sono civili e regolari. Non siamo loro ostaggi, anzi i rapporti con loro sono cordiali. Comunque, il problema più grave è che noi religiosi siamo in mezzo a due fuochi. Nel convento ormai non c’è più un posto sicuro».

Padre Ibrahim, molto conosciuto in Toscana soprattutto per i suoi rapporti con alcune diocesi e alcuni comuni, è stato ed è il punto di riferimento della stampa mondiale, ma anche lui, sempre così determinato e fiducioso, ha avuto momenti di scoramento: «Ci sentiamo abbandonati dal mondo», ha detto a distanza di una settimana dall’inizio dell’assedio da parte dei soldati israeliani dopo che nella basilica si erano rifugiati decine di palestinesi ed alcuni giornalisti italiani poi fatti uscire dopo una trentina di ore.

Ed è proprio da quel momento che sono iniziati i maggiori pericoli per i frati francescani e le quattro suore Minime del Sacro Cuore presenti a Betlemme: «Abbiamo paura, ma non vogliamo abbondonare questo luogo santo e le gente che è qui – ha fatto sapere la superiora suor Lisetta Vingi –. Abbiamo fiducia che la situazione si sblocchi. Speriamo nell’aiuto di Dio e che possano fare qualcosa i responsabili delle nazioni. Noi, comunque, vogliamo restare qui, finché non smettono di uccidere».

L’assedio israeliano alla Basilica della Natività ha finito così per sconvolgere anche la vita nella casa madre delle Minime del Sacro Cuore a Poggio a Caiano. È da lì infatti che sono partite, oltre a suor Lisetta, suor Faisa Aiad, suor Caterina Sulcis e suor Nunziatina Izzo. «È dal 1977 che siamo presenti a Betlemme – spiegano le suore di Poggio a Caiano –. Prima eravamo in cinque per l’assistenza allo studentato, ai francescani, ai padri armeni e ai pellegrini. Poi, con la crisi questi servizi sono diminuiti e le suore sono rimaste quattro».

Quattro suore, dunque, e quaranta frati che non hanno nessuna intenzione di abbandonare quella basilica «monumento di fede e di pietà per tanti cristiani fin dai primissimi secoli del cristianesimo».

«Non possiamo partire, anche se siamo a rischio, per non permettere che si scateni una tragica carneficina. Noi – dice il Ministro generale dell’Ordine dei frati minori, padre Giacomo Bini – restiamo sul posto, cercando di dialogare con tutti. Durante otto secoli i frati hanno sempre custodito con gelosia i luoghi santi, patrimonio di tutta l’umanità». E lo faranno ancora, ne siamo certi.

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