Toscana

Casa Maffi, oltre i manicomi, in mezzo alla gente

di Andrea Bernardini

In origine erano gli ospedali psichiatrici, meglio conosciuti come manicomi, dove gli ospiti, isolati dal resto del mondo, erano tenuti a freno grazie (si fa per dire) a pesanti – e invasive – terapie farmacologiche o l’elettroshock. Poi vennero i servizi di igiene mentale pubblici, che avrebbero dovuto adottare trattamenti più umani, nel solco della weltanshaung e, in particolare, dell’idea di follia che aveva lo psichiatra Franco Basaglia. La legge Basaglia ha trent’anni, ma i manicomi hanno resistito ancora per molto e il suo «spirito», ancor oggi, non ovunque è stato pienamente recepito.

Non è il caso delle residenze sanitarie di Fivizzano (in provincia di Massa) o di Olmarello (La Spezia), dove la Fondazione Casa Cardinal Maffi accoglie, nelle sue strutture, schizofrenici, bipolari, borderline.

Ce ne siamo resi conto noi stessi, vivendo per due giorni con ospiti ed operatori delle due strutture. Ma andiamo con ordine.

Una ripida salita porta alla residenza sanitaria di Olmarello, località del comune di Castelnuovo Magra, bel paesotto di ottomila anime in provincia di La Spezia. Una prestigiosa villa del ‘700, ristrutturata e grande 1500 metri quadri, si affaccia sulle dolci curve della collina. Dintorno, cinque ettari di verde, su cui sorge qua e là qualche piccolo rudere, dove vivono animali da cortile e dove si organizza qualche buona grigliata quando la comunità spalanca i cancelli al paese per far festa tutti insieme. C’è un oliveto, da cui, a novembre, si vorrebbero raccogliere le prime olive. E due porte da calcio verso cui tirare la palla, magari per tenersi in allenamento in vista degli Special Olimpics, che, nel 2007 a La Spezia, han visto i matti di Olmarello superare tutti nel torneo di football.

Dentro incontri umanità varia. Sguardi persi nel vuoto, ospiti che aspirano con voracità l’ultimo pezzo di cicca… Matteo chiede alle operatrici quale significato possa avere quella comunicazione del Ministero dei trasporti datata 1994 con cui gli si vieta di guidare il proprio veicolo vita natural durante dopo appena due fuoristrada.

Epperò trovi anche storie che danno speranza. Come quella di Sara, 29 anni, compiuti da pochi giorni (auguri!), originaria di Massa, quattro fratelli, tolta dalla potestà dei genitori, e che in vita sua è stata rimpallata da un orfanotrofio ad una famiglia affidataria e da questa ad una casa famiglia. Tutte esperienze fallite. Da più di cinque anni si trova qui. «Quando mi dissero che dovevo andare in una Rsa per disabili psichiatrici non la presi molto bene… ero molto giovane e pensavo che qui mi avrebbero rovinato» dice a Toscana Oggi. Ed invece, passo dopo passo, Sara è rinata. Ha acquisito fiducia in sé stessa, sa gestire il denaro, il comune di provenienza le ha pagato una borsa lavoro ed ora lei, che esce e rientra da sola in residenza, dà una mano nella scuola materna comunale. Ha anche un ragazzo, Diego, e con lui dice di star bene.

Lorella viene invece da Fucecchio, ha 47 anni; pure lei ha girovagato tra ospedali e case famiglia prima di approdare alla residenza sanitaria di Olmarello. Arrivata con un po’ di diffidenza (anche per la lontananza della mamma), adesso si dice serena. Ha una borsa lavoro in una scuola media di Ortonovo. Aiuta le bidelle a fare le fotocopie: di più, ora, non può fare, perché ha un braccio fasciato.

Riccardo e Diego lavorano in un vivaio, Alessandra e Claudio sono in una coop di tipo b e si occupano di manutenzione del verde. Dei 40 ospiti della struttura di Olmarello, sei lavorano all’esterno, altrettanti hanno una paghetta settimanale da gestire.

Marco Garuzzo, uno degli educatori, sa tutto di loro. Ma se gli chiedi quale patologia è stata diagnosticata agli ospiti, si trova in difficoltà a risponderti: «Alle classificazioni badiamo poco. Per noi, ciascun ospite è unico ed irripetibile. Ha alle spalle una storia personale e un futuro da giocarsi».

Poco distante da Olmarello, in località Mollicciara, ti affacci nel centro sociale comunale. La minuta Silvia Battistini, danzaterapeuta, gioca con Massimo, e quando vedono la nostra fotocamera digitale, entrambi si mettono in movimento… palle, elastici, stoffe, teli colorati, cerchi… tutto è utile per aiutare gli ospiti di Casa Maffi a riconoscere i colori, darsi un’idea corretta dello spazio e del tempo, tirar fuori le proprie emozioni. «Sì, perché buona parte delle loro crisi – dice Anna Tinfena, un’altra educatrice – nascono dalla incapacità di riconoscere e comunicare agli altri quello che provano».

Silvia studia le lezioni a tavolino. Ma poi le adatta all’umore degli allievi… la musica in questo ha il suo peso. Un Rondò Veneziano o una colonna sonora di Ennio Moricone non sono mai messi a caso.

La danzaterapia non è l’unica attività riabilitativa che coinvolge gli ospiti della Maffi. Ci sono laboratori di arteterapia, stimolazione cognitiva, creatività, drammatizzazione, ippoterapia, riabilitazione equestre, estetica…

E tutto questo perché, per dirla con le parole del direttore generale della Fondazione Maffi Mauro Torselli «laddove c’è anche una pur flebile speranza di recupero, diviene un nostro imperativo perseguirla».

Non è un caso che le due strutture di Olmarello e Fivizzano hanno in organico delle figure professionali, come gli educatori e gli animatori, non previste o in numero assai superiore a quanto indicato nei rispettivi protocolli regionali.

Meno pasticche, più stimoli. Le diverse èquipes – infermiere, Osa, educatori – si aggiornano in continuazione e si mettono in gioco attraverso gli annuali progetti-qualità, che sono incentivati economicamente. «Perché il pericolo sempre latente – dice il responsabile della struttura Giuseppe Mussi – è che la familiarità acquisita con gli ospiti, ci faccia abbassare la tensione e dimenticare gli obiettivi che ci siamo dati: il miglioramento delle loro capacità e, in definitiva, della loro qualità di vita».

Era bulimica. Adesso Tiziana è rinata

A Fivizzano la residenza «Maffi» è un po’ distante dal centro. Chi la costruì non poté progettarla vicino al paese… né la gente del posto avrebbe fatto salti di gioia a vedere quella strana gente affacciarsi in piazza. Erano altri tempi. Cinquantacinque anziani non autosufficienti, adulti inabili, adulti con disturbi psichiatrici… alcuni si erano macchiati di reati penali ed avevano provato l’esperienza del carcere, altri erano stati mandati in manicomio e erano usciti – distrutti – quando hanno gettato via la chiave di quelle strutture. Gian Piero è uno di loro. Al nostro arrivo ci dà il benvenuto a modo suo, con gesti che ne tradiscono la lunga permanenza in manicomio. Nino e Carlo, preferiscono le nude mattonelle alla linda biancheria dei loro letti per fare la pennichella. Marco si agita… «Se vogliamo continuare l’intervista – dice Emmanuelle Siriu, 37 anni, origini francesi, da una vita ormai in Italia, una laurea in scienze dell’educazione ed ora responsabile della struttura di Fivizzano – meglio andare nel mio ufficio, perché altrimenti i suoi occhiali e la sua digitale sono a rischio». Prima di rifugiarsi in direzione, Alessandro, uno degli ospiti, bisbiglia al nostro orecchio: «Qui sono tutti matti». Grazie della premura. Entrano ed escono volti e storie che, se non fossero tremendamente serie, farebbero ridere. Giovanna, un passato fatto di frustrazioni e di vita di strada, dice di essere la reincarnazione della Madonna di Lourdes. Graziano mostra il cappello della polizia. Qui lo chiamano reverendo generale: tira fuori dal suo portafoglio tesserine di tutte le forze dell’ordine. Lui dice di esser stato da giovane una guardia carceraria, ma la guardia carceraria l’ha vista dall’altra parte delle sbarre… e probabilmente, nel tempo, vi si è identificato. Massimo, cappello da alpino, estrae una, due, tre pistole giocattolo. «Sono persone molto conosciute in paese – ci dicono – ed ogni tanto persino carabinieri e guardie forestali passano alla struttura berretti, guaine, stelle e gradi non più utilizzati per i nostri ospiti».

Già, perché negli ultimi anni, la direzione della Fondazione Maffi ha coltivato molto il rapporto con la gente del paese. Per vincere le diffidenze e, anzi, farsi aiutare, nel recupero – laddove possibile – dei propri ospiti.

Prendiamo Stefano, un ottimo artigiano con il vizio dell’alcol, arrivò qui undici anni fa. «Ti mando in una struttura a cinque stelle» gli disse il suo psichiatra. E probabilmente aveva ragione. Psichiatra, educatori e operatori hanno lavorato molto su di lui. Finché non lo hanno ritenuto pronto per uscire in paese. Prima, però, tutti i gestori dei locali pubblici sono stati avvisati: segnalateci se torna a chieder bicchierini. È stato di parola. Per tanto tempo ha fatto da manovale all’operaio addetto alla manutenzione della residenza, ora il suo comune di origine gli ha finanziato una borsa lavoro e lui lavora come operatore ecologico in una cooperativa sociale. È il primo caso di inserimento lavorativo nella struttura di Fivizzano, che si accolla casi mediamente più gravi di quelli di Olmarello.

Tiziana, classe 1960, un passato da bulimica, anoressica, alcolizzata e tossicodipendente, separata dal marito, madre di una figlia trentenne. Arrivò alla casa Maffi che pesava 35 chili, dopo che era passata da ospedali e comunità di recupero. Poi la cura medica, il lavoro certosino dello psichiatra, l’attenzione delle infermiere, la crescita dell’autostima… i genitori Giovanni ed Egea, anziani, ma con la scorza dura, ricordano ancora quando, poco prima di arrivare, vomitava al ritmo di una volta ogni due ore. Ora la ritengono una miracolata. Ha trovato un fidanzato (nella foto in alto eccola immortalata con il suo Marino) e, se non fosse per le sue ossa fragili, uscirebbe serenamente da sola dalla struttura.

Sono tante le occasioni di uscita offerte dal equipe degli educatori: i corsi di ippoterapia, le cene, le gite… e poi i laboratori artigianali e per la stimolazione cognitiva, la ginnastica dolce, la danzamovimentoterapia, l’auto mutuo aiuto.

Nel bel parco attrezzato che circonda la struttura trovano posto anche un piccolo orto ed un piccolo uliveto: trenta piante, da cui il frantoio vicino ha estratto una cinquantina di litri di olio, destinati all’autoconsumo ed andato a ruba soprattutto tra i dipendenti, medici di medicina generale, geriatra, psichiatra, infermiere, educatori professionali, operatori socio sanitari e socio assistenziali ed esperti esterni…

I cancelli si chiudono e si aprono (pur con prudenza), l’idea di una struttura-lager è superata da tempo. «Qualche rischio lo corriamo. Un ospite, giunto in paese da solo, ha preso poi la corriera ed è tornato nel paese di origine. L’abbiamo rintracciato a casa sua, a Portovenere: “avevo nostalgia delle mie parti” ci rispose quando lo ritrovammo» dice Emmanuelle. Panico per due giorni in struttura. Trasformato in un pizzico d’orgoglio: il nostro aveva mostrato a tutti, più o meno consapevolmente, di esser sufficientemente autonomo per cavarsela fuori da una casa protetta.

Barbieri (Ausl 1): così i malati psichiatrici sono tornati a casa

In provincia di Massa non c’è mai stato un ospedale psichiatrico. Per anni e anni i malati psichiatrici del territorio sono stati ricoverati nei manicomi di Lucca, Genova, Castiglione delle Stiviere (Mantova). Poi, con la legge Basaglia, sono, lentamente, rientrati nelle famiglie (laddove esistevano ancora). Un processo, questo, che si è concluso alla fine degli anni Novanta.

Ci racconta tutto la dottoressa Raffaella Barbieri, direttore dei servizi sociali della Azienda Usl 1 di Massa: «Il rientro delle persone dagli ospedali psichiatrici è stato seguito passo passo dal gruppo multidisciplinare di riferimento (lo psichiatra, lo psicologo, l’assistente sociale, il medico curante etc..). Laddove era possibile, i malati psichiatrici sono rientrati in famiglia. Altrimenti sono stati invitati a trasferirsi in residenze sanitarie: il territorio è ben fornito di queste strutture, ce ne sono diciotto in lunigiana e nove nella zona apuana. Quella della Fondazione Maffi a Fivizzano è, in questo senso, una struttura qualificata».

Come si trovano i soggetti ex manicomiali nelle residenze sanitarie?

«Chi ha vissuto venti o trent’anni in un ospedale psichiatrico è abituato a stare nelle regole e non ha particolari problemi ad inserirsi nelle residenze sanitarie. Certo, per questi ospiti, il massimo a cui si può aspirare è la socializzazione».

Una volta affidati ad una struttura, l’equipe multidisciplinare che segue in soggetto, si ritira?

«No, condivide il progetto dell’equipe che lavora nella residenza assistita. In particolare, con la Maffi, lo scambio di informazioni è particolarmente intenso: i nostri esperti più volte si sono recati nella struttura di Fivizzano anche per tenere corsi di formazione».

Come funziona la formula della borsa lavoro?

«Se vediamo che l’ospite è pronto per un’esperienza lavorativa, edificante per la sua autostima, concordiamo con l’ente locale di origine un contributo a favore di quel soggetto: soggetto che lavorerà in una struttura pubblica o in una cooperativa sociale in carico al comune di origine… poi, se il suo contributo risulterà significativo anche per il datore di lavoro, quella esperienza potrà trasformarsi in assunzione. È il caso anche di alcuni ospiti delle Rsa Maffi di Fivizzano ed Olmarello. Una cosa più di altre mi preme di sottolineare di quelle residenze: l’apertura verso l’esterno. Una scelta che paga: fa bene agli ospiti e fa bene anche alla gente, che, convivendo con malati psichiatrici ben seguiti, vince la naturale diffidenza verso il diverso».

«I porte i mati».  «E però i ghe staan attenti»

La residenza sanitaria di Olmarello? Un centro di qualità, dove operano fior di professionisti»: Marzio Favini, 39 anni, pd, un passato da assessore ai servizi sociali, e dal 2004 primo cittadino del comune di Castelnuovo Magra, conosce bene la struttura di Casa Maffi: «pienamente integrata nel territorio. Di più: un centro capace di dar lavoro a molte persone che risiedono in questo lembo di terra. Non solo il personale interno, ma anche le ditte esterne autorizzate che a Casa Maffi offrono i servizi di mensa, di pulizie e di lavanderia».

Che percezione ha la gente della residenza di Olmarello?

«Quella struttura è stata a lungo inutilizzata e i paesani se ne chiedevano il motivo. Poi, quando si è cominciato a parlare di una destinazione a Rsap, la prima reazione è stata di una certa apprensione… “I porte i mati a Olmarello”. La professionalità del personale, però, ha tranquillizzato tutti e col tempo a quella prima battuta, si è associata l’osservazione “E però i ghe staan attenti”. Sì, la Fondazione Maffi garantisce quella cura degli ospiti che difficilmente altrove si trova. Una bella testimonianza, insomma, in un settore come questo dove l’assistenza viene considerata un semplice costo e non una risorsa».

Il sindaco di Fivizzano: «Trovai i cancelli aperti…»

Anche Loris Rossetti, classe 1957, sindaco di Fivizzano (Massa), riconosce alla nuova direzione della Fondazione Maffi la scelta di sposare in pieno lo spirito della legge Basaglia. «Quando mi recai per la prima volta nel 1999 nella struttura non ne avevo sentito parlare particolarmente bene. Ed invece trovai il cancello aperto e una dirigenza motivata ad aprirsi al paese… mi chiesero di organizzare un incontro pubblico con le autorità e le associazioni del territorio: quel convegno ha cambiato profondamente la percezione che la gente ha di quella struttura».

A Fivizzano la Pubblica Assistenza locale fa la spola con la struttura della Fondazione Maffi per portare gli ospiti in gita o a fare una pizzata… In paese, i prodotti artigianali provenienti da quella residenza vanno a ruba, quando, una volta al mese, i disabili psichiatrici presidiano il loro banco nel mercato paesano.

È facile parlar bene di una struttura lontana dal cuore del paese. E se si trasferisse in centro?

«Io credo – dice il primo cittadino – che sarebbe comunque ben accolta dalla gente».

La schedaIn principio era Casa della carità Cardinale Maffi, dal nome del grande scienziato (fu presidente della Specola vaticana) e arcivescovo di Pisa degli inizi del Novecento. L’ente, voluto e realizzato dal sacerdote Pietro Parducci, parroco di San Pietro in Palazzi, fu istituito con decreto dell’arcivescovo di Pisa Gabriele Vettori del 10 febbraio 1947. Allora l’ente gestiva l’asilo infantile di San Pietro in Palazzi, un orfanotrofio femminile e una casa di riposo per anziani. La natura giuridica di Fondazione è arrivata il 18 maggio del 1998. Oggi la Fondazione gestisce sette strutture: le residenze sanitarie assistenziali di San Pietro in Palazzi, Cecina, Mezzana e Fivizzano, il centro di riabilitazione e residenza sanitaria per disabili di Collesalvetti, la residenza sanitaria assistenziale psichiatrica de l’Olmarello (Castelnuovo Magra, Liguria).