Toscana

Ciminiere spente in Toscana così soffre la grande industria

Aziende di varia grandezza e importanza che ricoprivano un ruolo importante in molti settori produttivi e dei servizi: dal metalmeccanico all’edile, dall’agricoltura all’abbigliamento, dal farmaceutico all’idrotermale, che impiegavano oltre 40 mila dipendenti, condizionando l’economia delle province toscane. Molte di queste aziende non esistono più, altre hanno subito un forte ridimensionamento, per altre ancora la sorte è stata più benigna e, dopo essere state privatizzate, hanno intrapreso un nuovo più fortunato cammino con un nome diverso. Chi ne ha fatto le spese è stata l’occupazione e gran parte dei 60 mila posti di lavoro persi negli anni ’90 appartenevano ad aziende a partecipazione statale.Sparite le imprese a partecipazione pubblica sono rimaste le cosiddette «industrie di base», che nel triangolo del Nord fanno da collante a quelle medie e piccole. I «giganti» toscani sono pochi e non vivono tempi tranquilli: basta pensare alle acciaierie di Piombino, alla Breda di Pistoia e alle tante altre che vivono traversie diverse.

Il resto è minutaglia (lo diciamo con rispetto, non con disprezzo). Una minutaglia che comprende aziende con migliaia di dipendenti e fatturati milionari, ma che non riescono ad andare oltre le dimensioni medie. Nel corso degli ultimi anni si è quindi ridotto ulteriormente il peso dell’industria con la conseguenza che la crisi non ha fatto altro che accelerare quel processo di trasformazione del sistema toscano, già avviato negli anni precedenti, e che era alla base delle preoccupazioni sul futuro dell’economia regionale.

Molte speranze erano riposte, e in parte lo sono ancora, nei distretti industriali dove sono presenti  in larga parte le piccole e medie imprese (specializzate spesso in produzioni tradizionali), le principali protagoniste del “miracolo economico” toscano. Questo modello di sviluppo è riuscito a fare dell’elasticità della piccola e media impresa l’arma vincente, ma negli ultimi anni (ancora prima della recente crisi) è apparso in difficoltà suggerendo l’ipotesi di un loro presunto declino.

Si può invertire il processo di deindustrializzazione? Secondo Stefano Casini Benvenuti, direttore dell’Irpet (l’istituto per la programmazione economica) è possibile, costruendo condizioni più favorevoli per investire nell’industria, e favorire la nascita di nuove imprese.

Segnali di buon auspicio vengono dall’esito positivo della cessione dei Nuovi Cantieri Apuani, dopo una lunga vertenza, e dal rifinanziamento del progetto «Tetra» della Selex Elsag, un’azienda tecnologicamente all’avanguardia. Fanno anche ben sperare le indicazioni che vengono dal Parlamento europeo sul futuro della Lucchini. Mentre a livello nazionale ancora si discute, i gruppi del Ppe (Partito popolare europeo) e S&D (Socialisti e Democratici) hanno presentato una risoluzione comune che invita la Commissione europea a monitorare da vicino gli sviluppi futuri degli stabilimenti siderurgici in crisi. Tra gli stabilimenti indicati nella risoluzione, c’è anche Piombino che potrebbe beneficiare di un programma europeo di sostegno alle imprese siderurgiche.

Si possono riaccendere le ciminiere dalla Toscana industriale, ma se non si interverrà si prospetta un futuro non proprio esaltante per la Toscana, che corre il rischio di perdere rami importanti in alcuni settori strategici per l’industria del futuro. Anche perché le alternative, seppure importanti, non possono essere solo la moda, i porticcioli o gli agriturismo.