Toscana

I tempi della famiglia

DI ANDREA BERNARDINIUna provocazione nel nome del santo degli innamoratiL’idea suona come una provocazione: riscoprire una tradizione che voleva Valentino, vescovo di Terni, costruire le doti per quelle ragazze povere che altrimenti non avrebbero potuto sposarsi.

E tirar fuori da una prospettiva meramente commerciale il giorno di San Valentino (che il tam tam pubblicitario ce lo fa associare a cioccolatini, rose rosse, sms più o meno gratuiti e cene al lume di candela), recuperandolo nel suo significato di festa della famiglia.

Come? Premiando, ad esempio, una coppia di sposi, Danila e Massimo Niccolai che con altre quattro famiglie e una comunità di padri gesuiti, ha costituito a Villapizzone (Milano) una delle prime esperienze in Italia di condominio familiare, dando vita ad una cooperativa che dà lavoro ad una sessantina di persone tra disabili, ex detenuti, soggetti a rischio.

La festa è in programma questa domenica 13 febbraio, vigilia di San Valentino, alla Casa della Città “Leopolda” di Pisa (ore 16-19). Sarà una festa “formato famiglia”. Animata dal clown Cristiano Masi, in arte Rufus. Un recital dei giovani della parrocchia dei santi Pietro e Paolo di Livorno (dal titolo «Un genio in famiglia») offrirà spunti di riflessione sul ruolo di genitori e figli.

Un talk show dal provocatorio titolo “Ma in casa non si timbra il cartellino” darà il via ad un ragionamento sulla qualità del tempo speso in famiglia. L’incontro, moderato dal vicedirettore di Toscanaoggi Andrea Fagioli, si avvarrà del contributo della giornalista Isabella Poli, membro del Comitato per l’applicazione del Codice tv e minori e della Commissione minori e programmazione Rai, e del sociologo Massimo Ampola.

Se in famiglia non c’è tempoper il dialogo ma solo per la tvLa scuola (17%) e l’educazione dei figli (13%) tengono banco a tavola (soprattutto alla sera), più della politica e della gestione del denaro. Anche se in famiglia si condividono soprattutto i problemi personali. Ma solo in 18 famiglie su cento si trova il tempo di dialogare almeno una volta al giorno e in cinque casi su cento non si trova mai il tempo. Né il tono del dialogo è sempre costruttivo: per il 28% delle famiglie su scuola, figli, denaro, politica più che confrontarci… ci si scontra.È quanto emerge da un sondaggio proposto dagli studenti del liceo di scienze sociali Eugenio Montale di Pontedera ad un campione rappresentativo di famiglie toscane. Sondaggio che sarà presentato alla Leopolda di Pisa domenica 13 febbraio in occasione della festa del San Valentino delle famiglie promossa dal consultorio familiare Ucipem, dal nostro settimanale, dall’unione cattolica della stampa italiana (Ucsi) e dall’Azione cattolica diocesana di Pisa. Tempo libero personale, una chimera Papà e mamma sostengono di aver poco tempo per coltivare interessi personali: non più di quattro ore a settimana per oltre la metà delle mamme e per il 42,8% dei papà. Ma un adulto su tre ritiene di non aver nemmeno un attimo da dedicare a sé stesso. In famiglia dalle tre alle cinque oreLa maggior parte degli intervistati dice di trascorrere insieme in famiglia tra le tre e le cinque ore al giorno, 40 famiglie su cento anche di più. Tempo giudicato insoddisfacente dal 52% degli intervistati. Insieme a tavola alla seraA tavola si siede tutti insieme in nove famiglie su dieci alla sera, in 43 casi su cento a pranzo e in 21 casi a colazione, a pranzo ed a cena. Ma la cucina e la tavola sono delegati, in genere, a mamma o papà: in sole tre famiglie su cento la preparazione dei pasti coinvolge tutta la famiglia. Cosa si fa a casaLe attività più comuni svolte insieme ai figli: il dialogo, il gioco, guardare la tv. Già, guardare la tv. Sono soprattutto i papà a farlo con i propri figli: 10 su cento papà contro cinque mamme su cento. Quante ore al giorno? Tra una e due per il 62% dei casi, meno di una per il 22%, tra tre e cinque per il 14% degli intervistati, più di cinque per l’1.4%. Si guardano soprattutto cartoni animati (seguiti da genitori e figli entro i cinque anni di età in 47 casi su cento), film (li guarda una famiglia su tre se in casa ci sono over 15enni), attualità (anche in questo caso specie se i figli sono adolescenti), pochi documentari: in sei famiglie su cento se i bambini hanno da zero a cinque anni, in appena due su cento se i bambini hanno dai sei ai 14 anni.Antonello Riccelli, consigliere nazionale dell’Ucsi: «La tv non va demonizzata. Anche i risultati di questa indagine dimostrano come essa sia, nel bene o nel male, una significativa agenzia educativa. Educhiamo allora i giovani e le famiglie a farne buon uso». Il dialogo In famiglia si intavola un argomento di dialogo una o due volte alla settimana in 43 casi su cento, ma non se ne trova mai il tempo in cinque casi su cento. Argomenti del dialogo: i problemi personali (secondo il 25,3% delle risposte date agli studenti del Montale), la scuola (nel 17,10% dei casi), l’educazione dei figli (secondo il 12,9% delle risposte). Si parla invece poco di cultura, di spunti ricevuti da conferenze o dalla lettura dei libri (8,3%) di politica (7,8%) e meno ancora di gestione del denaro.Quale tono si usa? Il tono del confronto nel 72,3% dei casi e dello scontro nel resto delle famiglie intervistate. E il livello di conflittualità aumenta se in casa ci sono figli adolescenti o in caso di famiglie numerose. La relazione tra famiglieIl 62% delle famiglie intervistate dichiara di aver rapporti costanti con altre famiglie. Le famiglie si frequentano nei week-end (41%), la domenica (32%), ma in 23 casi su cento anche più volte la settimana e in quattro casi su cento tutti i giorni. Ci si trova tra famiglie per svago, passeggiate, gite o uscite (30,9%), per festeggiare un evento (20,4%) o semplicemente per mantenere un rapporto, anche grazie a cene o vacanze (18,9%). Si sta insieme per permettere ai figli di coltivare la loro amicizia (18,9%), ma anche per mantenere interessi di tipo culturale e religioso (10,4%) e solo in un caso ogni duecento per svolgere attività di volontariato o di solidarietà (0,5%).

Famiglie, dunque, aperte o chiuse? Per Isabella Poli, giornalista, membro del comitato per l’applicazione del codice tv e minori, «dal sondaggio si ricava l’impressione di una famiglia poco socializzata all’esterno e dove si è molto attenti ai propri interessi personali. Allo stesso tempo, però, si rilevano anche elementi di segno opposto. Apparentemente, infatti, si dialoga molto all’interno della famiglia, anche se la compresenza fisica è limitata per più della metà degli intervistati alle sole ore serali. Quanto alla fruizione televisiva, sarebbe stato interessante anche conoscere quanti figli minorenni delle famiglie intervistate hanno il televisore in camera e quindi guardano la tv da soli».

Ore giornaliere trascorse in famigliaMeno di una 2,3%Tra una e due 13,4%Tra tre e cinque 44,9%Più di cinque 39,4% Le ritieni sufficienti?Sì 47,5%No 52,5% Quante volte alla settimanasi dialoga in famiglia?MAI 5,3 %UNA – DUE VOLTE 43,10 %DA TRE A CINQUE 33,8 %PIU’ DI CINQUE 17.80 % Quante ore al giornosi guarda la tv?MENO DI UNA 22,4 %TRA UNA E DUE 62,2 %TRA TRE E CINQUE 14 %PIU’ DI CINQUE 1,4 La storia:«Noi, gli inventori del condominio familiare»Danila e Massimo Niccolai si conoscono a Lione, nell’autunno del 1972, in occasione di uno stage di preparazione al servizio di volontariato nel Terzo Mondo. Lei è di Belluno, lui di Cremona. Famiglie cattoliche, precedenti nell’Ac, grandi speranze, un po’ di incoscienza, il desiderio di cambiare il mondo. Del loro amore missionario parlano Luciano Moia e Paola Tettamanzi nel libro La famiglia, la parrocchia, la pastorale (Editrice San Paolo) una raccolta di quattordici storie vere di famiglie aperte alla Chiesa ed al mondo. Nove mesi insieme a Lione, poi l’impegno in due progetti diversi nel Ciad: «Lavoravamo a 150 chilometri di distanza – raccontano – affidando ad amici e missionari di passaggio la nostra corrispondenza e cercando le occasioni più propizie per incontrarci pur mantenendo la fedeltà all’impegno preso».L’esperienza missionaria li ha forgiati. L’apertura al prossimo è entrata a far parte del dna della loro vita matrimoniale. Loro, i vincitori del simbolico premio del San Valentino delle famiglie, sono tra i fondatori della comunità di Villapizzone, alla periferia di Milano, una delle prime esperienze di condominio familiare in Italia. Con loro, in una vecchia cascina, vivono circa cinquanta persone, distribuite in alcune famiglie e in una comunità di gesuiti. «Famiglie – commenta Massimo – tutte con radici di volontariato in Italia o nel terzomondo, e che coltivano la dimensione dell’apertura e della condivisione. I gesuiti in questo contesto ritrovano per la loro vita religiosa una più stretta integrazione tra annuncio e testimonianza».La famiglia naturale è composta da Danila, Massimo, quattro figlie: Maria, Cecilia, Lucia, Chiara. «Ma con noi abitano da diversi anni Caterina e Francesco, mentre molti altri minori ed adulti si sono succeduti in accoglienze più o meno lunghe ed intense. Molti sono rimasti ancora figli a tutti gli effetti, coinvolgendoci nelle loro storie spesso travagliate o rendendoci nonni di nipotini che contribuiscono a riempire una casa mai vuota».

Quando telefoniamo ai due per prospettargli la nostra decisione di affidare loro il premio, troviamo Danila intenta a gestire un pranzo per diciassette persone. No, non si tratta di una festa: «Questo è l’ordinario».

Come si vive in questa comunità? «La vita comune – afferma Danila – è strutturata da ogni nucleo come meglio ritiene, con criteri comuni che ognuno realizza come può e crede. Non ci sono norme e regole. C’è invece la legge interiore del cuore, con la quale ognuno si misura, nel tentativo di favorire lo stare insieme. Ogni famiglia cerca di ispirarsi ai valori della solidarietà e della sobrietà».C’è una cassa comune nella quale ognuno versa quanto guadagna con il proprio lavoro ed ogni famiglia preleva quanto serve. I beni non sono di proprietà, ma in uso. Ognuno produce secondo le proprie capacità e consuma secondo i propri bisogni, in una reciproca fiducia totale. Il sovrappiù viene versato all’associazione «Comunità e famiglia», di cui Massimo e Danila sono cofondatori, istitutita con l’intento di dare la possibilità di avviare esperienze analoghe.

«Più che una comunità di servizio – commenta Massimo – è una comunità di vita, in cui si cerca di cogliere tutta la ricchezza del presente, con la sua precarietà e intensità che apre agli altri e al futuro».

Dall’esperienza lavorativa maturata nelle comunità dell’associazione, è nata la cooperativa «Di mano in mano». Si tratta di una impresa sociale che si occupa di sgomberi di appartamenti, riciclo tramite il mercatino dell’usato e smaltimento dei vari materiali smistati. Il lavoro, semplice e fattibile da tutti, è mezzo privilegiato di comunicazione e crescita nei rapporti. E coinvolge circa sessanta persone, tra soci lavoratori ed inserimenti lavorativi di giovani che vengono non solo dalle comunità, ma anche dal carcere, dalla strada o da situazioni di disagio sociale.

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