Toscana

Madonnina del Grappa: card. Betori, don Giulio Facibeni e don Corso Guicciardini due volti di paternità

Questo il testo dell’intervento dell’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, intervenuto in Palazzo Vecchio alla cerimonia organizzata per ricordare le figure di don Giulio Facibeni e don Corso Guicciardini

Sono profondamente grato al Sindaco, Dario Nardella, all’Assessore all’educazione e welfare, Sara Funaro, e all’Amministrazione comunale tutta per avere riservato una sede così prestigiosa per celebrare la memoria di don Giulio Facibeni, a dieci giorni dall’anniversario della morte, e don Corso Guicciardini, nel giorno del compleanno. Grato ovviamente all’Opera Madonnina del Grappa e al suo presidente don Vincenzo Russo per aver voluto questo appuntamento.

Il nome di don Corso, come quello del ven. don Facibeni, è scritto a caratteri indelebili nel cuore di tutti i fiorentini. La sua testimonianza, umile e generosa, è un tesoro che non potrà mai essere dimenticata. Abbandonando i privilegi di una nobile famiglia fiorentina, si è posto al seguito di don Giulio Facibeni a servizio dei poveri, inserendosi in quella corrente di Grazia che ha costituito una stagione preziosa ed esemplare del cattolicesimo fiorentino del secolo scorso. In questo giorno vogliamo idealmente inserire don Corso nel novero di quei testimoni che hanno onorato questa Chiesa e questa città: i venerabili card. Elia Dalla, prof. Giorgio La Pira e, appunto, don Giulio Facibeni. Come ho avuto occasione di sottolineare in altre circostanze, per comprendere appieno la figura di don Corso Guicciardini dobbiamo andare oltre la sua azione di uomo buono e generoso, attento e solerte difensore dei poveri. Certo è stato anche questo, e lo è stato in modo superlativo, tanto più superlativo, quanto più umile, discreto e, quasi, nascosto. Ma il segreto di Don Corso è stato il suo incontro con Gesù. Don Corso è un uomo che ha incontrato Gesù Cristo, è stato conquistato dal suo fascino, dal fascino della sua verità e della sua bellezza, e lo ha seguito fedelmente per tutta la vita. Come dice san Paolo, ha considerato spazzatura (Fil 3,9) la gloria del mondo e si è consegnato totalmente a Lui e al suo Vangelo. Di qui, e solo di qui, è nato il suo amore per i poveri, per gli ultimi e per gli emarginati.

In un articolo apparso nel 1957 su “Il Focolare”, il Notiziario dell’Opera della Madonnina del Grappa, don Corso, interpretando il carisma di don Giulio Facibeni, scriveva: «Non vogliamo sostituirci ai servizi sociali ben più organizzati di noi e neppure abbiamo la presunzione di risolvere i problemi di tutti. Ciò che noi operiamo nasce da una fede incrollabile nella paternità e nella Provvidenza di Dio. Ci facciamo samaritani nella storia di oggi chinandoci sulle sofferenze dei minori e di tanti poveri portandovi oltre che l’aiuto, l’olio della consolazione e della speranza. E’ così che intendiamo evangelizzare attraverso la carità. La nostra missione consiste nel camminare insieme, sacerdoti e laici, consacrati, associati e volontari, tutti legati nello spirito dell’Opera assumendo in solido le responsabilità e cercando di andare nel cuore dell’uomo».

L’obiettivo chiaro e forte è, dunque, evangelizzare attraverso la carità, annunciare Cristo attraverso l’amore di Cristo; la carità come segno e sacramento della Sua presenza nella storia, spesso drammatica dell’uomo. Degno discepolo di don Facibeni, anche don Corso ha fatto suo con la vita, il motto dell’Opera: “Nos credidimus charitati” (1Gv 4,16) – Noi abbiamo creduto all’amore! Dunque, Cristo al centro, ma non in vista di uno spiritualismo astratto e disincarnato. Tutt’altro! E’ impressionante, anzi, constatare quanti ambiti di intervento ha visto impegnata la carità di don Facibeni e poi di don Guicciardini: orfani, case di accoglienza, ex detenuti, adulti con disagi, ragazze madri o a rischio, immigrati e bisognosi di tutti i tipi. Possiamo dire davvero che la loro esistenza è stata una sintesi completa e armoniosa fra dimensione verticale e orizzontale della vita cristiana. La loro esistenza si è radicata nell’amore del Padre e ha abbracciato tutta l’umanità bisognosa e sofferente che ha incontrato. Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, è diventato così per don Corso, come già per don Giulio, il modello dell’uomo nuovo. Forse per questo tanti suoi amici hanno percepito in lui il fascino di un’umanità straordinaria, anzi, hanno riconosciuto in lui un riflesso fedele, del modello dell’uomo vero, Cristo! Così ricordiamo e così onoriamo questi nostri fratelli, raccogliendo il messaggio di umanità e di fede che è stata la loro vita.

Giuseppe card. Betori

Arcivescovo di Firenze