Toscana

Medio Oriente, per Bush stato palestinese ma senza Arafat

DI DANIELE ROCCHI“Diciotto mesi per la nascita di uno Stato palestinese provvisorio, tre anni ancora di negoziato per raggiungere una soluzione definitiva. Ma prima di tutto questo lotta serrata al terrorismo, elezioni locali e parlamentari, approvazione di una nuova Costituzione e ricambio del gruppo dirigente palestinese. Infine il ritiro israeliano entro le posizioni del settembre 2000, prima dell’inizio della seconda Intifada e la sospensione degli insediamenti nei Territori occupati”. Sono questi i principali punti che compongono il piano di pace americano che il presidente Usa Bush ha illustrato lo scorso 24 giugno suscitando reazioni ‘favorevoli’ da Israele e ‘apprezzamento’ da parte palestinese. Ne abbiamo parlato con l’esperto di politica internazionale Romanello Cantini.

Nel piano di pace americano si parla di uno Stato palestinese dai confini provvisori. Ma come può reggersi uno Stato senza confini certi?

“Quello dei confini è un discorso difficile quanto quello che riguarda lo status di Gerusalemme. Secondo il piano di Bush Israele deve tornare sulle posizioni del settembre 2000. Si tratta di una proposta simbolica poiché bisogna offrire qualcosa al mondo palestinese. Bush ha atteso un momento di calma dopo i recenti attentati terroristici prima di fare questa proposta. Quello del presidente americano è, infatti, un disperato bisogno di staccare la questione palestinese dalla lotta al terrorismo che lo vede impegnato dopo l’11 settembre scorso”.

Cosa potrebbe favorire l’attuazione di un piano del genere?

“Due debolezze. Una è quella oggettiva di Sharon che nonostante tutte le incursioni nei Territori non è riuscito a debellare il terrorismo e garantire sicurezza al suo popolo. L’altra è quella di Arafat che si sta accorgendo che se da un lato il terrorismo può avere conseguenze drammatiche in Israele dall’altro lo isola sul piano internazionale. La dimostrazione sta nel fatto che nessuno dei due leader in lotta ha detto aprioristicamente ‘no’ al piano”.

Alla luce della richiesta americana di elezioni democratiche e di nuovi leader, la posizione di Arafat sembrerebbe la più debole…

“Credo che questa sia la parte più difficile del piano da realizzare. Quella di chiedere nuove elezioni e nuovi leader al popolo palestinese è una concessione fatta a Sharon per fargli accettare l’idea di uno Stato palestinese. Tuttavia mi chiedo dove sono i moderati che possono sostituire Arafat che ha già detto di voler fare le elezioni all’inizio del 2003. E se Arafat fosse di nuovo eletto sarebbe molto difficile negargli la rappresentanza politica del suo popolo”.

E per quanto riguarda la Costituzione e le nuove Istituzioni anche giudiziarie?

“Sono legate alla lotta al terrorismo. Con un ordine giudiziario staccato dal potere politico sarebbe più facile punire i terroristi oppure, ad esempio, abbandonare quell’usanza barbara di linciare in piazza, come è accaduto negli ultimi mesi, i presunti collaboratori degli israeliani e ripristinare le ragioni di uno Stato di diritto. Resta da vedere chi può essere quel moderato che potrebbe attuare queste riforme”.

A Israele viene chiesto di sospendere la politica degli insediamenti ed il ritiro entro le posizioni del settembre 2000. Due punti cari a Sharon che li aveva usati nella sua campagna elettorale…

“Due concessioni che il Governo israeliano deve fare se si vuol parlare di pace. Prima di tutto è necessario togliere gli insediamenti che sul piano della sicurezza si dimostrano indifendibili. Con la costruzione del muro israeliano resterebbero addirittura fuori dai confini e per questo molti coloni stanno già protestando. Senza dimenticare che il riposizionamento di Israele entro i confini del settembre 2000 significa il rientro di 200 mila coloni”.

Perché nel piano non si parla di Gerusalemme e del rientro dei profughi?

“Perché sono due nodi per certi versi insolubili e da affrontare con negoziati lunghi e complessi. Non c’è dubbio che i profughi palestinesi hanno diritto a ritornare. Ma si tratta di 4 milioni di persone che se rientrano in Israele mineranno l’identità del Paese. Così come il ‘problema’ di Gerusalemme, che può essere risolto solo con uno statuto internazionale, come auspicato dal Papa.

La diplomazia americana con questo piano sembra interessarsi di nuovo del Medio Oriente. E l’Europa?

“Può avere un peso importante. Il piano americano non può prescindere dalla posizione europea che vede in Arafat un interlocutore privilegiato. Resta da vedere poi la reazione di Putin a questo piano. A riguardo credo che ci sarà molto da discutere”.ANP, ELEZIONI PRESIDENZIALI E LEGISLATIVE A GENNAIO 2003