Toscana

Speciale 30° Georgofili: la risposta della città, in piazza per difendere libertà e democrazia

Il 27 maggio del 1993 intorno alle una del mattino ero in casa, ancora sveglio. Stavo guardando le ultime notizie alla televisione e contemporaneamente avevo preso in mano un libro da portarmi a letto per leggerlo. All’improvviso sentii un boato. Non capivo da quale direzione provenisse. Ero vicesindaco di Firenze e per scrupolo chiamai il centralino dei vigili urbani tre o quattro volte. Nessuno rispose. La mattina alle 6 del 27 maggio mi telefonò il sindaco Giorgio Morales che mi disse: «Sembra sia scoppiato una tubatura del gas in via dei Georgofili, è un mezzo disastro, andiamo a vedere che cosa è successo». Quando arrivai in via dei Georgofili il disastro avvenuto era evidente, la torre del Pulci diroccata, alcune porte delle abitazioni sventrate e alcune finestre annerite dal fuoco dell’esplosione.

Poco dopo i vigili del fuoco e le forze dell’ordine che erano presenti per i primi soccorsi fecero sapere a Morales e a me che si trattava molto probabilmente di una bomba. Il sindaco e io ci si domandò chi poteva aver fatto un attentato alla parte posteriore degli Uffizi e all’Accademia dei Georgofili. Nell’immediato non riuscivamo a capire che cosa fosse successo ed eravamo profondamente colpiti dalla morte della famiglia di un ispettore dei vigili urbani, la cui moglie faceva la portiera ai Georgofili, che viveva nella torre del Pulci. Tra le vittime furono trovate due bambine. Una piccolissima. Era morto anche uno studente di Sarzana.

Sul posto nel frattempo era arrivato Pier Luigi Vigna che stava da una parte a guardare la scena e senza dirci una parola. Vigna era procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze ed era un carattere notoriamente scorbutico. E noi ci guardammo bene dal parlargli.

Solo qualche tempo dopo Vigna avvicinò il sindaco Morales per dirgli quello che già sapevamo: «è stata una bomba». Vigna poi diventerà procuratore nazionale antimafia. Verso le 12 arrivò una telefonata in Palazzo Vecchio del prefetto di Firenze. Il ministro dell’interno Mancino voleva vedere entro un’ora Giorgio Morales e me nella prefettura in Palazzo Medici Riccardi. Quando arrivammo in prefettura si fu introdotti da un poliziotto in una sala dove c’era il ministro Nicola Mancino. Ci fece accomodare su due poltrone e ci disse: «Le nostre indagini fanno risalire l’attentato alla mafia. Siamo quasi certi al 100% che l’origine dell’attentato sia mafiosa». Con Morales capimmo subito che quella era la tremenda verità e che l’attacco allo Stato della mafia si stava spostando nel centro nord della penisola italiana. Il ministro era preoccupato, noi come lui.

Tornammo in Palazzo Vecchio dove Morales aveva convocato una riunione dei capigruppo per aggiornarli su quello che era successo. Io stesi un appello alla città che inviammo ai giornali (la Nazione uscì con un’edizione spaciale nel pomeriggio), alle radio e alle televisioni per convocare per le una di notte del 28 maggio, a ventiquattr’ore dall’esplosione, una grande manifestazione silenziosa contro il terrorismo mafioso e in difesa della libertà, della democrazia e della Repubblica. Tra la sera del 27 maggio e la mattina del 28, all’ora stessa dell’attentato, nel silenzio assoluto di una piazza Signoria stracolma di popolo, suonò la Martinella di Palazzo Vecchio. La campana che aveva risuonato l’11 agosto 1944 per chiamare la cittadinanza alla lotta per la liberazione di Firenze dal nazifascismo. Finiti i rintocchi della Marinella, il campanone del Campanile di Giotto fece sentire i suoi tocchi. La piazza, nel frattempo piena fino all’inverosimile, si illuminò per le candele e gli accendini delle migliaia di persone presenti. All’ora stabilita uscì il Gonfalone di Firenze, medaglia d’oro al valor civile e medaglia d’oro al valor militare. Al suono delle chiarine si levò un grandissimo e prolungato applauso rivolto al Gonfalone della città ferita dal vile attentato mafioso. Il sindaco con fascia tricolore e io ci mettemmo col Gonfalone alla testa di un corteo che nel silenzio più assoluto, senza bandiere di partito, fece un breve tragitto per sostare davanti al luogo della strage.

Firenze dimostrò con quella grande manifestazione di silenzio e di forza la sua profonda avversione per la mafia e il terrorismo. Facendo capire al mondo che Firenze non arretrava di un millimetro davanti alla violenza antidemocratica e sovversiva. La ricostruzione degli immobili distrutti fu completata in pochi mesi.

*già vicesindaco Firenze