Toscana

Vino, dal metanolo alla resurrezione

di Andrea BernardiniDai cipressi che ispirarono i versi di Giosué Carducci alla vigna di Michele Satta il passo è breve. Quei cipressi ti invitano ad un esercizio di memoria, quella vigna – e chi la abita – ti danno una lezione di vita. Michele, 51 anni, nasce a Varese, ma da studente universitario si trasferisce in Toscana, si laurea a Pisa alla facoltà di agraria e a Castagneto Carducci costruisce, con la pazienza di un certosino ed i consigli di un grande enologo, Attilio Pagli, il suo successo. Oggi tiene trenta ettari di terra, in proprietà o in affitto, produce ogni anno 150mila bottiglie e dieci etichette tra doc e igt che vanno a ruba in tutto il mondo. Sposato, padre di sei figli – cinque donne ed un maschio – condivide con numerosi amici un’esperienza ecclesiale in Comunione e liberazione.

È un imprenditore-sindacalista, perché presidente della Coldiretti di Livorno. Perché la scelta del lavoro nella terra? «Mi sono innamorato della campagna, del lavoro manuale che l’accompagna, della sapienza dei contadini e dell’ordine naturale che vi regna. Mi sono innamorato della mutabilità degli eventi che l’accompagnano, così diversi ma al tempo stesso così uguali fra loro, messaggi che devono essere solo letti ed interpretati per accoglierli come semplici doni concessi per il tuo impegno profuso».

Venti anni fa, nel marzo del 1986, Michele Satta era già padre di quattro figli e lavorava in proprio da un paio di anni. Cosa ricorda di quei tempi? «Il caso del vino al metanolo suscitò una reazione emotiva notevole. In pochi giorni, si sgretolò quel rapporto di fiducia dell’italiano medio con la campagna e con chi lavorava la terra. Fui invitato a parlarne in un convegno a Milano… portare, in quella occasione, la voce dei produttori non fu facile». La nostra passeggiata tra le vigne è occasione per approfondire il Satta-style: «qui non si fa uso di diserbanti, le piante sono allevate ad archetto, la pulizia viene fatta a mano, così come il diradamento per regolare la vegetazione. Si vendemmia a piena maturazione passando a più riprese tra i filari per la scelta dell’uva, uva raccolta rigorosamente a mano e trasportata in cassetta».

E in cantina si usa il frigorifero per controllare le temperature di fermentazione dei bianchi e per decantare i mosti. I rossi vengono fermentati in tini di legno e trascorrono un anno o in barriques o in tini di rovere andando in bottiglia senza essere filtrati. Com’è cambiata la viticoltura in questi anni? «Sono stati venti anni straordinari, la qualità del vino è notevolmente migliorata. Il vino oggi meglio di ieri esprime e certifica la storia, il pensiero, i sogni, la fatica di chi l’ha prodotto. Il suo valore commerciale è cresciuto. Tutti ci invidiano il nostro vino. Difenderlo dalle imitazioni, specie fuori dal mercato europeo, è sempre più difficile. Negli States, ad esempio, passano come vini italiani etichette di qualità inferiore e che pure richiamano alla mente prodotti delle nostre terre».

In questi venti anni la famiglia è sempre stata vicina a Michele Satta: la moglie Lucia, oggi coautrice dei vini aziendali, Caterina, una laurea in biologia con una tesi sulla vite, Anna, Benedetta, Veronica, Maria. L’ultimo nato è Giacomo, 14 anni, al primo anno del liceo scientifico. «Nei tempi di vacanza pure lui dà una mano in vigna». Un investimento per il futuro? «Quando decidi di impiantare un vigneto le cui aspettative di vita sono di trenta o quarant’anni, non puoi fare conto solo sulla tua generazione. Ho avvicinato tantissimi giovani suscitando loro la passione per la campagna. E raccontando loro come dietro l’etichetta si nasconde il sacrificio del lavoro nei campi. Un lavoro gradito a Dio e utile all’armonia dell’uomo. Del produttore e del consumatore».

Vent’anni fa lo scandaloche provocò 26 vittimeVenti anni fa lo scandalo del vino al metanolo: 26 vittime, decine di consumatori gravemente feriti, un danno economico incalcolabile per la filiera vitivinicola nazionale. «Il vino fu adulterato con alcol metilico per aumentarne la gradazione – ricorda Angela Zinnai, docente di enologia alla facoltà di Agraria a Pisa –. Una frode talmente grossolana da risultare inspiegabile».

Perché? «È nota, infatti, l’elevata tossicità di questo composto. È sufficiente meno di un cucchiaio da tè per provocare un avvelenamento acuto da metanolo in un bambino, 28 milliltri in un adulto di 70 kg».

Come i viticoltori hanno riconquistato quella fiducia? «I viticoltori reagirono bene, investendo in efficaci innovazioni, in tutte le fasi della produzione. Obiettivo raggiunto, come indicano i numeri del vino italiano: più di una bottiglia di vino su cinque prodotta nel mondo è italiana, 12,44 milioni di ettolitri sono esportati all’estero (dati Ice, novembre 2004) per un importo di 2571 milioni di euro che fa dell’Italia il primo esportatore al mondo, con una quota del mercato del 25%. Il successo di un’impresa che inizialmente poteva sembrare disperata può essere legato alla capacità degli enologi, degli imprenditori, delle associazioni dei produttori e delle istituzioni di fare “sistema” cioè di lavorare insieme per il rinnovamento del settore. A favorire la ripresa hanno contribuito i risultati positivi delle ricerche sui benefici apportati dal consumo moderato di vino, specie se rosso, l’interesse dei media che hanno risposto al desiderio dei consumatori di conoscere questo mondo, la pubblicazione di guide, l’attivazione di corsi, la nascita di iniziative come i movimenti del turismo del vino».

Coldiretti: è aumentatala produzione di qualità Oggi nove bottiglie su dieci vendute in Toscana hanno un riferimento alla vigna d’origine. «In venti anni – commenta Andrea Pruneti, tecnico di Coldiretti Toscana – la produzione del vino nella nostra regione è diminuita sensibilmente, ma è cresciuto il vino di qualità». Le cifre parlano chiaro: dai 3milioni e 700mila ettolitri della fine degli anni ottanta, si è passati alla stima dei 2 milioni e 500mila ettolitri per la vendemmia 2005. Ma il 61% del vino prodotto è di origine controllata (doc) o di origine controllata e garantita (docg) ed anche tra il vino cosiddetto da tavola la maggior parte riporta il marchio dell’indicazione geografica tipica (igt): per cui segue un disciplinare meno stringente rispetto a doc e docg, sufficiente comunque a garantire un riferimento all’origine. Sono 5 le Docg riconosciute ai vini toscani, 32 le Doc, 5 i vini da tavola Igt. In Toscana sono 28mila le aziende grandi e piccole che dispongono di vigne, 60mila gli ettari di vigneto, di cui 38mila gli iscritti ad un albo di una doc o di una docg. Le aree a maggiore vocazione vitivinicola: Siena e Firenze, seguite da Arezzo, Grosseto e Pisa.