Toscana

Volontari toscani ad Aleppo per curare le «ferite» dei bambini

«Sono molto felice che siate venuti qui ad Aleppo. So che il viaggio è lungo e faticoso, ma la vostra visita ci rende meno soli, ci fa sentire la vicinanza di tanti amici fiorentini e toscani a cui stanno a cuore i bambini e le bambine di Aleppo». Con queste parole il vescovo George Abou Kazen ci ha accolto nella sede del Patriarcato latino di Aleppo.

In effetti il viaggio per raggiungere la città siriana è lungo, dieci ore di auto da Beirut. Anche se oggi è molto più veloce che alcuni mesi or sono: i posti di blocco sono ridotti e alcune strade sono state riasfaltate. Si viaggia di notte per trovare meno traffico, soprattutto nei chilometri che si devono percorre in Libano, dove il traffico di giorno è notevole. È sempre bene ricordare che nel Paese del cedro ci sono quattro milioni e mezzo di abitanti e quattro milioni di profughi. Ma strade, infrastrutture sono sempre le stesse.

«Aleppo ha voglia di rinascere, sta trovando la forza per ricominciare a vivere dopo sei anni di guerra, di bombardamenti casa per casa, strada per strada, che hanno provocato fame e l’esodo di oltre due milioni dei suoi abitanti», questo ci dicono gli aleppini che incontriamo nella nostra permanenza in città. Ci hanno fatto visitare la Cittadella, simbolo della resistenza. Siamo stati i primi non aleppini a salire e camminare in quello che è il simbolo della città.

Siamo partiti in nove da Firenze, una delegazione composita con un unico obiettivo: realizzare un grande progetto sanitario per i bambini e le bambine, sia per coloro che soffrono nella carne a causa delle ferite della guerra, sia per coloro che sono stati feriti nella mente e che hanno trascorso i sei anni di guerra nascosti sotto il letto, senza poter uscire di casa, giocare, andare a scuola, frequentare compagni e amici.

Sono con noi Silvia e Matteo, due fisioterapisti dell’Ospedale pediatrico «Meyer», Valentina, psicoterapeuta sempre del «Meyer», Carla e il presidente dell’Arci toscana Gianluca, Rita della Fondazione «Giovanni Paolo II» e Lucia neuropsichiatra infantile. C’è anche Antonio che con le sue immagini racconterà la città e soprattutto i suoi bisogni. C’è la Fondazione «Il Cuore si scioglie». Per tutto il tempo del viaggio è stato con noi anche Giulio che comunicava attraverso i social quello che noi vedevamo e facevamo ad Aleppo.

I progetti sostenuti ad Aleppo sono due. Il primo con l’associazione «Mano nella mano» guidata da Zeinab Khaula, un donna musulmana con grandi occhi azzurri e una grande energia. Con lei lavorano molti giovani, e Silvia e Matteo hanno condiviso con loro la fatica quotidiana di aiutare i bambini che hanno subito i traumi della guerra. Le pallottole dei cecchini, le esplosioni delle bombe hanno colpito gambe e braccia, hanno provocato lesioni alla colonna. In Siria c’è l’embargo e quindi il materiale sanitario non arriva. Qui si producono gli strumenti per la riabilitazione, stampelle, ciclette, protesi a mano. «È stato bello lavorare insieme, condividere la nostra esperienza maturata al Meyer con questi operatori. Sono bravi, preparati. Ci hanno chiesto tante cose anche perché negli ultimi sei anni, a causa della guerra, non hanno avuto contatti con l’estero e quindi con le nuove tecniche di intervento», spiegano Silvia e Matteo.

L’altro progetto, aiutato dalla Fondazione «Il Cuore si scioglie», è quello dei francescani guidato da Abuna Firas. La responsabile è una giovane psicologa musulmana, Binan, che cerca di aiutare i bambini a superare i traumi psicologici provocati dalla guerra. Le scuole hanno riaperto, ma purtroppo chi ha problemi fisici o mentali viene escluso. Ecco allora che sono nate, in piccoli appartamenti, scuole per recuperare gli anni persi. Per aiutare, con l’ascolto, con il coinvolgimento dei genitori i problemi psicologici.

Alcuni quartieri sono interamente distrutti e nelle case fa molto freddo, per esempio a Schiaar e a Karm al Duduh. Non ci sono soldi per il riscaldamento, e di tanto in tanto fa capolino qualche minuscola stufetta elettrica. Valentina e Lucia hanno parlato con le donne musulmane che hanno voglia di aiutare i loro bambini. «Desidero imparare a leggere e a scrivere, sono qui per questo», ci ha raccontato una di loro, «perché voglio aiutare mio figlio. Voglio dialogare con lui».

Abbiamo incontrato il Mufti di Aleppo che presto verrà in Italia con abuna Firas. Ha voluto dirci grazie e donare un regalo a Daniela Mori. «Portatela a Firenze, perché desidero dirle grazie per quello che sta facendo da oltre un anno per i bambini e le bambine di Aleppo. Ci aiutate non solo economicamente ma anche con la vostra vicinanza e questo per noi è ancora più importante».

Ma quanti sono i bambini ad Aleppo? Oggi in città vivono circa due milioni di persone. Molte stanno tornando, anche incentivate dal Governo. I giovani, fra i sei e i sedici anni, sono oltre cinquecento mila. Non ci sono più uomini adulti, ma solo donne, molte vedove, bambini e anziani. «Per ogni uomo adulto ci sono dodici donne, e questo è un altro problema lasciatoci dalla guerra». I bambini curati sono centinaia, ma le liste di attesa sono lunghissime.

Un’ultima considerazione. Il progetto  andrà avanti grazie al coinvolgimento di tante persone. Non possiamo lasciarli soli. Ma dobbiamo, oltre che raccogliere fondi per i progetti, pensare anche alla «voce» riscaldamento. In quelle piccole stanze i bambini e le bambine non possono fare terapia, non possono studiare, non possono essere visitati e non è pensabile fare gli esercizi necessari per riacquistare l’uso delle gambe. Fa troppo freddo.