Vita Chiesa

Don Barsotti nel ricordo del suo successore

Mercoledì 15 febbraio è morto don Divo Barsotti, l’ultimo mistico del Novecento. Avrebbe compiuto 92 anni il prossimo 14 aprile. Era infatti nato a Palaia (provincia di Pisa, ma diocesi di San Miniato) il 14 aprile 1914. Il decesso è avvenuto alle 9,30 nella sua stanza a Casa San Sergio, il piccolo eremo che dal 1955, a Settignano (sulle colline di Firenze), accoglie la Comunità dei figli di Dio da lui fondata nel lontano 1948 e che oggi conta più di duemila aderenti, tra religiosi e laici, sparsi in tutto il mondo. Autore di oltre 500 titoli tra libri e saggi, scrittore, poeta e predicatore, don Barsotti è unanimemente riconosciuto come una delle figure più luminose della Chiesa del secolo scorso. I funerali sono al momento previsti martedì 21 alle 15 nella basilica fiorentina della Santissima Annunziata. Pubblichiamo questo ricordo, scritto dal suo successore alla guida della Comunità dei Figli di Dio.

Don Divo Barsotti, unanimamente riconosciuto come una delle figure più luminose della Chiesa del ‘900, è stato uno scrittore, poeta, predicatore, fondatore di una Comunità di carattere contemplativo che conta più di duemila membri sparsi nel mondo, uomo dello Spirito.

Paradossalmente, per chi lo abbia cercato e abbia desiderato conoscerlo, non è stato facile mai scovarlo o incontrarlo, perché don Divo non ha mai amato né voluto le copertine, le immagini. “Gesù – scriveva Kierkegaard nei suoi Diari – non desidera ammiratori, ma seguaci; non vuole applausi, ma discepoli”. Così anche don Divo Barsotti: pur avendo grandi capacità e grandi doti, e una vita di preghiera fuori dal comune, è scappato sempre da ciò che può semplicemente apparire.

Irriducibile, anima tesa all’Assoluto, don Divo ha sempre dichiarato di aver cercato la volontà di Dio sino alla fine, senza sentirsi mai appagato in alcun posto. A inziare dalla propria Diocesi, San Miniato, appena ordinato sacerdote, tanto che nel dopoguerra il Vescovo lo lasciò partire volentieri per Firenze. Anche a Firenze un posto vero e proprio non lo ha mai avuto: troppo incandescente per avvicinarsi a lui: una parola viva ma anche tagliente, la sua. Dal Convento della Calza, dove il Cardinale Elia Dalla Costa lo aveva mandato come cappellano di suore, cominciò a farsi notare per la predicazione, ricca di toni nuovi per quel tempo, che richiedeva un rinnovamento della Chiesa, ossia di tutti i battezzati, chierici e laici, nella via della santità. Dopo gli anni di vita nascosta e di studi privati e personali a Palaia, le sue predicazioni colpivano per il vigore e il senso di Dio che trasemettevano, con quella esegesi biblica spirituale e spericolata, con quel richiamo continuo alla perfezione, con quel suo non intrupparsi e irreggimentarsi in alcuno schema.

Decisamente di indole contemplativa, quando nel 1951 scrisse il suo capolavoro “Il Mistero cristiano nell’anni liturgico”, non si accorse di aprire una scuola nuova, insieme a Odo Casel, peraltro mai conosciuto personalmente, che avrebbe avuto una grande importanza, ancora non esaurita, in seguito. Entrare nel Mistero, della vita e della morte, inserirsi nell’Atto di Cristo di morte e resurrezione, per salvare, con Lui, il mondo: questo è stato il punto fisso della vita e della predicazione di don Barsotti. Come? Semplice: con la preghiera oggettiva, la liturgia (S.Messa e Liturgia delle Ore), la contemplazione, il silenzio, l’esercizio della Divina Presenza continua, la preghiera del cuore. Cose che egli ha esercitato e insegnato a tutti i livelli.

Da giovane prete, per qualche anno volle andare in missione in India o in Oriente, ma i tentativi sempre fallirono; incarichi e impegni ufficiali la Chiesa non gliene diede mai; amicizie tante, ma sempre al di là dei gruppi e degli schieramenti. Giorgio La Pira, soprattutto, gli fu caro amico in quegli anni a Firenze. Ma la sua irrequietezza spiritale gli impediva di mettere radici da qualche parte in maniera definitiva.

Solo alcune donne anziane, della zona di Porta Romana a Firenze, nel dopoguerra osarono mettersi alla sua sequela, e don Divo, anziché proporre una direzione spirituale personale singolarmente, fece di loro un gruppetto di preghiera e di studio, dando un programma di vita che avrebbe impegnato severamente anche dei trappisti. Nacque così la Comunità dei figli di Dio, che avrebbe poi avuto nel tempo una lenta ma continua crescita in Italia e nel mondo.Scrittore senza cercare pubblicità, uomo di preghiera che sentiva l’urgenza di comunicare la propria esperienza, amico di molti senza dipendere da nessuno, insegnante di teologia ma senza programmi didattici, padre di una Comunità numerosa ma senza averlo cercato, la vita di don Divo si riassume bene nel titolo di un suo Diario spirituale: “La fuga immobile”. Si fugge dal mondo, dalle sue convenzioni, dalle sue vanità e dal suo dominio, ma per rimanere immobili in Dio, fermi nei principi immutabili di sempre, nella Tradizione, nell’amore alla Chiesa. Dopo il Concilio Vaticano II don Divo Barsotti non cambiò il tono delle sue proposte. Rinnovamento sì, ma non nelle strutture: nei cuori. Il richiamo alla santità personale, fino alla fine, è stato il suo grido profetico, che ha vissuto in prima persona, sempre. L’amore alla liturgia, alla Messa, sono i grandi richiami di don Divo. Chi potè assistere ad una sua celebrazione eucaristica, difficilmente la dimenticherà: non tanto per lui in sé, quanto perché, immergendosi in quell’Atto, a volte fino alla commozione e alle lacrime, introduceva i fedeli potentemente nel Mistero: la Messa diveniva la Presenza di Dio, del suo Sacrificio. Don Divo ha scritto centinaia di libri, tradotti in molte lingue. E’ assai conosciuto all’estero, in Francia, in Germania, in Spagna, persino in Russia, per aver parlato per primo in Italia di san Sergio, san Serafino, Silvano del Monte Athos, dei padri di Optina. Ha scritto migliaia di pagine, articoli di agiografia (conosceva benissimo tutti i santi e beati italiani, anche quelli semisconosciuti nelle proprie Diocesi), di spiritualità, commenti biblici (P. Alonso Shoekel era entusiasta di lui: prima di morire gli scrisse una lettera dalla Spagna obbligandolo a ristampare il libro sulla Genesi), poesie, saggi, eccetera… Ha tenuto gli esercizi alla Curia Romana al tempo di Paolo VI, ha predicato in decine di monasteri in Italia e all’estero, a seminaristi, sacerdoti, vescovi… ma sempre rimanendo lontano dai riflettori, come se gli bastasse essere conosciuto da Cristo e basta, nelle preghiera, nella pace.Egli è consapevole del paradosso della sua missione e funzione: “Sofronio di Gerusalemme fu eletto Patriarca di Gerusalemme a 84 anni – annota nel suo diario l’8 giugno 1973 -; è necessaria tutta la vita per prepararsi a compiere quella che è la nostra missione. Cinquant’anni di silenzio, di macerazione solitaria, di fallimenti. Bisogna che l’uomo non viva più per compiere nulla. Quando sarà liberato da ogni volontà di potenza e non vivrà più la sua vita che nella profondità del silenzio, allora Dio userà di lui. Che nulla ti turbi. L’oblio di tutto il creato, la rinunzia ad ogni opera è condizione imprescindibile alla vera carità. Bisogna che tu realizzi l’assoluta grandezza della Presenza di Dio nel vuoto di tutto, nel silenzio di ogni creatura, nell’esperienza della tua povertà. Era necessario che tu passassi per questo deserto; è necessario che nel deserto tu debba morire bruciato dalla sete, scottato dal sole. In questo deserto, un giorno le ossa aride udranno un giorno la Sua voce: tu potrai levarti allora pronto alla battaglia e lo Spirito di Dio ti sosterrà, ti porterà.

La sua giornata di Casa San Sergio, piccola casa sui colli fiorentini nella quale ha vissuto dal 1956 fino alla morte, è stata scandita da un ritmo di preghiera, di silenzio, di meditazione, di ascolto. I suoi Diari spirituali, alcuni dei quali editi, sono dei veri e propri inni di amore e trattati di teologia – certo non sistematica: Dio appare come il grande amato, il grande ricercato, il senso stesso della vita e del mondo.

E in questo silenzio, in questo isolamento (don Divo è stato molto amato dai suoi affezionati lettori, dai suoi figli spirituali, dagli amici, dai religiosi in conventi e monasteri, ma ignorato dal mondo accademico), ci appare chiaro come il messaggio così cristologico e trinitario di don Divo possa essere il centro di una ripresa vitale della Chiesa, che con Giovanni Paolo II prima e con Benedetto XVI ora, richiama la cristianità ai propri doveri e responsabilità davanti ad un mondo secolarizzato e abbruttito dalla violenza. “Aprite le porte a Cristo!” è il grido che in don Divo ha un assoluto rilancio, proprio perché così lungamente meditato, un grido che può contribuire a dare luce e sale alla cristianità in Europa e nel mondo.

Don Divo è stato un uomo che ha dedicato tutta la vita a far conoscere agli uomini la bellezza della Verità contemplata nella fede. Passionale e forte, dolce e paterno, solitario e uomo di fede incrollabile, monaco e predicatore al tempo stesso, insofferente alle mode e capace con una parola di illuminare un’intera esistenza… tutto questo è stato don Divo Barsotti. Lascia dietro di sé scritti, libri e pagine che testimoniano la sua straordinaria esperienza di Dio, lascia una Comunità di anime consacrate, lascia tanti solchi aperti e pronti ad essere fecondati di nuovo dalla Sapienza divina.

Poco prima che la malattia finale gli togliesse lentamente la possiblità di leggere e scrivere, verso la fine del 2002, scrisse nel suoi appunti queste parole: “Nessuna fuga dal tempo porta via con sé quello che io vivo. Quello che io vivo entra con me nella Presenza di Colui che mi ama: nulla è pertuto, ma in Lui tutto si raccoglie. Non esiste la morte se veramente esiste l’Amore”.Don Serafino TognettiSuperiore della «Comunità dei figli di Dio»

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