Vita Chiesa

Il messaggio dei vescovi italiani per la Festa dei lavoratori

Viviamo una stagione complessa, segnata ancora dagli effetti della pandemia e dalla guerra in  Ucraina, in cui il lavoro continua a preoccupare la società civile e le famiglie, e impegna ad un  discernimento che si traduca in proposte di solidarietà e di tutela delle situazioni di maggiore  precarietà. Le conseguenze della crisi economica gravano sulle spalle dei giovani, delle donne, dei  disoccupati, dei precari, in un contesto in cui alle difficoltà strutturali si aggiunge un peggioramento  della qualità del lavoro. La Chiesa che è in Italia non può distogliere lo sguardo dai contesti di elevato  rischio per la salute e per la stessa vita alle quali sono esposti tanti lavoratori. I tanti, troppi, morti  sul lavoro ce lo ricordano ogni giorno. È in discussione il valore dell’umano, l’unico capitale che sia  vera ricchezza. 

«La vera ricchezza sono le persone: senza di esse non c’è comunità di lavoro, non c’è impresa,  non c’è economia. La sicurezza dei luoghi di lavoro significa custodia delle risorse umane, che hanno  valore inestimabile agli occhi di Dio e anche agli occhi del vero imprenditore» ha ricordato Papa  Francesco ricevendo in udienza l’Associazione nazionale dei costruttori edili (20 gennaio 2022). 

Il nostro primo pensiero va, in particolare, a chi ha perso la vita nel compimento di una  professione che costituiva il suo impegno quotidiano, l’espressione della sua dignità e della sua  creatività, e anche alle famiglie che non hanno visto far ritorno a casa chi, con il proprio lavoro, le  sosteneva amorevolmente. Così come non possono essere dimenticati tutti coloro che sono rimasti  all’improvviso disoccupati e, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi  la vita. La nostra preghiera, la fiducia nel Signore amante della vita e la nostra solidarietà siano il  segno di una comunità che sa «piangere con chi piange» (cf Rm, 8,15) e di una società che sa  prendersi cura di chi, all’improvviso, è stato privato di affetti e di sicurezza economica. 

1. Le contraddizioni del momento presente  

Un Paese che cerca di risalire positivamente la china della crisi non può fondare la propria  crescita economica sul quotidiano sacrificio di vite umane. Lo scenario che abbiamo davanti è  drammatico: nel 2021 sono stati 1.221 i morti (dati Inail), cui si aggiungono quelli “ignoti” perché  avvenuti nelle pieghe del lavoro in nero, un ambito sommerso in cui si moltiplicano inaccettabili  tragedie. Siamo di fronte a un moderno idolo che continua a pretendere un intollerabile tributo di  lacrime. Tra i settori più colpiti ci sono l’industria, i servizi, l’edilizia e l’agricoltura. Ogni evento che  si verifica è una sconfitta per la società nel suo complesso, ogni incidente mortale segna una  lacerazione profonda sia in chi ne subisce gli effetti diretti, come la famiglia e i colleghi di lavoro, sia  nell’opinione pubblica. 

Non ci sono solo le morti: gli infortuni di diverse gravità esigono un’attenzione adeguata, così  come le malattie professionali domandano tutela della salute e sicurezza. Ci sono interventi urgenti  da attuare, agendo su vari fronti. 

La nostra coscienza è interpellata anche da quanti sono impegnati in lavori irregolari o svolti in  condizioni non dignitose, a causa di sfruttamento, discriminazioni, caporalato, mancati diritti,  ineguaglianze. Il grido di questi nuovi poveri sale da un ampio scenario di umanità dove sussiste una  violenza di natura economica, psicologica e fisica in cui le vittime sono soprattutto gli immigrati, 

lavoratori invisibili e privi di tutele, e le donne, ostaggi di un sistema che disincentiva la maternità  e “punisce” la gravidanza col licenziamento. È ancora insufficiente e inadeguata la promozione della  donna nell’ambito professionale. A questa attenzione ci sollecita anche la figura di Armida Barelli,  beatificata il 30 aprile a Milano: promosse numerose iniziative per la valorizzazione della donna. In  tutte queste situazioni non solo il lavoro non è libero, né creativo, partecipativo e solidale (cfr  Evangelii gaudium 192), ma la persona vive nel costante rischio di vedere minata irrimediabilmente  la sua salute e messa in pericolo la sua stessa esistenza. 

Anche il mercato del lavoro presenta falle consistenti che sono tra le cause delle cosiddette  «morti bianche». La crescente precarizzazione costringe molti lavoratori a cambiare spesso  mansione, contesto lavorativo e procedure, esponendoli a maggiori rischi. Spesso, inoltre, le  mansioni più pericolose sono affidate a cooperative di servizi, con personale mal retribuito, poco  formato, assunto con contratti di breve durata, costretto ad operare con ritmi e carichi di lavoro  inadeguati, in una combinazione rovinosa che potenzia il rischio di errori fatali. 

2. Responsabilità condivise per una cura della salute del lavoratore 

Quali beni sono in gioco in queste situazioni? Innanzitutto, il valore soggettivo e personale del  lavoro, quello che è definito «capitale umano», vale a dire «gli uomini stessi, in quanto capaci di  sforzo lavorativo, di conoscenza, di creatività, di intuizione delle esigenze dei propri simili, di intesa  reciproca in quanto membri di una organizzazione» (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa,  276). Ma anche la complementarietà tra lavoro e capitale, che supera una antica antinomia  attraverso sistemi economici dal «volto umano», così che la principale risorsa rimanga l’uomo  stesso. È in gioco anche il bene della pace, perché quando ci sono le condizioni di un lavoro sicuro  e dignitoso, si pongono le basi per evitare ogni forma di conflittualità sociale (cf FRANCESCO,  Messaggio per la LV Giornata mondiale della pace).  

Da questi valori imprescindibili scaturisce una cultura della cura, nutrita dalla Parola di Dio, che  invita ad aprire il nostro cuore a chi nel lavoro vede messa a rischio la dignità e la propria vita. Come  non richiamare alla memoria la sofferenza del popolo d’Israele schiavo in Egitto, costretto a  fabbricare mattoni in quantità sempre maggiori e in minore tempo (cf Es 1,13-14a)? L’impietosa  scelta che subordina le persone alla logica dei numeri è presente anche nella lettera di Giacomo,  che ricorda come le proteste dei mietitori giungono agli orecchi del Signore onnipotente (cf Gc 5,4).  

Papa Francesco indica un preciso compito educativo e di tutela dei più deboli nel mondo del  lavoro, che impegna la società civile e la comunità cristiana: «Dobbiamo oggi domandarci che cosa  possiamo fare per recuperare il valore del lavoro; e quale contributo, come Chiesa, possiamo dare  affinché esso sia riscattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e  dovere fondamentale della persona, che esprime e incrementa la sua dignità» (Udienza, 12 gennaio  2022). 

La complessità delle cause e degli eventi richiede un approccio «integrale» da parte di tutti i  soggetti in campo: vanno realizzati interventi di sistema sia a carattere statale, sia a livello  aziendale. È fondamentale investire sulla ricerca e sulle nuove tecnologie, sulla formazione dei  lavoratori e dei datori di lavoro, ma anche inserire nei programmi scolastici e di formazione  professionale la disciplina relativa alla salute e alla sicurezza nel lavoro. È importante che lo Stato  metta in atto controlli più attenti, che diventino uno stimolo alla prevenzione degli infortuni. 

Un ruolo decisivo nella tutela della sicurezza del lavoratore e delle sue condizioni di salute è  assicurato dalle modalità di organizzazione dell’impresa sia sotto il profilo dell’adozione delle  misure protettive sia della vigilanza affinché esse siano rispettate. Rispetto a ciò, l’appello di Papa  Francesco agli imprenditori risuona quanto mai appropriato: «Voi avete una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti; siete perciò chiamati ad  essere costruttori del bene comune e artefici di un nuovo «umanesimo del lavoro». Siete chiamati  a tutelare la professionalità, e al tempo stesso a prestare attenzione alle condizioni in cui il lavoro  si attua, perché non abbiano a verificarsi incidenti e situazioni di disagio» (Discorso agli imprenditori  riuniti in Confindustria, 27 febbraio 2016). I sindacati, nella loro continua ricerca della giustizia  sociale, vigilano costantemente sulle condizioni di sicurezza sul posto di lavoro: incoraggiamo il loro  impegno a tutela soprattutto delle professioni che risultano più logoranti per la salute o  maggiormente esposte a rischio. Sulla scia di quanto la Chiesa che è in Italia ha fatto in occasione  della Settimana Sociale di Taranto (ottobre 2021) è importante incoraggiare la condivisione di  «buone pratiche» che in ambito imprenditoriale e amministrativo mostrino come coniugare non  solo difesa dell’ambiente e protezione del lavoro, ma anche dignità e sicurezza, evitando dunque  condizioni che mettono in pericolo la salute o addirittura causano la morte. 

Solo se ogni attore della prevenzione, a diverso titolo – a partire dalle istituzioni e dalle parti  sociali – contribuisce al contrasto degli eventi infortunistici, si avrà una vera svolta. Per questo è  necessario risvegliare le coscienze. Grazie a un’assunzione di responsabilità collettiva si può attuare  quel cambiamento capace di riportare al centro del lavoro la persona, in ogni contesto produttivo.