Vita Chiesa

La “Fase 2” per la Chiesa, Meini: Messe aperte, ma ancora sacrifici. Ci vorrà responsabilità

“Quando verranno varate indicazioni precise – sottolinea Meini, che è anche vicepresidente della Cei – , potremo capire come comportarci. Dobbiamo auspicare il meglio ma faremo di necessità virtù. Occorrerà rispettare con prudenza, fermezza, saggezza e attenzione le disposizioni di sicurezza e le regole che ci saranno. Poi spero riprendano progressivamente nelle parrocchie le iniziative pastorali per tornare a guardarci negli occhi. Anche nel nuovo frangente saremo chiamati ad aiutarci da buoni fratelli gli uni con gli altri”.

La fase 2 sarà lunga: “Ci aspettiamo una ripartenza anche ecclesiale, mi viene da dire. Ma non immaginiamoci che tutto torni immediatamente come prima. Saremo costretti a ulteriori sacrifici: sacrifici nella liturgia, nell’evangelizzazione, nella testimonianza della carità”. Tutto questo, prosegue, “richiederà un grande senso di responsabilità. Però il Paraclito non ci abbandona. Se ci ha sostenuti nel fronteggiare l’emergenza durante il suo momento più acuto, lo farà anche in seguito”.

Meini affronta anche il tema della mancanza dei funerali: “Ritengo che siano importanti le esequie in chiesa. Dobbiamo cercare il prima possibile di tornare a pregare insieme anche per i defunti. La scelta di limitarsi alle benedizioni al cimitero è stata fonte di sofferenza. Come sacerdoti abbiamo cercato di rimediare facendoci vicini ai familiari e ai parenti, ma non può bastare”.

L’intervista poi fa riferimento alle parole del Papa: adesso stiamo vivendo una situazione di difficoltà, ma la Chiesa è con il popolo: “Il Pontefice – commenta Meini – ci ricorda che siamo in un tunnel e che piano piano ne usciremo fuori. Tuttavia, dal momento che ci troviamo ancora all’interno, anche alcune eccezioni pastorali sono come un raggio nell’oscurità. I sacramenti fanno la Chiesa. L’Eucaristia è la fonte e il culmine. Ma non possiamo dimenticare il sacramento della Riconciliazione, il Battesimo, la Cresima, il Matrimonio che in queste settimane non abbiamo potuto vivere. Ecco perché occorre andare oltre”.

La scelta di accettare le limitazioni, tuttavia, non è stata un segno di arrendevolezza da parte della Chiesa: “È stato un atto di responsabilità e soprattutto di carità. Preferisco dire che in queste settimane abbiamo avuto l’Eucaristia senza il popolo, come tra l’altro è previsto nel Messale. Così, mentre la gente restava nelle proprie case, anche la Chiesa ha scelto di vivere i sacramenti in maniera diversa. Ma è rimasta accanto a tutti. Penso all’attenzione verso gli anziani chiusi fra le mura domestiche, verso le famiglie riunite attraverso i mezzi di comunicazione e la Rete, verso i malati accompagnati con la preghiera, verso i giovani abbracciati con i social. Tutto ciò è stato merito dei sacerdoti, ma anche di religiose e religiosi e di tanti laici. Ritengo che la gente non abbia percepito la lontananza della Chiesa. Anzi, l’ha sentita prossima nel dolore e nella preoccupazione. E il gesto di papa Francesco di benedire il mondo da una piazza San Pietro vuota evoca in modo straordinario sia l’immagine delle panche deserte nelle nostre parrocchie, sia la presenza viva della comunità ecclesiale in questa drammatica congiuntura”.