Vita Chiesa

Nicoletta, la gioia di essere suora: «Sono piena e felice vivendo in povertà, castità e obbedienza»

Contemplare la Passione di Gesù per dare speranza e fornire di nuovo agli uomini gli strumenti per far fronte alle situazioni della vita: queste le necessità che Nicoletta Caciolli, suora dell’ordine di San Paolo della Croce, vede per la società di oggi. «Ci siamo completamente dimenticati dell’esistenza di Dio» dice quando le chiediamo quali sono le difficoltà che vede nelle famiglie con cui entra a contatto come coordinatrice della scuola primaria e dell’infanzia Beata Giovanna di Signa. «Siamo molto fragili e deboli; soprattutto dopo la pandemia, il nostro modo di vivere la vita e le relazioni è sempre sulla difensiva e, quando ci succede qualcosa, non siamo in grado di fare fronte alle difficoltà, all’imprevisto, alla sofferenza e al dolore – continua –. Abbiamo l’idea che debba sempre andare tutto bene e che tutto debba essere lineare, come vogliamo noi. Questo però non è possibile: siamo fatti di relazioni con gli altri, non possiamo controllare tutto. Vivere insieme è difficile: bisogna contemplare anche il confronto, a volte lo scontro. Abbiamo bisogno di saperci mettere al secondo posto, di saper mettere da parte l’arroganza, la propria prepotenza, la superbia, il far valere sempre il proprio diritto, altrimenti soffriamo, perché ci è difficile vivere insieme in armonia».«Oggi, poi, si sente il bisogno di essere sempre primi in tutto: anche questo è impossibile, sia per noi stessi che per i nostri figli, e rende difficile il dialogo», prosegue. La causa è per suor Nicoletta la «mancanza della presenza del Signore e della preghiera, che è capace di darci uno sguardo diverso sulla vita: ci farebbe vedere l’altro non come qualcuno da combattere, ma come qualcuno che ci affianca, che deve compiere il nostro stesso viaggio, che sbaglierà come sbagliamo noi e ci permetterebbe di essere più solidali l’uno con l’altro». «Se si riuscisse a guardare con questo sguardo diverso la sofferenza, la divisione, la malattia, persino una morte, saremmo più forti e avremmo a disposizione più armi per poter reagire; invece, purtroppo, vedo tanta fragilità, non solo nelle nuove generazioni, ma anche nei genitori delle famiglie», racconta. Quel che genera speranza è, «come era accaduto per il fondatore del nostro ordine, San Paolo della Croce, ricordare che c’è un Dio che per amore si è fatto uomo e ha vissuto come noi anche le situazioni di difficoltà, di sconforto, di prova e che, nonostante questo, non ci ha lasciati soli neanche dove invece lo saremmo stati, fino alla morte: guardare a Lui colma il desiderio di amore che tutti abbiamo e ci insegna ad essere umili, a saper perdonare, ad andare incontro agli altri e ad accorgerci se qualcuno accanto a noi sta vivendo delle difficoltà, se sta arrancando o si è fermato nel suo cammino». Desiderio di pienezza, questo, di cui suor Nicoletta vede la necessità, che lei stessa ha sperimentato durante gli studi universitari per diventare ostetrica: «avevo quello che desideravo, stavo raggiungendo gli obiettivi che mi ero prefissata, ma sentivo che mi mancava qualcosa», racconta. «A 19 anni, iniziai a frequentare il gruppo giovani di una parrocchia di Signa e mi accorsi che gli amici che avevo trovato avevano uno sguardo diverso sulla vita, si notava che, a differenza mia, avevano incontrato qualcuno: iniziai allora a cercare di conoscere davvero anch’io il Signore», incontro che avvenne, poi, dopo un percorso insieme al proprio parroco.«Una volta laureata, cercando lavoro, frequentai un corso per laici delle suore passioniste: scoprii che erano presenti in diverse zone del mondo e chiesi di andare in missione in un ospedale che avesse una maternità. Dopo un mese in Congo a stretto contatto con le consorelle, fu via via sempre più chiaro per me che spendermi per gli altri attraverso la vita comunitaria mi regalava la pienezza che cercavo, così entrai in convento», racconta. Una scelta quella della vita consacrata che per suor Nicoletta ha molto da dire al mondo di oggi, a partire dalla peculiarità della vita comunitaria delle religiose: «può avere una forte voce oggi testimoniare che sono piena e felice vivendo in povertà, castità e obbedienza con le mie consorelle, che non ho scelto e che vengono da tutto il mondo, condividendo con loro gli stessi valori, quelli del Vangelo, che, se mettiamo da parte, finiremo invece per essere sempre infelici e frustrati», racconta. L’altra «luce» che la vita consacrata porta è poi quella del «ricordare che c’è una vita oltre la morte – continua –. Oggi dire questo è scomodo, si parla di morte, ma quasi mai del fatto che dopo la morte ci aspetta una vita, che sarà di pienezza e in cui vivremo come Gesù ha vissuto sulla terra, in modo casto, povero e obbediente, e che ci porterà a una felicità e ad una realizzazione piena». «Nel mondo di oggi, penso che la vita consacrata possa riportare ai valori essenziali, ai quali tutti aneliamo, e a riconoscere che, quando fanno parte delle nostre vite, tutto il resto è superfluo».