Vita Chiesa

Papa Francesco, udienza: nostra sorella morte ci fa sperare nel Dio della vita

Giona «è un profeta in uscita, ma anche un profeta in fuga, che Dio invia in periferia, a Ninive, per convertire gli abitanti di quella grande città». È il ritratto di «una figura un po’ anomala» tra i profeti di Israele: «Un profeta che tenta di sottrarsi alla chiamata del Signore rifiutando di mettersi al servizio del piano divino di salvezza». E proprio alla figura del profeta Giona – «di cui si narra la storia in un piccolo libretto di soli quattro capitoli, una sorta di parabola portatrice di un grande insegnamento, quello della misericordia di Dio che perdona» – il Papa ha dedicato la catechesi dell’udienza di oggi. «Ninive, per un israelita come Giona, rappresentava una realtà minacciosa, il nemico che metteva in pericolo la stessa Gerusalemme, e dunque da distruggere, non certo da salvare», ha spiegato Francesco: «Perciò, quando Dio manda Giona a predicare in quella città, il profeta, che conosce la bontà del Signore e il suo desiderio di perdonare, cerca di sottrarsi al suo compito e fugge». Durante la sua fuga – «fuga lontano, fuga sul serio, una fuga in Spagna», ha aggiunto il Papa a braccio – Giona «entra in contatto con dei pagani, i marinai della nave su cui si era imbarcato per allontanarsi da Dio e dalla sua missione». «Ed è proprio il comportamento di questi uomini, come poi sarà quello degli abitanti di Ninive – ha annunciato Francesco – che ci permette oggi di riflettere un poco sulla speranza che, davanti al pericolo e alla morte, si esprime in preghiera».

«L’istintivo orrore del morire svela la necessità di sperare nel Dio della vita», ha spiegato il Papa, che nella catechesi dell’udienza di oggi ha narrato l’episodio di Giona e la «tremenda tempesta», durante la quale «Giona scende nella stiva della nave e si abbandona al sonno». «I marinai invece, vedendosi perduti, invocarono ciascuno il proprio dio», ha ricordato Francesco sulla scorta del racconto biblico: «Il capitano della nave sveglia Giona dicendogli: ‘Che cosa fai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo’». «La reazione di questi pagani è la giusta reazione davanti alla morte – il commento del Papa – perché è allora che l’uomo fa completa esperienza della propria fragilità e del proprio bisogno di salvezza». «Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo»: sono queste, per Francesco, «le parole della speranza che diventa preghiera, quella supplica colma di angoscia che sale alle labbra dell’uomo davanti a un imminente pericolo di morte». «Troppo facilmente noi disdegniamo il rivolgerci a Dio nel bisogno come se fosse solo una preghiera interessata, e perciò imperfetta», ha ammonito il Papa: «Ma Dio conosce la nostra debolezza, sa che ci ricordiamo di Lui per chiedere aiuto, e con il sorriso indulgente di un padre Dio risponde benevolmente».

«Nostra sorella morte». «Sotto la misericordia divina, e ancor più alla luce del mistero pasquale, la morte può diventare, come è stato per san Francesco d’Assisi, ‘nostra sorella morte’ e rappresentare, per ogni uomo e per ciascuno di noi, la sorprendente occasione di conoscere la speranza e d’incontrare il Signore». Francesco ha sintetizzato in questi termini, al termine della catechesi, il senso della vicenda di Giona, che «riconoscendo le proprie responsabilità, si fa gettare in mare per salvare i suoi compagni di viaggio». È allora, ha sottolineato Francesco, che «la tempesta si placa»: «La morte incombente ha portato quegli uomini pagani alla preghiera, ha fatto sì che il profeta, nonostante tutto, vivesse la propria vocazione al servizio degli altri accettando di sacrificarsi per loro, e ora conduce i sopravvissuti al riconoscimento del vero Signore e alla lode. I marinai, che avevano pregato in preda alla paura rivolgendosi ai loro dèi, ora, con sincero timore del Signore, riconoscono il vero Dio e offrono sacrifici e sciolgono voti. La speranza, che li aveva indotti a pregare per non morire, si rivela ancora più potente e opera una realtà che va anche al di là di quanto essi speravano: non solo non periscono nella tempesta, ma si aprono al riconoscimento del vero e unico Signore del cielo e della terra». Successivamente, «anche gli abitanti di Ninive, davanti alla prospettiva di essere distrutti, pregheranno, spinti dalla speranza nel perdono di Dio. Faranno penitenza, invocheranno il Signore e si convertiranno a Lui, a cominciare dal re. Anche per loro, come per l’equipaggio nella tempesta, aver affrontato la morte ed esserne usciti salvi li ha portati alla verità», il commento del Papa.

Preghiera e speranza. Al termine dell’udienza il Papa ha rivolto alle migliaia di fedeli presenti in Aula Paolo VI un invito, rivolto a braccio, a comprendere sempre più in profondità lo stretto legame che esiste tra preghiera e speranza. «Che il Signore ci faccia capire questo», l’auspicio finale di Francesco fuori testo: «Il legame tra la preghiera e la speranza. La preghiera ti porta avanti nella speranza, e quando le cose tornano buie, più preghiera e ci sarà più speranza!».

«Ricordo con commozione la preghiera ecumenica a Lund, in Svezia, il 31 ottobre scorso. Nello spirito di quella commemorazione comune della Riforma, noi guardiamo più a ciò che ci unisce che a ciò che ci divide, e continuiamo il cammino insieme per approfondire la nostra comunione e darle una forma sempre più visibile». Sono le parole con cui il Papa ha salutato oggi in Aula Paolo VI i pellegrini di lingua tedesca. «All’inizio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, in particolare dò un cordiale benvenuto alla delegazione dell’itinerario europeo ecumenico, guidata dalla signora Preside Annette Kurschus», ha esordito Francesco: «La vostra tappa a Roma è un importante segno ecumenico, che esprime la comunione raggiunta tra noi attraverso il cammino di dialogo nei decenni scorsi. Il Vangelo di Cristo è al centro della nostra vita e unisce persone che parlano lingue diverse, abitano in Paesi diversi e vivono la fede in comunità diverse». Poi il ricordo di Lund e un auspicio per il nostro continente: «In Europa questa comune fede in Cristo è come un filo verde di speranza: apparteniamo gli uni agli altri. Comunione, riconciliazione e unità sono possibili. Come cristiani, abbiamo la responsabilità di questo messaggio e dobbiamo testimoniarlo con la nostra vita. Dio benedica questa volontà di unione e custodisca tutte le persone che camminano sulla strada dell’unità».

E alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che stiamo celebrando, il Papa ha fatto riferimento in quasi tutti i saluti per gruppi linguistici, a cominciare da quello francese: «La nostra speranza di unità si esprime attraverso la nostra preghiera, è una speranza che non delude. Vi invito a pregare per questa intenzione». Anche i pellegrini spagnoli sono stati invitati a pregare «insistentemente per l’unità di tutti i cristiani»: a quelli di lingua portoghese, il Papa ha ricordato che «il movimento ecumenico va fruttificando, con la grazia di Dio. Il Padre celeste continui a riversare le sue benedizioni sulle orme di tutti i suoi figli. Servite la causa dell’unità e della pace!». Ai fedeli polacchi, Francesco ha citato il «motto» della Settimana – «L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione» – definendolo una «sfida»: «Preghiamo il Signore affinché tutte le comunità cristiane, conoscendo meglio la propria storia, teologia e diritto si aprano sempre di più alla collaborazione. Ci pervada lo spirito di benevolenza e comprensione, come anche la voglia di collaborare». Infine, il saluto ai pellegrini di lingua italiana, che come di consueto conclude l’appuntamento del mercoledì: «Cari giovani – l’invito di Francesco -pregate affinché tutti i cristiani tornino ad essere un’unica famiglia; cari ammalati, offrite le vostre sofferenze per la causa dell’unità della Chiesa; e voi, cari sposi novelli, fate esperienza dell’amore gratuito come è quello di Dio per l’umanità».

«Gli orfani vanno sempre difesi, protetti e accolti con amore». È l’appello del Papa, che salutando i pellegrini di lingua croata ha rivolto in saluto particolare ai bambini e ai giovani della Bosnia Erzegovina, «insieme con le famiglie ospitanti della Sicilia». «Cari ragazzi – le parole di Francesco – trascorrendo il tempo insieme come fratelli e sorelle nelle famiglie che vi ospitano, avete l’opportunità di crescere in un clima di speranza. Solo così, voi giovani cattolici, ortodossi e musulmani, potete salvare la speranza per vivere in un mondo più fraterno, giusto e pacifico, più sincero e a misura d’uomo». «Rimanete sempre saldi nella fede e pregate per la pace e l’unità del vostro Paese e del mondo intero», l’invito finale del Papa, che ha ringraziato «di cuore le famiglie ospitanti per l’esempio di amore e di solidarietà cristiana».