Vita Chiesa

Papa in Madagascar, Messa, commuoversi per i fratelli. No a favoritismi, clientelismi, corruzione

«Chiunque non è in grado di vedere l’altro come un fratello, di commuoversi per la sua vita e la sua situazione, al di là della sua provenienza familiare, culturale, sociale, non può essere mio discepolo». A ricordarlo, nell’omelia della Messa nel Campo diocesano di Soamandrakizay, che ha inaugurato la seconda giornata in Madagascar, è stato il Papa (testo integrale). «Il suo amore e la sua dedizione sono un dono gratuito a motivo di tutti e per tutti», ha proseguito commentando il Vangelo di Luca. «La prima esigenza ci invita a guardare alle nostre relazioni familiari», ha spiegato Francesco: «La vita nuova che il Signore ci propone sembra scomoda e si trasforma in scandalosa ingiustizia per coloro che credono che l’accesso al Regno dei Cieli possa limitarsi o ridursi solamente ai legami di sangue, all’appartenenza a un determinato gruppo, a un clan o una cultura particolare». «Quando la ‘parentela’ diventa la chiave decisiva e determinante di tutto ciò che è giusto e buono, si finisce per giustificare e persino ‘consacrare’ alcuni comportamenti che portano alla cultura del privilegio e dell’esclusione», il monito del Papa, che ha elencato gli atteggiamenti da stigmatizzare: «favoritismi, clientelismi, e quindi corruzione».

È difficile «seguire il Signore quando si vuole identificare il Regno dei Cieli con i propri interessi personali o con il fascino di qualche ideologia che finisce per strumentalizzare il nome di Dio o la religione per giustificare atti di violenza, di segregazione e persino di omicidio, esilio, terrorismo ed emarginazione», ha detto il Papa, nell’omelia, esortando a «non manipolare il Vangelo con tristi riduzionismi, bensì a costruire la storia in fraternità e solidarietà, nel rispetto gratuito della terra e dei suoi doni contro qualsiasi forma di sfruttamento; con l’audacia di vivere il dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio; non cedendo alla tentazione di certe dottrine incapaci di vedere crescere insieme grano e zizzania nell’attesa del padrone della messe». No all’«egoismo» e «all’uso di mezzi immorali», il monito di Francesco, secondo il quale è «difficile condividere la nuova vita che il Signore ci dona quando siamo continuamente spinti a giustificare noi stessi, credendo che tutto provenga esclusivamente dalle nostre forze e da ciò che possediamo; quando la corsa ad accumulare diventa assillante e opprimente».

«Quanti uomini e donne, giovani, bambini soffrono e sono totalmente privi di tutto! Questo non fa parte del piano di Dio». È il grido del Papa dal Campo diocesano di Soamandrakizay, davanti a una folla sterminata di persone, la maggioranza dei quali giovani, rimasti a dormire all’aperto dopo aver seguito la Veglia a loro dedicata di ieri sera. «Quanto è urgente questo invito di Gesù a morire alle nostre chiusure, ai nostri orgogliosi individualismi per lasciare che lo spirito di fraternità – che promana dal costato aperto di Cristo, da dove nasciamo come famiglia di Dio – trionfi, e ciascuno possa sentirsi amato, perché compreso, accettato e apprezzato nella sua dignità», ha proseguito Francesco: «Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male. Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no. Il credente tende la mano, come fa Gesù con lui». «Una delle peggiori schiavitù», ha ribadito il Papa, è «il vivere per sé stessi»: «È la tentazione di chiudersi nel proprio piccolo mondo che finisce per lasciare poco spazio agli altri: i poveri non entrano più, la voce di Dio non è più ascoltata, non si gode più la dolce gioia del suo amore, non palpita più l’entusiasmo di fare il bene… Molti, in questo rinchiudersi, possono sentirsi apparentemente sicuri, ma alla fine diventano persone risentite, lamentose, senza vita». Di qui la necessità di «alzare lo sguardo, aggiustare le priorità e soprattutto creare spazi affinché Dio sia il centro e il cardine della nostra vita». Il Papa ha concluso la sua omelia esortando i malgasci «a osare questo salto di qualità e adottare questa saggezza del distacco personale come base per la giustizia e per la vita di ognuno di noi: perché insieme possiamo combattere tutte quelle idolatrie che ci portano a focalizzare la nostra attenzione sulle ingannevoli sicurezze del potere, della carriera e del denaro e sulla ricerca di glorie umane».

Il saluto di mons. Razanakolona, «i malgasci la ammirano per il suo stile personale, che è quello dei poveri». «I malgasci la ammirano non solo per il contenuto del suo magistero, ma anche per il suo stile personale, che è quello dei poveri». È il saluto di mons. Odon Marie Arsène Razanakolona, arcivescovo di Antananarivo, al Papa, al termine della Messa, a cui hanno partecipato una folla sterminata di persone, da tutte le zone del Paese, affrontando sacrifici e disagi pur di poter vedere il Santo Padre tra loro. «Sia certo della nostra fedeltà a Lei Vicario di Cristo e della nostra dedizione alla missione evangelizzatrice», ha proseguito il presule: «Grazie, Santo Padre! Alla fine di questa bella celebrazione, ancora una volta, desideriamo esprimerle i nostri più sinceri voti augurali che accompagniamo con le nostre preghiere, affinché il suo ministero, certamente gravoso, possa sempre essere fecondo per il bene della Chiesa universale».