Vita Chiesa

Papa in Mozambico: incontro clero, «no a «mondanità spirituale»

«Non possiamo correre dietro a ciò che si traduce in benefici personali», ha ribadito Francesco: «Le nostre stanchezze devono invece essere piuttosto legate alla nostra capacità di compassione». Di qui l’identikit dei preti: «Ci rallegriamo con i fidanzati che si sposano, ridiamo con il bimbo che portano a battezzare; accompagniamo i giovani che si preparano al matrimonio e alla famiglia; ci addoloriamo con chi riceve l’unzione nel letto d’ospedale; piangiamo con quelli che seppelliscono una persona cara. Dedichiamo ore e giorni ad accompagnare quella madre con l’Aids, quel bambino rimasto orfano, quella nonna che si fa carico di tanti nipotini o quel giovane che è venuto in città ed è disperato perché non riesce a trovare lavoro».

«Per noi sacerdoti le storie della nostra gente non sono un notiziario», il monito di Francesco: «Noi conosciamo la nostra gente, possiamo indovinare ciò che sta passando nel loro cuore; e il nostro, nel patire con loro, ci si va sfilacciando, ci si divide in mille pezzetti, ed è commosso e sembra perfino mangiato dalla gente: prendete, mangiate». «Rinnovare la chiamata – la tesi del Papa – spesso richiede di verificare se la nostra stanchezza e le nostre preoccupazioni hanno a che fare con una certa mondanità spirituale dettata dal fascino di mille proposte di consumo che non possiamo scrollarci di dosso per camminare, liberi, sui sentieri che ci conducono all’amore dei nostri fratelli, al gregge del Signore, alle pecorelle che attendono la voce dei loro pastori».

«A volte la paura ci paralizza troppo»: se questa tendenza prevale, il rischio è la «sterile stagnazione della Chiesa». Ne è convinto il Papa, che nell’incontro con il clero nella cattedrale di Maputo, terzo e ultimo discorso pubblico della prima giornata in Mozambico, ha affermato che «la Chiesa del Mozambico è invitata a essere la Chiesa della Visitazione»: «Non può far parte del problema delle competenze, del disprezzo e delle divisioni degli uni contro gli altri, ma porta di soluzione, spazio in cui siano possibili il rispetto, l’interscambio e il dialogo». Il Papa, in particolare, ha stigmatizzato la «persistente tendenza che abbiamo alla frammentazione, a separare piuttosto che unire».

L’antidoto, ancora una volta, è la «cultura dell’incontro», requisito necessario per la «costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità», per «lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune». «Come Maria è andata fino alla casa di Elisabetta – ha osservato il Santo Padre – così anche noi nella Chiesa dobbiamo imparare la strada da seguire in mezzo a nuove problematiche, cercando di non restare paralizzati da una logica che contrappone, divide, condanna». «La vocazione della Chiesa è evangelizzare, non fare proselitismo», ha aggiunto a braccio: «Il proselitismo non è evangelizzazione, non è cristiano».