Vita Chiesa

Sacerdoti, mons. Crociata a Cpi: promuovere scelta libera e consapevole della fede

«Questa immagine, però – ha precisato il presule -, può essere utilizzata in due sensi: uno disfattista, che intende il cantiere solo come decostruzione e smobilitazione, uno invece positivo, che intravede nel trambusto e nella confusione i lineamenti di un progetto che vanno lentamente emergendo». In realtà, «la peculiarità della situazione italiana può essere rappresentata come uno zoccolo duro (almeno il 20 per cento) di cristiani che vivono in modo vivace e propositivo la propria fede e appartenenza alla Chiesa, ma il contesto in cui essi operano, e che come tale li coinvolge, è quello di un cristianesimo maggioritario ‘per assonanza’ (per cui persiste, per esempio, una forte richiesta di riti religiosi)». Declinare l’evangelizzazione in questo contesto «significa prendere con decisione la via del primo annuncio, che di fatto in Italia assume la forma concreta del secondo (primo) annuncio; senza dimenticare che è altrettanto urgente tener vivo l’ascolto e la formazione permanente in chi annuncia».

Per monsignor Crociata, «nessuno può pensare di essere lasciato indenne dal passaggio del ciclone di questa stagione culturale. Tutti, nella Chiesa, abbiamo bisogno del Vangelo: nella forma del primo (secondo) annuncio nei confronti della maggior parte dei destinatari della nostra azione pastorale o, quando si tratta di noi stessi, nel quadro di un percorso ordinato di vita cristiana». E questo, ha chiarito il segretario generale della Cei, «non solo per una esigenza di spiritualità personale, ma per reggere la pressione culturale e assolvere nitidamente la missione pastorale». Il secondo annuncio ha, comunque, «a che fare con persone che sono nella postcristianità – anche nel caso di estranei agli ambienti ecclesiali – non prive di una conoscenza (anche se sommaria e qualche volta pregiudiziale) del cristianesimo, e tiene conto della differente situazione delle persone». Insomma, ciò di cui hanno bisogno tutte le Chiese che vivono in territori tradizionalmente cristiani, come l’Italia, è «un rinnovato slancio missionario», che dovrà essere modulato «a seconda della situazione, per il fatto che il cristianesimo nel mondo del XXI secolo non può essere dato per scontato».

Il cristianesimo oggi «non è più eredità ma scelta; non significa più omologazione con la maggioranza ma spesso fare parte di gruppi minoritari e marginali; non offre più protezione sociale ma espone a una società che può essere sottilmente o anche apertamente ostile al Vangelo», ha sottolineato monsignor Crociata. Tutto si gioca, allora, «nella capacità di investire e concentrare l’azione pasto-rale finalizzandola alla promozione di una scelta libera e consapevole della fede; ma non in individui isolati, bensì in persone attorno a cui cresce una rete di relazioni di amicizia e di fede, che come tali costituiscono già inizi di Chiesa». Per il presule, «c’è bisogno di comunità ecclesiali che formino un tessuto sociale, la cui originalità deve consistere nel distinguersi dal contesto per la qualità cristiana del loro modo di pensare e del loro stile di vita. Comunità del genere risulteranno anche profondamente inserite nell’ambiente circostante, in modo tale da fecondarlo con il seme del Vangelo e della testimonianza e, così, contribuire a dar forma a una società più umana e fraterna, nella quale l’annuncio e la presenza cristiana saranno spontaneamente riconosciuti credibili e convincenti».