Vita Chiesa

Sinodo, Papa Francesco: Chiesa in debito di ascolto dei giovani

«Vale la pena di avere la Chiesa come madre, come maestra, come casa, come famiglia, capace, nonostante le debolezze umane e le difficoltà, di brillare e trasmettere l’intramontabile messaggio di Cristo; vale la pena di aggrapparsi alla barca della Chiesa che, pur attraverso le tempeste impietose del mondo, continua ad offrire a tutti rifugio e ospitalità; vale la pena di metterci in ascolto gli uni degli altri; vale la pena di nuotare controcorrente e di legarsi ai valori alti: la famiglia, la fedeltà, l’amore, la fede, il sacrificio, il servizio, la vita eterna». Sono le parole rivolte dal Papa ai giovani, non solo quelli presenti in Aula, ma anche quelli collegati via Internet nei cinque continenti. Nel discorso di apertura della prima Congregazione generale del Sinodo dei vescovi sui giovani, Francesco ha cominciato con un «grazie», rivolto a tutti coloro che lo hanno preparato e ne curano lo svolgimento ma soprattutto ai destinatari del suo terzo Sinodo dall’inizio del pontificato. «La nostra responsabilità qui al Sinodo è di non smentirli, anzi, di dimostrare che hanno ragione a scommettere: davvero vale la pena, davvero non è tempo perso!», ha esclamato il Papa rivolto ai 267 padri sinodali, tra i quali una trentina di giovani. «Il cammino di preparazione al Sinodo – ha proseguito ringraziando direttamente i giovani – ci ha insegnato che l’universo giovanile è talmente variegato da non poter essere rappresentato totalmente, ma voi ne siete certamente un segno importante. La vostra partecipazione ci riempie di gioia e di speranza». «II Sinodo che stiamo vivendo è un momento di condivisione», ha spiegato Francesco, invitando «tutti a parlare con coraggio e parresia, cioè integrando libertà, verità e carità». «Solo il dialogo può farci crescere», ha affermato il Papa: «Una critica onesta e trasparente è costruttiva e aiuta, mentre non lo fanno le chiacchiere inutili, le dicerie, le illazioni oppure i pregiudizi».

«Al coraggio del parlare deve corrispondere l’umiltà dell’ascoltare». È la seconda indicazione contenuta nel discorso del Papa alla prima Congregazione generale del Sinodo sui giovani. L’«ascolto aperto» invocato da Francesco «richiede coraggio nel prendere la parola e nel farsi voce di tanti giovani del mondo che non sono presenti»: «È questo ascolto che apre lo spazio al dialogo. Il Sinodo dev’essere un esercizio di dialogo, anzitutto tra quanti vi partecipano. E il primo frutto di questo dialogo è che ciascuno si apra alla novità, a modificare la propria opinione grazie a quanto ha ascoltato dagli altri. Questo è importante per il Sinodo». Non sono mancati consigli pratici dispensati dal Papa ai giovani che partecipano al Sinodo: «Molti di voi hanno già preparato il loro intervento prima di venire – e vi ringrazio per questo lavoro –, ma vi invito a sentirvi liberi di considerare quanto avete preparato come una bozza provvisoria aperta alle eventuali integrazioni e modifiche che il cammino sinodale potrebbe suggerire a ciascuno. Sentiamoci liberi di accogliere e comprendere gli altri e quindi di cambiare le nostre convinzioni e posizioni: è segno di grande maturità umana e spirituale».

«Il Sinodo è un esercizio ecclesiale di discernimento», ha proseguito Francesco: «Franchezza nel parlare e apertura nell’ascoltare sono fondamentali affinché il Sinodo sia un processo di discernimento». «Il discernimento non è uno slogan pubblicitario, non è una tecnica organizzativa, e neppure una moda di questo pontificato, ma un atteggiamento interiore che si radica in un atto di fede», ha precisato il Papa: «Il discernimento è il metodo e al tempo stesso l’obiettivo che ci proponiamo: esso si fonda sulla convinzione che Dio è all’opera nella storia del mondo, negli eventi della vita, nelle persone che incontro e che mi parlano». Di qui la necessità di «metterci in ascolto di ciò che lo Spirito ci suggerisce, con modalità e in direzioni spesso imprevedibili», perché «il discernimento ha bisogno di spazi e di tempi».

Per la modalità dei lavori, Francesco ha fatto una proposta ben precisa: «Dispongo che durante i lavori, in assemblea plenaria e nei gruppi, ogni 5 interventi si osservi un momento di silenzio – circa tre minuti – per permettere ad ognuno di prestare attenzione alle risonanze che le cose ascoltate suscitano nel suo cuore, per andare in profondità e cogliere ciò che colpisce di più. Questa attenzione all’interiorità è la chiave per compiere il percorso del riconoscere, interpretare e scegliere». «Siamo segno di una Chiesa in ascolto e in cammino», ha ricordato Francesco: «L’atteggiamento di ascolto non può limitarsi alle parole che ci scambieremo nei lavori sinodali. Il cammino di preparazione a questo momento ha evidenziato una Chiesa ‘in debito di ascolto’ anche nei confronti dei giovani, che spesso dalla Chiesa si sentono non compresi nella loro originalità e quindi non accolti per quello che sono veramente, e talvolta persino respinti. Questo Sinodo ha l’opportunità, il compito e il dovere di essere segno della Chiesa che si mette davvero in ascolto, che si lascia interpellare dalle istanze di coloro che incontra, che non ha sempre una risposta preconfezionata già pronta. Una Chiesa che non ascolta si mostra chiusa alla novità, chiusa alle sorprese di Dio, e non potrà risultare credibile, in particolare per i giovani, che inevitabilmente si allontaneranno anziché avvicinarsi».

«Usciamo da pregiudizi e stereotipi». È l’invito contenuto nella parte centrale del discorso del Papa. «Un primo passo nella direzione dell’ascolto è liberare le nostre menti e i nostri cuori da pregiudizi e stereotipi», ha spiegato Francesco: «Quando pensiamo di sapere già chi è l’altro e che cosa vuole, allora facciamo davvero fatica ad ascoltarlo sul serio». «I rapporti tra le generazioni sono un terreno in cui pregiudizi e stereotipi attecchiscono con una facilità proverbiale, tanto che spesso nemmeno ce ne rendiamo conto», il grido d’allarme del Papa, secondo il quale «i giovani sono tentati di considerare gli adulti sorpassati; gli adulti sono tentati di ritenere i giovani inesperti, di sapere come sono e soprattutto come dovrebbero essere e comportarsi. Tutto questo può costituire un forte ostacolo al dialogo e all’incontro tra le generazioni».

«La maggior parte dei presenti non appartiene alla generazione dei giovani, per cui è chiaro che dobbiamo fare attenzione soprattutto al rischio di parlare dei giovani a partire da categorie e schemi mentali ormai superati», l’esortazione rivolta ai vescovi: «Se sapremo evitare questo pericolo, allora contribuiremo a rendere possibile un’alleanza tra generazioni. Gli adulti dovrebbero superare la tentazione di sottovalutare le capacità dei giovani e di giudicarli negativamente». Poi la citazione di un’iscrizione «trovata su un vaso d’argilla dell’antica Babilonia» e risalente al 3000 a.C., «dove c’è scritto che la gioventù è immorale e che i giovani non sono in grado di salvare la cultura del popolo». I giovani, da parte loro, dovrebbero invece a parere del Papa «superare la tentazione di non prestare ascolto agli adulti e di considerare gli anziani ‘roba antica, passata e noiosa’, dimenticando che è stolto voler ricominciare sempre da zero come se la vita iniziasse solo con ciascuno di loro. In realtà, gli anziani, nonostante la loro fragilità fisica, rimangono sempre la memoria della nostra umanità, le radici della nostra società, il ‘polso’ della nostra civiltà. Disprezzarli, scaricarli, chiuderli in riserve isolate oppure snobbarli è indice di un cedimento alla mentalità del mondo che sta divorando le nostre case dall’interno. Trascurare il tesoro di esperienze che ogni generazione eredita e trasmette all’altra è un atto di autodistruzione».

«Superare con decisione la piaga del clericalismo». Nella parte finale del suo discorso il Papa è tornato su uno dei temi a lui cari, facendo notare che «l’ascolto e l’uscita dagli stereotipi sono anche un potente antidoto contro il rischio del clericalismo, a cui un’assemblea come questa è inevitabilmente esposta, al di là delle intenzioni di ciascuno di noi». Il clericalismo, ha ammonito ancora una volta Francesco, «nasce da una visione elitaria ed escludente della vocazione, che interpreta il ministero ricevuto come un potere da esercitare piuttosto che come un servizio gratuito e generoso da offrire; e ciò conduce a ritenere di appartenere a un gruppo che possiede tutte le risposte e non ha più bisogno di ascoltare e di imparare nulla. Il clericalismo è una perversione ed è radice di tanti mali nella Chiesa: di essi dobbiamo chiedere umilmente perdono e soprattutto creare le condizioni perché non si ripetano». Altra piaga da «curare», per Francesco, è «il virus dell’autosufficienza e delle affrettate conclusioni di molti giovani». A questo proposito, il Papa ha citato un proverbio egiziano, che recita: «Se nella tua casa non c’è l’anziano, compralo, perché ti servirà». «Ripudiare e rigettare tutto ciò che è stato trasmesso nei secoli porta soltanto al pericoloso smarrimento che purtroppo sta minacciando la nostra umanità», il monito di Francesco: «Porta allo stato di disillusione che ha invaso i cuori di intere generazioni. L’accumularsi delle esperienze umane, lungo la storia, è il tesoro più prezioso e affidabile che le generazioni ereditano l’una dall’altra. Senza scordare mai la rivelazione divina, che illumina e dà senso alla storia e alla nostra esistenza».

«Che il Sinodo risvegli i nostri cuori!», ha esclamato il Papa: «Il presente, anche quello della Chiesa, appare carico di fatiche, di problemi, di pesi. Ma la fede ci dice che esso è anche il kairos in cui il Signore ci viene incontro per amarci e chiamarci alla pienezza della vita. Il futuro non è una minaccia da temere, ma è il tempo che il Signore ci promette perché possiamo fare esperienza della comunione con Lui, con i fratelli e con tutta la creazione». «Abbiamo bisogno di ritrovare le ragioni della nostra speranza e soprattutto di trasmetterle ai giovani, che di speranza sono assetati», la tesi del Papa, ancora una volta – come nell’omelia della Messa di questa mattina in piazza San Pietro – sulla scorta del Concilio, ed in particolare della Gaudium et spes, dove si legge: «Legittimamente si può pensare che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza».

«L’incontro tra le generazioni può essere estremamente fecondo in ordine a generare speranza», ha assicurato Francesco utilizzando una delle sue citazioni preferite, presa dal profeta Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni». «Non c’è bisogno di sofisticate argomentazioni teologiche per mostrare il nostro dovere di aiutare il mondo contemporaneo a camminare verso il regno di Dio, senza false speranze e senza vedere soltanto rovine e guai», il commento, stigmatizzando – con le parole di San Giovanni XXIII all’apertura del Concilio – le persone che «nelle attuali condizioni della società umana non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita».

Non lasciarsi dunque tentare dalle «profezie di sventura», non spendere energie per «contabilizzare fallimenti e rinfacciare amarezze», tenere fisso lo sguardo sul bene che «spesso non fa rumore, non è tema dei blog né arriva sulle prime pagine», e non spaventarsi «davanti alle ferite della carne di Cristo, sempre inferte dal peccato e non di rado dai figli della Chiesa», gli imperativi finali del discorso del Papa, che ha esortato i padi sinodali a «frequentare il futuro» e a «far uscire da questo Sinodo non solo un documento – che generalmente viene letto da pochi e criticato da molti –, ma soprattutto propositi pastorali concreti, in grado di realizzare il compito del Sinodo stesso, ossia quello di far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani, e ispiri ai giovani – a tutti i giovani, nessuno escluso – la visione di un futuro ricolmo della gioia del Vangelo».