Vita Chiesa

Terra Santa: Capi delle Chiese di Gerusalemme, saluto a mons. Pizzaballa «dialogo si sta evolvendo»

«La guerra che infuria in Siria e in Iraq ha distrutto molte comunità cristiane che non possono essere sostituite. Le difficoltà economiche della Terra Santa, così come altri fattori, hanno portato molti ad emigrare in Occidente, provocando una diminuzione del numero dei cristiani. Questo problema deve essere affrontato con la creazione di una solidarietà cristiana». Così il patriarca armeno Nourhan Manougian ha salutato monsignor Pierbattista Pizzaballa, durante l’incontro del 20 ottobre scorso, nel quale i capi delle Chiese ortodosse di Gerusalemme (armena, greco-ortodossa, siriaca ed etiope) hanno formulato i loro auguri al nuovo amministratore apostolico del Patriarcato latino. Una preoccupazione condivisa da mons. Pizzaballa che, a sua volta, ha ringraziato il vescovo sito-ortodosso Sweiros Malki Murad, Vicario Patriarcale di Gerusalemme, per la sua cooperazione e il coordinamento congiunto, sottolineando l’importanza della unità tra le Chiese: «nonostante le nostre diverse storie, siamo una voce comune – ha detto Pizzaballa – dobbiamo rafforzare la presenza cristiana nella regione, in particolare a Gerusalemme. Malgrado i nostri piccoli numeri, ciò che facciamo e ciò che diciamo è visto in tutto il mondo. Noi crediamo nella leadership, la collaborazione, le relazioni fraterne che ci legano non solo durante le festività religiose, ma anche nella nostra vita quotidiana».

Rivolgendosi poi al patriarca greco-ortodosso, Teofilo, mons. Pizzaballa ha ribadito il suo impegno a «lavorare per rafforzare ulteriormente le radici cristiane e il carattere cristiano di Gerusalemme». «La nostra forza – è stata la risposta del patriarca – sta nel nostro amore e nella fede in Gesù Cristo. Credo che la nostra esperienza passata e la nostra comprensione della situazione sul terreno abbiano rafforzato la nostra cooperazione. Il dialogo tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa si sta evolvendo in modo molto bello e c’è una comprensione maggiore e più profonda. Questo è un segnale positivo perché più le nostre chiese si incontrano e dialogano, più la ferita guarisce».