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A quarant’anni dalla Legge Basaglia la malattia prevale ancora sulla persona

Lo interessava decisamente più il malato che la malattia. Così Franco Basaglia, psichiatra veneziano chiamato a dirigere il manicomio di Trieste, riuscì a far approvare dal Parlamento italiano, il 13 maggio di 40 anni fa, una vera e propria rivoluzione nel campo della salute mentale, fondata sulla chiusura degli ospedali psichiatrici. Per alcuni una follia a sua volta, per altri, come Norberto Bobbio, l’unica vera riforma del dopoguerra.

L’anniversario della legge Basaglia è stato come le altre volte ricordato con il solito leitmotiv: un grande passo avanti che non aveva uguali in Europa e che restituiva ai malati di mente il loro status di cittadini e, fondamentalmente, di uomini liberi, ma con grandi lacune a livello di attuazione pratica, soprattutto sul fronte dei servizi territoriali, e con il peso delle singole situazioni che è finito per ricadere soprattutto sulle famiglie. Un quadro senza dubbio realistico e sostanzialmente immutato da un anno all’altro, anzi da un decennio all’altro, se non addirittura peggiorato per la concomitanza di due fattori: l’aumento dei casi – soprattutto delle sindromi depressive – e la ristrettezza delle risorse. Con una psichiatria troppo spesso ancorata al ricorso ai farmaci come unica risposta, nonché poco disposta a sottoporsi a oggettive valutazioni di efficienza del proprio operato.

Con tutto ciò, indulgere alla retorica dell’utopia basagliana in fin dei conti inattuabile sarebbe profondamente sbagliato. Perché anche in questo caso è facile incamminarsi sulla scorciatoia di chi dà tutte le colpe alle mancanze della politica, dimenticando che anche per noi, in fondo, i malati psichici sono ancora l’ultima ruota del carro, punta dell’iceberg di quella «cultura dello scarto» di cui parla Papa Francesco. E non è forse un caso che lo scorso autunno la Chiesa italiana si sia (finalmente) occupata del problema con un convegno e che a febbraio sia stata avanzata la proposta di mettere in rete le strutture cattoliche in cui queste persone vengono accolte. Ma non è nemmeno un caso, purtroppo, la scarsissima presenza del volontariato in questo settore, a parte esperienze di punta che è giusto ricordare, come quella di Itaca, peraltro laica. La speranza, non l’utopia, di Basaglia era che certe risposte venissero trovate nella società, perché solo la società in fondo le può dare. Cominciando a guardare a sua volta non alla malattia ma alla persona.