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ABORTO A NAPOLI, DI PIETRO (SCIENZA E VITA): CHE INFORMAZIONE ERA STATA DATA ALLA MADRE?

“Quale verità è stata raccontata a questa donna, tanto da spingerla a fare una scelta del genere?”. A chiederselo è Maria Luisa Di Pietro, docente di bioetica e co-presidente dell’Associazione “Scienza e vita”, a proposito dell’irruzione della polizia al Policlinico di Napoli, dove una donna aveva appena effettuato un aborto alla 21ma settimana di gravidanza, dopo essere venuta a conoscenza che il suo bambino era affetto dalla sindrome di Klinefelter. “In Italia la diagnosi prenatale – dichiara Di Pietro al Sir – è ormai diventata un rituale in gravidanza, che risponde non ad una domanda prettamente diagnostica per poi aprirsi ad un intervento terapeutico o di cura, ma ad una domanda di ‘ricerca del figlio perfetto’ da parte della donna o della coppia”. Dall’altra parte, inoltre, c’è per Di Pietro “una medicina divenuta sempre più difensiva, per cui anche se non si sono indicazioni per eseguire indagini diagnostiche, e anche laddove la tecnica usata presenta un elevato rischio per il feto, il medico spinge che vengano fatte, nel timore che eventuali patologie possano essergli poi addebitate come colpa”. Nel caso in questione, secondo l’esperta “emerge in maniera evidente che a fronte di un esito diagnostico non ci sia stato un adeguato conselling pre e post-diagnostico”. Di qui il dubbio su “quale verità sia stata effettivamente raccontata alla donna”.

In altre parole, spiega Di Pietro, la diagnosi prenatale è stata “disattesa”, perché “è mancata alla donna un’informazione adeguata sul caso in esame”. La sindrome di Klinefelter, ricorda infatti l’esperta, che presenta con 47 cromosomi XXY, “come conseguenza ha, in età adulta, circa nel 93% dei casi la sola sterilità, mentre il paventato ritardo mentale si presenta in casi molto rari e coinvolgerebbe soprattutto la capacità verbale e di lettura, sulle quali si può facilmente intervenire con pratiche riabilitative adeguate”. Di qui l’importanza del ruolo del medico, cui spetta di dire “alla donna e alla coppia la verità scientifica nella sua interezza, ma all’interno di una verità più grande, che riguarda un essere umano chiamato all’esistenza”. Nella stesa legge 194, ricorda Di Pietro, ci sono parti relative alla prevenzione dell’aborto che spesso non vengono applicate. “Sicuramente – spiega a questo proposito – un adeguato counselling pre e post-diagnostico rappresenta una forma di prevenzione dell’aborto, se è condotto bene e se si danno alla coppia tutte le informazioni e gli appoggi possibili per decidere in serenità”. Di qui la necessità di “ridare la sua dignità alla diagnosi prenatale”, anche potenziando l’opera dei consultori previsti dalla legge.

“Se non si rimette al centro la vita di ciascun essere umano, non si riesce a fare progetti adeguati di tutela di ogni vita, anche di quella che è stata concepita e non è ancora nata”. E’ l’ammonimento di Maria Luisa Di Pietro per evitare il “muro contro muro” tra cattolici e laici, ogni volta che si toccano temi come l’aborto. Ai cattolici, in particolare, spetta “farsi carico del progetto genitoriale che una donna o una coppia portano avanti: ci vuole una grande attenzione per la donna e per la coppia, ma anche per il bambino”. Tutto ciò, puntualizza Di Pietro, “non per penalizzare qualcuno, ma per evitare che tante donne vadano incontro al dramma dell’aborto, che gli embrioni vengano gettati via, e che una società che non riconosce la sua sconfitta in questo campo continui a fa finta di niente e a non lavorare in maniera adeguata”. “L’aborto – conclude la co-presidente di “Scienza e vita” – è una sconfitta per tutta la società. Chi viene penalizzato non è solo l’embrione, ma anche la donna, a cui troppo spesso non si consente di portare avanti con serenità un progetto di maternità, ma anzi le si rovesciano addosso ansia, angoscia e pressioni psicologiche di ogni genere”.

Sir