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ABORTO: DI PIETRO SU RAPPORTO APCE, «TENTATIVO DI IMPORRE L’IDEOLOGIA DI POCHI»

“Questa proposta si fonda su un presupposto non corretto basato a sua volta su un principio insostenibile: che esista un diritto all’aborto, mentre non si può definire esercizio di un diritto il violare il diritto alla vita di un altro essere umano”. Maria Luisa Di Pietro, copresidente dell’associazione “Scienza & Vita”, commenta in questi termini al SIR il rapporto della Commissione pari opportunità dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Apce) reso noto ieri, che verrà discusso dal 14 al 18 aprile in seno alla plenaria dall’assemblea a Strasburgo. Il documento invita gli Stati membri che ancora non l’hanno fatto – Andorra, Irlanda, Malta e Polonia – a depenalizzare l’aborto, e sottolinea che dove esso è legale, “le condizioni non sempre sono tali da garantire alla donna l’effettivo esercizio di questo diritto”. “Ma l’aborto non è mai un diritto – ribadisce Di Pietro -: in Italia la stessa impostazione della legge 194 non ha mai previsto di muovere da un presunto diritto all’aborto, bensì ha preso le mosse dal cosiddetto ‘stato di necessità’. Pur consentendo l’interruzione volontaria di gravidanza, la 194 non riconosce tale pratica quale diritto della donna”.

Per Di Pietro si tratta di “una pressione inopportuna nei confronti di un esercizio di un diritto che spesso è una falsa richiesta di autonomia e autodeterminazione della donna, o nasconde solitudine e povertà di diverso tipo. Sappiamo infatti – spiega – che la maggior parte di queste richieste proviene da persone in condizioni di difficoltà economiche o che subiscono pressioni da parte di una società che non accetta chi è disabile o portatore di qualche patologia”. Spesso, insomma, “la donna si sente quasi condizionata ad operare determinate scelte che, perché non libere, scelte in realtà non sono”. “Più che pensare di legittimare tutto questo e di imporlo anche negli Stati nei quali ancora non è stata prevista una legge in materia”, per l’esperta occorrerebbe “ porsi una domanda sul problema principale, e cioè per quale motivo una donna ricorra all’aborto, e per quale motivo non si faccia nulla per ridurre al massimo questa tragedia mettendo sempre più donne nelle condizioni di poter vivere in pieno il proprio progetto di maternità e, soprattutto, consentendo a tanti esseri umani in fase embrionale di continuare nel loro sviluppo”.

Sull’obiezione di coscienza dei medici, citata dal documento come “ostacolo” all’esercizio del diritto di abortire, Di Pietro replica: “È un segnale importante; buona parte della classe medica si è finalmente resa conto di avere nel proprio sangue e nel Dna della professione la volontà di porsi al servizio della vita e della salute. Un segnale positivo. E l’obiezione di coscienza è una forma di libertà che non si può ledere, soprattutto in Italia dove essa costituisce un diritto riconosciuto non solo dalla legge ma anche dalla Costituizone”. Proprio oggi che Scienza & Vita ha reso noto che sono oltre 26mila le adesioni alla moratoria sulla distruzione degli embrioni umani ai fini della ricerca, Di Pietro conclude: “Questa adesione spontanea ad una proposta che non ha avuto spazio nei massmedia dimostra che nella classe medica e nella gente comune si sta facendo strada una crescente sensibilità nei confronti della tutela della vita in tutte le sue fasi, che va in direzione opposta rispetto al documento di Strasburgo. Mi sembra che ciò che si tenta di imporre in molte sedi non sia il sentire di tanti, bensì l’ideologia di pochi”.

Sir