Opinioni & Commenti

Adone Zoli, l’«ingegnere» della democrazia

di Giulio Conticelli

Il 20 febbraio 2010 sono cinquant’anni dalla morte di Adone Zoli e possiamo essere aiutati dalle sue idee e dalle sue azioni nella ricerca delle ragioni di fondo che stanno alla base della democrazia italiana nella Repubblica, poiché fu un testimone intelligente d’ingegneria costituzionale soprattutto sui problemi della giustizia. I primi quindici anni dopo la Liberazione videro da un lato architetti del nuovo Stato democratico, quali furono a Firenze in particolare Giorgio La Pira e Piero Calamandrei, dall’altro un «ingegnere», quale Adone Zoli, che ben sapeva che dietro ai progetti e alle creazioni innovative di una Costituzione occorreva poi sistemare tutta l’impiantistica, perché nella nuova «casa» costituzionale ci si potesse ben vivere. Adone Zoli fu il protagonista di questa attuazione costituzionale quale senatore, più volte ministro e poi presidente del Consiglio tra il 1958 e il 1959; la morte improvvisa il 20 febbraio 1960 lo colse mentre vi era la prospettiva condivisa di una sua elezione alla presidenza della Repubblica.

I problemi della giustizia e dell’ordinamento della magistratura furono il filo rosso della sua attività politico e istituzionale. Adone Zoli, nato in Romagna nel 1887, fu avvocato fiorentino impegnato nel Partito Popolare, e oppositore del fascismo, collaborando alla costituzione del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, per cui fu arrestato con i figli dalla banda Carità: divenne primo vice Sindaco di Firenze dopo la liberazione. L’esercizio dell’avvocatura, quale «esule in patria» durante il regime fascista, fino al rischio di espulsione dall’Ordine forense per la sua difesa dei valori di libertà dinanzi alla dittatura, lo rese sensibilissimo ai problemi dell’amministrazione della giustizia nel nuovo ordinamento democratico della Repubblica.

Se Adone Zoli non fu un membro dell’Assemblea Costituente, eletta nel 1946, perché sostituito da La Pira nel collegio elettorale, fu un lucido e profondo interprete dello spirito costituente della nuova democrazia italiana, dopo la sua elezione nel Collegio fiorentino al Senato nel 1948.

Adone Zoli fu guidato da tre principi fondamentali nella sua azione di parlamentare e uomo di governo: il primato della Costituzione sul legislatore, le garanzie della magistratura come diritto del cittadino ad un giudice indipendente, e l’umanità della vita carceraria, condizione della funzione rieducativa della pena.

La lotta per la Corte Costituzionale. Adone Zoli aveva ben compreso che la nuova Costituzione repubblicana  del 1948, fondata sui diritti della persona, civili, di libertà e ora anche sociali, dovevano avere un baluardo in un’attuazione della Corte Costituzionale, autorevole e rafforzata, per fronteggiare i rischi della «dittatura della maggioranza» parlamentare. Il contributo indefesso fondamentale di Adone Zoli fu quello di operare per l’istituzione della Corte Costituzionale, rispecchiando quelle intuizioni che scientificamente aveva offerto Piero Calamandrei sul problema del controllo di costituzionalità delle leggi. La corrispondenza tra Zoli e Calamandrei, che è conservata a Firenze, ci permette di vedere come il politico attingeva alla sapiente cultura del maestro di diritto Calamandrei, superando anche divaricazioni di orientamento ideologico per il buon fondamento delle istituzioni repubblicane.

Zoli aveva avuto il coraggio di opporsi al senatore Vittorio Emanuele Orlando, maestro del diritto pubblico e pessimista oppositore dell’istituto della Corte, con un’elevatezza di considerazioni che esprimevano tutta la sintonia con il magistero di Calamandrei: «noi dobbiamo valorizzare al massimo quella che è l’importanza di questo istituto. Quando io ho sentito qui dentro dire dal Senatore Orlando che non c’è nulla al di sopra del Parlamento, evidentemente ho avuto un senso di reverenza, perché il giudizio del senatore Orlando si oppone a chiunque e tanto più ad un modesto avvocato di provincia».

Zoli, Il «modesto avvocato di provincia», era però un autentico interprete del nuovo impianto costituzionale e affermò: «…ma io penso che, al di sopra del Parlamento, qualche cosa ci sia ed è la Costituzione: non la Corte Costituzionale ma la Costituzione che è al di sopra di tutti, al di sopra del Parlamento, del Presidente della Repubblica, di quel Presidente del Consiglio dei Ministri.… la Costituzione è al di sopra di tutti; e siccome quest’organo è l’organo incaricato di vigilare sulla Costituzione noi dobbiamo a quest’organo dare una posizione, non dico al di sopra della posizione di tutti gli altri organi ma una posizione per la quale esso si imponga al rispetto di tutti i cittadini e particolarmente dei più umili…dobbiamo far sì che da tutti i cittadini italiani si pensi che la Costituzione s’impone, che la Costituzione ha dei tutori e dei degni tutori», come disse al Senato il 10 febbraio 1949.

Qui Zoli proiettò la propria esperienza esemplare di avvocato durante il regime fascista, sottolineando la composizione della Corte Costituzionale con magistrati, professori di diritto e avvocati, per formare quasi un «Senato del diritto»: la Corte è, nel suo pensiero, il presidio dei diritti della persona e delle comunità nelle quali essa vive dinanzi alle lesioni che anche la legge di una maggioranza parlamentare possa ledere. Così volle Adone Zoli la Corte Costituzionale nella legge istitutiva che portò la sua firma fiorentina quale Guardasigilli nel 1956.

La Magistratura e il diritto dei cittadini. La Costituzione repubblicana aveva innovato la posizione della magistratura nell’ordinamento: non si trattava più di una funzione amministrativa che si esercitava in nome dell’antica monarchia, ma di un potere diffuso dello Stato democratico, attribuito a ciascun magistrato, per il rispetto e la garanzia del diritto e dei diritti della persona. È la rivoluzione copernicana della Costituzione repubblicana che Adone Zoli comprese pienamente quando faceva eco all’insegnamento di Piero Calamandrei, nel suo «Elogio dei giudici scritto da un avvocato» per cui l’ordine giudiziario non è un ramo della burocrazia, ma è quasi un «ordine religioso»: «i giudici sono come gli appartenenti ad un ordine religioso: bisogna che ognuno di essi sia un esemplare di virtù se non si vuole che i credenti perdano la fede».

Per questo Adone Zoli si impegnò subito perché fosse attuato l’autogoverno dei giudici con l’istituzione del Consiglio Superiore della Magistratura: fu questo un obiettivo permanente dell’azione di Adone Zoli, con una consapevolezza del rapporto tra garanzia dell’indipendenza della magistratura ed efficienza dell’amministrazione della giustizia.

L’avvocato Adone Zoli ebbe come stella di orientamento dell’intera sua attività parlamentare e governativa quel valore dell’indipendenza della magistratura, che era stata disegnata nella Costituzione: «intendiamoci l’indipendenza e il prestigio della magistratura non sono tanto un interesse della magistratura quanto un interesse di tutti i cittadini: noi abbiamo il diritto che la magistratura sia indipendente, e dicendo noi, parlo dei cittadini perché solo in questa indipendenza è la nostra garanzia». (Senato, 15 dicembre 1949).

Adone Zoli comprese che l’istituzione di garanzie di indipendenza dei giudici con il Consiglio Superiore non era un sistema di privilegi, ma la proiezione di quel nesso tra i diritti garantiti nella Costituzione ed il nuovo ordinamento giudiziario nella democrazia, precisando che: «l’indipendenza non è un diritto dei magistrati, ma è un diritto nostro», perché è il cittadino ad avere diritto ad un giudice che è indipendente, sia all’interno del sistema giudiziario, sia all’esterno nei confronti degli altri poteri dello Stato. Questa indipendenza è un bene comune di tutti i cittadini, di cui forse non si coglie l’importanza sino a quando non si sentono gli effetti tirannici della sua violazione. Le intuizioni di Adone Zoli si trasfusero nella legge istitutiva del Consiglio Superiore della Magistratura, che portò anch’essa la sua firma fiorentina di Presidente del Consiglio dei Ministri nel 1958.

La sua «paternità» verso i carceratiLe idee cristiane di giustizia non si flettono dinanzi all’applicazione delle pene, anche del carcere, ma sanno mantenere permanente l’idea che la persona umana è sempre un soggetto spirituale, e quindi la pena deve essere funzionale alla vocazione sociale della persona, affinché si reintegri nelle comunità di cui la sua vita è intessuta, dalla famiglia, al luogo di lavoro, alla scuola, alla comunità territoriale. Adone Zoli aveva anche patito l’arresto da parte dei «repubblichini», e lo disse al Senato il 28 febbraio 1951: «io sono stato, insieme con taluni familiari, in carcere». Egli mantenne durante la sue funzioni di Ministro della Giustizia lucida la responsabilità che il carcere è una comunità temporanea di persone, con una porta che deve sempre rimanere aperta verso l’intera comunità sociale. Per questo indirizzava ogni anno per radio da Ministro della Giustizia un messaggio commosso ai carcerati, nei cui confronti sentiva tutta la responsabilità dello Stato per il loro reinserimento, e a tal fine attuò esperimenti lavorativi assai innovativi con le colonie agricole.

Fu il primo Guardasigilli che autorizzò la presenza di giovani nelle carceri per favorire la comunicazione dei detenuti con la vita sociale, permettendo con disposizioni ministeriali che i gruppi della S. Vincenzo de’ Paoli potessero frequentare le prigioni, già nei primi anni Cinquanta.

Al Ministro della Giustizia competeva per Adone Zoli tutta la responsabilità della vita degli uomini e delle donne presenti nelle carceri, quasi profilo di una paternità profonda, sia pure mediata dalle funzioni istituzionali, che troverà poi una corrispondenza speculare nella storica visita di Giovanni XXIII nel carcere romano di Regina Coeli. È una cultura dell’amministrazione della giustizia che doveva affrontare le sfide delle difficili condizioni ambientali postbelliche di vita nel carcere, con la nuova edilizia che costituì un obiettivo centrale di Adone Zoli Ministro della Giustizia. La casa dei carcerati è sempre «una casa» perché rispecchia la natura spirituale delle persone che vi abitano e la dignità deve essere salvaguardata anche nel carcere, per le sue strutture idonee e proporzionate alla funzione rieducativa della pena. Non vi è qui in Adone Zoli una rinnovata esemplare testimonianza laicale del «visitare i carcerati» di un politico del Novecento?  Era tutta l’attenzione a questa vita sociale del carcere che connotò un politico cristiano che da Ministro della Giustizia soleva dire che i contenuti delle sentenze dei giudici non erano di sua competenza per rispettare l’indipendenza del magistrato, perché il Ministro della Giustizia doveva soltanto «contarle e numerarle» per impegnarsi nell’efficienza delle strutture dell’amministrazione della giustizia, senza confusione di funzioni, pena la lesione, mortale per la democrazia, del diritto del cittadino ad un giudice indipendente dal potere governativo.

L’edilizia giudiziaria e carceraria, lo status economico dei magistrati con adeguate condizioni ambientali ed organizzative di personale, furono considerate da Adone Zoli come un impegno determinante l’efficienza della giustizia, al pari del rinnovamento delle procedure: però non volle lo stravolgimento dei Codici entrati in vigore durante il fascismo, perché disse chiaramente che non si doveva distruggere il lavoro scientifico che vi era sotteso, dovendosi eliminare soltanto le disposizioni che in superficie il regime fascista vi aveva inserito e che erano incompatibili con la nuova Costituzione.

Il cristiano delle istituzioni. Adone Zoli fu un antifascista che seppe tuttavia non farsi travisare dalle «etichette» di superficie, ma che discerneva la razionalità profonda che alimenta le istituzioni e che non può piegarsi alle polemiche contingenti e temporanee: apparteneva a quella schiera di democristiani che sono stati gli ingegneri dello Stato democratico, assumendosi responsabilità amministrative in un tempo di tempeste ideologiche.  Cinquant’anni fa, mentre La Pira era impegnato nell’esperimento di rinnovamento dell’amministrazione locale a Firenze, Zoli a Roma era nel cantiere dello Stato democratico perché la Costituzione repubblicana si attuasse integralmente. Scomparve mentre completava sul suo tavolo, da profondo cristiano, uno scritto dedicato ad Israele e alla nuova presenza degli ebrei in Terrasanta, con un sentimento profondo dei grandi processi storici in atto nel Medio Oriente, che ancora oggi ci stanno dinanzi.

La Pira scolpì nel 1960, nelle sue lettere a Papa Giovanni XXIII, il ritratto dell’amico fiorentino, che rimane un monito anche per l’oggi: «chi vide bene fu l’amico Zoli: ora egli è partito e ci ha lasciato un messaggio preciso. Il fascismo non verrà: noi non lo sopporteremo: dal Cielo ci guardano i bambini ebrei e i milioni di assassinati o di morti dell’ultima guerra: Rachele piange i suoi figli» (26 febbraio 1960). «Zoli, e cioè un messaggio politico e morale preciso: no al fascismo; no alla corruzione morale; no alla corsa per la ricchezza e per il vizio». (24 febbraio 1960).

La democrazia è un’arte difficile ma è un’arte alla quale i cristiani come Adone Zoli hanno contribuito con un magistero che il tempo non logora.Firenze e l’Amicizia Ebraico Cristiana hanno già dedicato una lapide sulla sua casa in Piazza della Libertà 11, dove egli con i figli protesse gli ebrei durante le persecuzioni antisemite: forse ad Adone Zoli potrebbe essere degnamente dedicato il nuovo Palazzo di Giustizia di Firenze e della Toscana, perché fu davvero un sapiente «ingegnere» della Repubblica.

IL RICORDO A FIRENZE Il 20 febbraio di 50 anni fa moriva Adone Zoli, un grande giurista che fu anche ministro e capo del governo. Verrà ricordato da Ettore Bernabei nella Basilica di San Marco, a Firenze, sabato 20 febbraio, alle 17. Alle 18,30 verrà celebrata una Messa.