Opinioni & Commenti

Altro che «ammortizzatore sociale», è il luogo per costruire il futuro

di Domenico Delle Foglie

«Meno male che c’è la famiglia». Diciamo la verità: un po’ siamo stanchi di sentircelo ripetere ad ogni pie’ sospinto, a ogni giro di crisi economica, a ogni spiffero di nuove tasse. E poi, chi ce lo ripete ossessivamente? Magari proprio quelli che, braccia incrociate, stanno alla finestra a vederci sbattere di qua e di là per far tornare i nostri conti. Mentre ti ronza fastidiosamente in testa la seconda parte della frase, quella che viene buona per i convegni, le tavole rotonde e le interviste televisive: «Meno male che c’è la famiglia italiana… il vero ammortizzatore sociale che tiene in piedi il Paese». Roba da monumento equestre (al posto di Garibaldi) da erigere al centro della piazza principale perché i posteri sappiano… O da medaglia al valor civile, da appuntare sul petto gonfio di quel padre e di quella madre di famiglia che devono assicurare a tutti (nipotini da educare, figli senza lavoro da sostenere, genitori anziani da accudire) quello che da loro si aspettano. Ovvero, un aiuto concreto. Talvolta concretissimo.

Ecco perché ha ragione il cardinale Angelo Scola quando definisce «geniale» il tema conduttore del VII incontro mondiale delle famiglie (30 maggio/3 giugno) che vedrà convenire, nella città di Ambrogio, centinaia di migliaia di famiglie provenienti da ogni angolo del mondo. Milano sarà capitale della famiglia e rifletterà su «La famiglia: il lavoro e la festa». «Un tema di attualità sostanziale – ha precisato l’arcivescovo di Milano – perché riguarda dimensioni permanenti proprie dell’esperienza comune a ogni uomo di ogni tempo e di ogni luogo che, proprio perché permanenti, sono sempre attuali». Non v’è dubbio che Milano, città simbolo del lavoro italiano, saprà fare festa per la famiglia e per le famiglie.

Di sicuro emergerà un tenace filo conduttore, spirituale ed ecclesiale, che avrà il suo culmine nell’incontro con Benedetto XVI. Lui alla famiglia ci crede davvero, per averla mille volte indicata come uno dei valori «non negoziabili», ma certamente «argomentabili», che devono stare a cuore a tutti. Sarebbe bello se Milano restituisse all’Italia e al mondo, anche attraverso la voce dei suoi governanti, una certezza: ciò che è bene per la famiglia è bene per il Paese. Dunque, non considerare la famiglia come una faglia di frattura della società. Tentazione che affiora spesso nel dibattito pubblico e che si manifesta, come ha denunciato il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, «in una cultura del tutto-provvisorio» che propone «l’introduzione di istituti che per natura loro consacrino la precarietà affettiva».

Per non parlare del «divorzio breve», che può rendere ancor più fragili i legami sociali. Naturalmente, noi non ci consoleremo con il dato statistico dei 16 milioni di famiglie nate da un matrimonio (religioso o civile) e delle 900mila coppie di fatto. Guai a perdere di vista la realtà che è fatta di una diffusa incultura sulla famiglia. Milano potrà fare molto per far mettere radici più profonde ad una cultura che consideri la famiglia italiana come il punto di saldatura del Paese, non la sua linea di frattura sociale.

Sì, ci piacerebbe che da Milano in poi, noi tutti dicessimo forte e chiaro: «Meno male che ci sono uomini e donne che scelgono ancora la famiglia come il luogo indispensabile per diventare migliori, per esercitare la solidarietà intergenerazionale, per costruire il futuro personale e del Paese». Chiamasi bene comune. Di tutti e di ciascuno. Altro che «ammortizzatore sociale».