Italia

Auschwitz e Birkenau, l’orrore della morte diventa lezione di vita

La Provincia di Firenze, capitanata dal suo presidente Matteo Renzi, ha affittato un aereo. Un charter della Meridiana tutto per sé. O meglio per un centinaio di studenti di quattordici scuole superiori accompagnati dai loro professori. Destinazione: i campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau in Polonia. L’idea è maturata qualche mese fa dopo che un gruppo di studenti italiani era entrato di nascosto nel campo di sterminio nazista di Dachau. Non solo, i ragazzi si sono fotografati tra loro con addosso simboli nazisti e croci uncinate. Le foto sono state pubblicate da un giornale. Da questo antefatto è nato «il volo della memoria». Un viaggio-pellegrinaggio di tre giorni (svoltosi dal 6 all’8 aprile) nei luoghi dell’orrore. Sul volo, oltre agli studenti, ai professori e al presidente Renzi, anche Nedo Fiano, ex deportato sopravvissuto all’eccidio, il sacerdote fiorentino don Renzo Rossi, tre ragazzi della comunità ebraica di Firenze, Alessio Tucci in rappresentanza dell’Associazione nazionale deportati e un gruppo di giornalisti. In tanti per vedere, capire, testimoniare. E soprattutto per non dimenticare.

small>dall’inviato Lorella Pellis

La musica cambia subito dopo cena. Una bella botta nello stomaco, pieno per sopraggiunta. Il «volo della memoria» è atterrato all’aeroporto di Cracovia solo da poche ore e il clima godereccio e ridanciano da gita scolastica si rompe di brutto quando Nedo comincia a parlare. «Il deportato era un uomo stravolto interiormente, travolto dalla paura. Il nostro era un contatto giornaliero con la morte. La paura della morte è terribile, arriva per davvero a triturare la vita dell’uomo». Nedo Fiano, classe ’25, ebreo fiorentino, aveva 19 anni quando fu deportato con i suoi genitori (che purtroppo non ce la fecero) nel campo di sterminio di Auschwitz. Era il 16 maggio 1944. Unico superstite della sua famiglia di 10 persone, fu liberato l’11 aprile 1945 nel lager di Buchenwald, presso Weimar, dove le SS lo avevano trasferito pochi giorni prima dell’arrivo degli americani.

Nedo è un passeggero speciale del «volo della memoria». A vederlo non gli daresti mai i suoi 83 anni. È un signore distinto, e quella sua capigliatura bianca definita dal ciuffo gli dà un’aria quasi «sbarazzina». Invece lui è qui per raccontare l’orrore, ripercorrere insieme ai ragazzi la sua storia, nonostante tutto a lieto fine. «Se sono ancora qui è per miracolo – dice – e solo perché fui arruolato nel gruppo degli interpreti al campo. Mentre parla, Nedo tiene fra le mani la casacca di cotone a righe che indossavano i deportati, mostra il numero di matricola tatuato sul braccio sinistro e ricorda la sua prima bastonata inflittagli «solo per aver osato chiedere un cucchiaio per mangiare la zuppa senza doverci ficcare il viso dentro». Nedo rivive la sua esperienza con sofferenza: «Auschwitz era un non-luogo dove non esisteva la famiglia, il nome, la dignità, la libertà. Per i nazisti eravamo solo numeri. Si trattava di ferire, lacerare tutta la difesa di un uomo più profondamente possibile. Eravamo compagni della morte, l’eccezione era chi viveva, non chi moriva». Difficile, per Nedo, nascondere l’emozione e la commozione, soprattutto quando parla della mamma («ho sempre davanti a me i suoi occhi verdi, bellissimi») e del babbo («papà era un uomo straordinario, che ad Auschwitz è sceso dal treno in doppiopetto per andare incontro alla morte»).

L’estinzione era il risultato che il nazismo voleva ottenere. Così Auschwitz e Birkenau (il cosiddetto Auschwitz 2 perché nato dopo il «fratello maggiore») rappresentano la più spaventosa macchina di morte che l’umanità abbia mai conosciuto, il più grande simbolo del male assoluto. Lo documenta il numero delle vittime: più di un milione, forse un milione e 200 mila fra uomini, donne, bambini.

Ma i pugni allo stomaco non sono finiti e le parole di Nedo Fiano fanno ancora più male quando ad Auschwitz e a Birkenau ci si arriva davvero e si oltrepassa il cancello di ferro del lager con la scritta tristemente famosa «Arbeit macht frei» (il lavoro rende liberi). Il campo fu creato nel 1940. In principio i prigionieri e le vittime erano polacchi. In seguito vi vennero deportati zingari e prigionieri di guerra di altre nazionalità. Dal ’42 il campo divenne luogo del più feroce genocidio di massa, nella storia dell’umanità, degli ebrei europei.

E il «Museo dello sterminio» all’interno di Auschwitz lascia attoniti. Contiene le testimonianze più atroci dei crimini nazisti. Le «vetrine» delle baracche sono piene di oggetti che parlano di morte e che raccontano la morte: le montagne di scarpe appartenute a bambini e ad adulti, i vestitini da neonati, le valigie con sopra scritto il nome del proprietario, gli occhiali, le gamelle, e ancora spazzole, spazzolini, protesi, pettini, bambole rotte….

E poi quintali di capelli. Un’immagine inimmaginabile. «Sembra stoppa – commentano gli studenti impietriti –, quella che si usa per togliere l’olio dai fiaschi». «E invece sono capelli – interviene Nedo Fiano –. Una volta erano neri, biondi, castani, rossi. Ora sono tutti grigi, tutti spenti e uguali. È quello che resta di migliaia e migliaia di donne. Magari fra questi ci sono anche quelli della mia mamma». I ragazzi ammutoliscono. C’è solo tanta voglia di piangere.

«Prima di entrare nella camera a gas dove morivano per asfissìa – prosegue Nedo – i deportati erano fatti denudare. Quando l’operazione era conclusa gli uomini della squadra speciale dovevano tagliare alle donne i capelli (che erano venduti a ditte tedesche per farne tessuti), togliere i denti, fare ispezioni vaginali ed anali. A questo punto i corpi erano bruciati nei forni crematori. Le ceneri andavano a finire nel fiume Vistola. Le mangiavano i pesci, quei pesci che non possiamo escludere siano tornati sulle tavole dei veri responsabili di tanto scempio».

Nessuno parla più, solo orrore nei volti. «Sono convinto – dice ancora Nedo – che questo ricordo condizionerà i vostri comportamenti e scelte. Siete stati calati in una realtà lontana, incredibile. Ma voi dovete coltivare il pensiero interiore. Questi strumenti di morte non possono lasciare indifferenti. Da spettatori vorrei vi trasformaste in attori che portano queste cose nella vita di tutti i giorni. Quelle montagne di capelli e di scarpe non li dimenticherete, nemmeno a volere. Dovete diventare i paladini della libertà».

Davanti al «Muro della morte», il luogo delle esecuzioni capitali, arriva anche il momento di una breve cerimonia che si conclude con la deposizione di una corona.

«L’impegno che prendiamo – sono le parole del presidente della Provincia Matteo Renzi – è che non dimenticheremo mai ma anche che saremo uomini e donne capaci di responsabilità. Il “volo della memoria” non serve per fare del folclore, serve per il nostro presente e per il nostro futuro, per avere la capacità di essere persone fino in fondo, incapaci di vivere nella mediocrità».

L’arrivo a Birkenau, a tre chilometri da Auschwitz, è «salutato» dalla pioggia che con il passare del tempo diventa insistente ed insidiosa come il fango che costringe tutti a rallentare il passo ma rende ancora più verosimile quell’inferno. In questo luogo i nazisti costruirono la maggior parte degli impianti di sterminio: 4 crematori con le camere a gas, 2 camere a gas provvisorie situate in case contadine convertite a tale uso, fosse e roghi. A Birkenau i treni provenienti da tutta Europa si inoltravano fin dentro al campo: i binari della ferrovia erano stati prolungati per entrare dalla porta principale ed arrivare fino alla baracca dove avveniva la selezione. Da una parte, quelli che venivano mandati direttamente alle camere a gas. Dall’altra, coloro che erano ritenuti abili ai lavori forzati. Qui, a pochi passi da un bosco di betulle che dà il nome a Birkenau, ci sono ancora le rovine delle camere a gas e dei crematori fatti saltare in aria dalle SS nel tentativo di cancellare le tracce dei crimini commessi. Di qua e di là dalla ferrovia le baracche: a destra quelle in legno, riservate agli uomini, che in origine erano stalle per 52 cavalli, a sinistra quelle in muratura riservate alle donne e ai bambini. «Qui il campo aveva un odore spaventoso di carne bruciata – ricorda Nedo, che sulla rampa di Birkenau doveva accogliere le migliaia di deportati scaricati lungo i binari dopo giorni allucinanti di viaggio –. Ma la sera, quando vedevo queste fiaccole, segno che tanta gente era stata bruciata, non ho perso mai la speranza. Gli occhi verdi di mia mamma mi hanno sempre protetto».

Altro accompagnatore speciale sul «volo della memoria» il sacerdote fiorentino don Renzo Rossi, coetaneo di Nedo Fiano, trent’anni trascorsi in missione in Brasile. «Voi giovani, che rappresentate la speranza del domani, dovete cercare dentro di voi le ragioni vere che vi hanno portato qui. Molti si stanno chiedendo dov’era Dio durante questa tragedia. Pascal diceva: “Il dolore con Dio è un mistero, quello senza Dio è un assurdo”. Voi, fatelo a modo vostro, ma continuate a cercare Dio, mi raccomando!».

Le impressioni degli studenti, i testimoni del futuroSono arrivati con il sorriso sulle labbra e sono tornati a casa con le lacrime agli occhi. Gli studenti che hanno partecipato al «volo della memoria» sono però tutti convinti che «la memoria delle persone morte nei campi di sterminio debba rimanere viva» grazie alla testimonianza di chi ha avuto, come loro, la possibilità di vedere e poi di raccontare agli altri.

«È impossibile restare freddi davanti allo “spettacolo” dello sterminio – dice Carlo, che frequenta la quarta superiore –. Ora cercherò di trasmettere agli altri quello che ho visto e ciò che ho ascoltato da Nedo Fiano». Giovanni (della Balducci di Pontassieve) è sicuro: «Non ci sono parole che possono descrivere certe sensazioni» e Duccio, del liceo scientifico, pensa che «solo dopo aver visto dove la gente è stata deportata, allora possiamo capire cosa ha significato Auschwitz, la non vita ovvero sperimentare la morte ancor prima di morire». È un’esperienza che ti cambia – sottolinea Laura dell’istituto tecnico commerciale Peano –. Siamo stati calati in un incubo, che ci ha permesso di toccare con mano e capire meglio la nostra storia recente».

Gessica, dell’Istituto d’arte, sottolinea quanto «l’uomo si può spingere a fare del male ad altri uomini» e Stefano, del Giotto Ulivi di Borgo San Lorenzo, confida che «da un grande male a volte può nascere un grande bene».

«Se non parliamo di quello che è accaduto è come se tutto ciò non fosse successo – dice Carolina –. Ora è arrivato il momento del passaggio del testimone, che viene consegnato nelle nostre mani».

L’incontro dei ragazzi con il cardinale Dzwisz, segretario di Papa WojtylaD opo Auschwitz e Birkenau ultima tappa a Cracovia, la città più bella della Polonia, dove molti artisti italiani hanno lavorato dando alla luce opere d’arte che sono veri e propri capolavori.

Nella cappella dell’Arcivescovado una nutrita delegazione dei cento studenti fiorentini, insieme al presidente Renzi, a Nedo Fiano,a don Renzo e ai giornalisti, è stata ricevuta dal cardinale Stanislao Dzwisz, arcivescovo di Cracovia, e già segretario di Papa Wojtyla. Davanti a loro mons. Dzwisz ha abbracciato Nedo, prezioso testimone della Shoah. A costui il cardinale ha ricordato l’amicizia del suo predecessore, Karol Wojtyla, con gli ebrei di Wadowice, ai quali era legato fin dall’adolescenza. Nedo Fiano, sopravvissuto, ascolta Dswisz e si commuove profondamente.

Quelle parole, oltre a rimarcare il legame irrinunciabile tra cristiani ed ebrei, sono pronunciate in un luogo importante, la cappellina dove si ritirava a pregare e celebrava la liturgia l’allora cardinale ed arcivescovo Karol Wojtyla (nella stessa cappella ha celebrato anche Papa benedetto XVI), che tanto ha lavorato per concretizzare il dialogo e che, durante l’occupazione nazista, si fece difensore di molti ebrei per salvarli dalla deportazione. Dopo aver ricordato che ebrei e cristiani sono figli dello stesso Dio di Abramo, Dzwisz ha spiegato il senso del grande amore di Papa Giovanni Paolo II per i giovani, il valore delle Gmg, innervato sulla consapevolezza che i giovani sono il futuro del mondo.

Gli studenti e il presidente della Provincia hanno «chiamato» a Firenze il cardinale Dzwisz che ha accolto volentieri l’invito.

Al cardinale è stata donata una ceramica di Montelupo Fiorentino raffigurante una Madonna con il bambino.