Toscana

Badanti: Doina e Tamara, tra sacrifici e speranza

di Lara Vannini

Offrono assistenza ma soprattutto calore umano, accudiscono il corpo di persone bisognose ma spesso si trovano a dover asciugare le loro lacrime e portare speranza dove c’è sofferenza e malattia. Sono le collaboratrici familiari, un esercito silenzioso di donne immigrate la cui presenza è in costante aumento anche in Italia. Donne, in molti casi con una cultura medio-alta che lasciano le precarie e difficili condizioni di vita del proprio paese d’origine per tentare di migliorare non solo la propria esistenza ma anche quella dei propri cari ai quali inviano quando è possibile aiuti economici.

Accostarsi alla vita della badante è sicuramente un’utile chiave di lettura per fare chiarezza nel complesso e variegato mondo della migrazione, inquadrare la vita di queste persone, capire come vivono, quali problemi incontrano e come si pongono nei confronti del paese ospitante.

Doina e Tamara del Centro accoglienza della parrocchia del Giglio a Montevarchi sono due collaboratrici familiari che raccontando la propria esperienza ci offrono un interessante spaccato di questa realtà così complessa.

Doina è una giovane donna rumena di Bucarest che nel 2006 ha deciso di lasciare la Romania per cercare lavoro in Italia. Laureata e attrice di teatro, ha capito finiti gli studi, che nel proprio paese non si sarebbe mai potuta realizzare e così grazie al Centro accoglienza di Montevarchi, Doina è diventata la collaboratrice familiare di una coppia di anziani. Il lavoro consisteva in una assistenza continua della coppia 24 ore su 24 escluse 4 ore di riposo la domenica, giorno in cui Doina si prendeva qualche ora tutta per sé, ricercando una vita privata quasi inesistente. Una professione quella della collaboratrice familiare che – come tiene a precisare Doina – si è rivelata fin da subito molto di più di una semplice assistenza: «Vivere a stretto contatto con delle persone, mette in gioco sentimenti e stati d’animo che niente hanno a che fare con il lato economico di questo lavoro». Doina racconta di aver accudito i due coniugi con affetto come fossero stati bambini deboli e indifesi da proteggere. Terminato il rapporto di lavoro per la coppia di anziani, Doina ha trovato ospitalità nel Centro accoglienza della parrocchia del Giglio dove con un po’ di soldi messi da parte durante il suo lavoro di badante, ha continuato a studiare per migliorarsi come persona e potersi realizzare in ambito lavorativo. L’italiano – racconta Doina – l’ha imparato da sola, leggendo e guardando la televisione. Alla domanda se potesse un giorno tornare a casa propria, Doina ha risposto di no. Una riflessione amara, specchio di come l’immigrato sia costretto a fuggire da una realtà che non offre neanche i mezzi necessari per la sopravvivenza. Così come Doina anche Tamara ci racconta la propria storia, felice per una volta di far capire agli altri i sacrifici e le speranze di donne simili a lei. Tamara è una donna rumena di mezz’età, una maturità classica e un matrimonio fallito alle spalle che tramite il Centro accoglienza della parrocchia del Giglio, ha trovato lavoro come badante presso l’abitazione di una ragazza disabile di nome Chiara. Tamara è fiera di raccontare del proprio rapporto simbiotico con questa ragazza, la cui disabilità essendo fisica ma non mentale, si è trasformata in un momento di crescita e arricchimento interiore per entrambe le donne. Tamara si è sentita come il «prolungamento del corpo di Chiara», un aiuto ma soprattutto un’amica speciale pronta a sorreggerla nei momenti di sconforto. Tamara dice di Chiara: «Nonostante la sua disabilità sembra non avere barriere nè fisiche nè psichiche, tanto è forte il suo carattere».

Secondo Tamara il lavoro di assistenza pratica della collaboratrice familiare è solo una piccola parte di quello che in realtà questa professione dovrebbe rappresentare, infatti è sua opinione che  la badante dovrebbe prima di tutto capire i problemi delle persone che si trova ad accudire, quindi fornire un aiuto pratico alle stesse. Essa non può lavorare come una macchina, ma deve saper dare amore anche se capire non significa non avere momenti di discussione e confronto che sono necessari per riuscire ad amalgamare i caratteri di persone diverse e i primi tempi sconosciute.

Alla domanda se un giorno ritornerebbe nel proprio paese d’origine Tamara ha risposto no. La famiglia le manca ma in Romania non avrebbe futuro.

Tamara racconta poi i momenti difficili dell’integrazione nel nostro paese: l’importante dice per essere accettati è non essere egoisti e dire sempre la verità, l’onestà premia sempre. Nonostante la nostalgia per il proprio paese, Tamara ha deciso di «rinascere» in Italia, imparare la lingua e le tradizioni italiane, dedicandosi al proprio lavoro con grande responsabilità. Tamara rivolge infine un pensiero anche ai propri connazionali che in Italia si danno alla delinquenza e su di loro afferma: «sono il nostro peggior biglietto da visita».