Vita Chiesa

BAGNASCO A RETINOPERA: TENER VIVO NELLA NOSTRA SOCIETA’ IL CONCETTO VERO DI COSCIENZA

“C’è un tema ricorrente nei nostri discorsi, specialmente in quelli più impegnati, e che si presenta cruciale in particolare se riferito alla responsabilità della singola persona rispetto alla realtà storico-politica: è il tema della coscienza”. Lo ha detto, stamattina, il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, intervenendo sul tema “Il valore della coscienza nell’impegno sociale e politico” alla giornata di riflessione sulla formazione sociale e politica di Retinopera. La coscienza, ha spiegato il porporato, “è la voce di Dio dentro di noi, è una struttura antropologica fondamentale insita alla persona, che appartiene quindi alla nostra essenza. È la consapevolezza della responsabilità davanti all’insieme della creazione e davanti a Chi l’ha creata”. Non solo: non sono “poche le prove di affinamento che questo concetto ha avuto da parte anche laica, a riprova di un’inquietudine talora incandescente che gli uomini sentono circa le responsabilità verso la vita e la storia”. Tuttavia “questa parola trova, specie nella fluidità del post-moderno, versioni e citazioni intrinsecamente ambigue”. Come non rilevare, ad esempio, “la foga con cui si tende a confondere l’assenza di costrizioni e il comportarsi secondo i dettami della coscienza? Oppure a sovrapporre l’interesse politico, in sé non negativo se sorvegliato e tenuto nei giusti confini, con la spiegazione dell’esigenza generale?”. “La religione – ha osservato il cardinale – aiuta a distinguere fra un concetto e l’altro, ma essa sembra essere scarsamente considerata dalla coscienza moderna. Vediamo però che il deperimento a cui viene sottoposto il senso religioso produce inevitabilmente smarrimento etico”. In realtà, “troppe volte, nella cultura come nella vita, si confonde il concetto di coscienza, ossia la capacità della persona di riconoscere la verità e la decisione di incamminarsi in essa, con l’ultima perentorietà dell’istanza soggettiva. In pratica, è lo stordimento attorno al falso concetto di autonomia ciò che fa entrare in profonda confusione la cultura odierna, quella secondo cui la persona si pensa tanto più felice quanto più si sente prossima a fare ciò che vuole”.Per ovviare a queste degenerazioni, il card. Bagnasco ha offerto “alcune linee di lavoro che inducano il credente a sentire la responsabilità verso la coscienza, e a sentirla – se possibile – anche per chi non si pone il problema”. Occorre “anzitutto, tenere vivo nella cultura e nel costume odierni il concetto vero di coscienza quale ‘nucleo più segreto e sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria’”. La coscienza “ha bisogno di essere continuamente purificata”. “Forse – ha rilevato il presidente della Cei – si dà poca importanza oggi a questa fase di necessaria chiarificazione, di sgombero delle macerie e pulizia del campo, al fine di avvicinarsi il più possibile alle strutture del reale, liberandosi via via dalle rappresentazioni soggettive. Vi è una ragione dell’essere che è più forte e più resistente di ogni costruzione umana. Riconoscere questo reale in sé, e piegarsi riconoscenti ad esso, è l’atto più morale che noi possiamo compiere”. In secondo luogo, è necessario sperimentare la coscienza “per imparare a scegliere sempre il bene concreto, tenendo presente che il bene dell’uomo coincide con la sua strutturale apertura al futuro”. Ci sono principi non negoziabili, dove l’espressione significa che, per loro natura, “essi emergono con evidenza propria dalla realtà, infrangibili e intrattenibili, salvo che non si eserciti la violenza”. Tra loro, “la vita umana dal suo primo istante alla morte, la libertà di crescere e maturare, il matrimonio tra l’uomo e la donna, sono beni fondamentali e fondativi; sono beni senza dei quali non ce ne potranno essere altri, come il lavoro, l’inclusione, la sicurezza, l’ambiente, la pace…”. Serve, poi, “educare e formare la coscienza. Essa infatti può farsi debole e inferma, può essere deformata a tal punto da esprimersi a stento o in modo distorto. Il silenzio della coscienza, per incuria e abbandono, può far scambiare l’istintività per spontaneità, il velleitarismo per pertinenza, l’ingiustizia per giustizia, la morte per vita, l’egoismo per amore”. Infine, è necessario “esercitare la coscienza nel discernimento ecclesiale. Per riuscire in una scelta concretamente buona serve il discernimento, che non è mai un’iniziativa solitaria perché include la comunità ecclesiale, nella quale il discrimine viene dalla Parola di Dio e dal magistero”. L’apostolo Paolo, ha sottolineato il porporato, “esorta i credenti in Cristo a raggiungere l’età adulta”. Conviene però vigilare sull’espressione “cristiani adulti”, ha avvertito il cardinale, “perché non succeda anche qui un più o meno volontario slittamento semantico, come se l’espressione implicasse l’adozione di atteggiamenti di autosufficienza e di autonomia dal magistero della Chiesa”. “La fede in Gesù – ha concluso – chiede ai cristiani lo sforzo per inoltrarsi con maggior impegno nella costruzione di una cultura che, ispirata al Vangelo, riproponga il patrimonio di valori e contenuti della tradizione cattolica”. (Sir)