Prato

Basta vivere di sola rendita: «Investite su Prato»

«Faccio un pressante invito a chi può e sa in questa nostra città: investire di più, affrontando le sfide necessarie, accogliendo il monito di Gesù che “è stolto accumulare solo per se stesso”». Il Vescovo non usa giri di parole nel suo accorato appello lanciato nell’ultima «Messa per Prato», celebrata sabato scorso, 21 marzo, in cattedrale.È il terzo appuntamento con le celebrazioni convocate per «sostare insieme in preghiera per questa nostra amata città, i suoi abitanti, le famiglie, le istituzioni, la sua molteplice articolazione sociale», come ha spiegato mons. Agostinelli ricordando il senso del ritrovarsi, mensilmente, per celebrare l’eucarestia con il pensiero rivolto a Prato.Il lavoro, «la caratteristica che meglio ha qualificato Prato per molti decenni ed ha offerto possibilità di integrazione sociale», è stato al centro delle riflessioni del Vescovo. Nel corso dell’omelia sono stati offerti moltissimi spunti, inviti e auspici che abbiamo cercato di riassumere in questa cronaca e che riportiamo, nei tratti salienti, pubblicando gran parte dell’omelia pronunciata lo scorso sabato.Forte e preciso, lo abbiamo riportato all’inizio, è stata la sollecitazione, quasi una provocazione, rivolta «a chi può e sa», a quegli imprenditori che preferiscono «la rendita alla produzione e all’investimento». Questa scelta, di comodo, per mons. Agostinelli «crea le premesse per l’impoverimento della città: chi vive bene e accumula per se stesso, distrugge il futuro di questa comunità, elimina il ruolo sociale dell’impresa e dei beni». Perché: «L’investimento è il futuro, la rendita è il passato». Il presente invece è rappresentato da tanti disoccupati che «non sanno dove collocarsi nella scala sociale». Le parole del Vescovo descrivono bene un sistema in affanno, in costante difficoltà, una condizione ben conosciuta da tutti, ma a fronte di questa reale e ovvia consapevolezza il Presule avverte un rischio, quello di «giustificare con superficialità l’aumento enorme del “nero”, del “sommerso”, dei redditi anche loro “sommersi”», in questo modo «aumenta quell’arrangiarsi che degrada la dignità dell’uomo alla sopravvivenza e alla furbizia, aumentando quelle disuguaglianze e ingiustizie storiche che affliggono la società italiana». Un pensiero è andato anche alla «più grande comunità cinese d’Italia», qui l’invito, molto concreto, è stato quello di valorizzare «la nostra relazione locale per i veicolare i nostri prodotti».Dopo queste considerazioni, mons. Agostinelli ha voluto ricordare e sottolineare il suo ruolo e quello della comunità ecclesiale sul versante del lavoro. «Naturalmente il Vescovo non è un politico, non è un sociologo, non è un sindacalista, non è un economista, né un manager – ha voluto precisare – come Vescovo sono chiamato ad esprimere o richiamare non solo giudizi morali, ma indicazioni di senso».La prima considerazione è che il lavoro «è innanzitutto relazione» e che «solo una riscoperta della dimensione soggettiva e relazionale può fare la differenza tra una logica mercenaria e di sfruttamento ed una dimensione di pieno sviluppo della persona e della comunità».Il lavoro inoltre è «luogo teologico dove incontrare Dio», da qui la considerazione a riscoprire una nuova e vera «spiritualità del lavoro». Solo questa strada «ci farà paladini sia del diritto “nel” lavoro che del diritto “al” lavoro, con tutte le conseguenze di coerenza tra Vangelo e vita».Non solo agli imprenditori e a coloro che possiedono capitali, il pensiero del Vescovo è andato anche ai sindacati e alle associazioni di categoria, con l’invito ad essere «palestre di giustizia e solidarietà, di partecipazione e di crescita culturale». Questo significa aiutare i lavoratori a «costruire la coscienza della propria dignità e del proprio compito verso l’azienda, la terra, gli uomini, la società e Dio».Ricordiamo alcune frasi che possono essere benissimo essere usate come slogan, o «mantra» utili per orientare il cammino della città: «Non rassegniamoci alla crisi», «riscopriamo con urgenza il senso del sacrificio», «testimoniano la fraternità», «riscopriamo la cultura del lavoro legandola a quella della vita».L’omelia ha toccato anche il tema della riscoperta della domenica, tema caro anche a mons. Simoni, «come tempo di riposo, di relazioni, di ri-creazione e di preghiera. Coniugare tempi del lavoro e tempo della festa. Talvolta – ha detto il Vescovo – si lavora troppo, come pazzi, senza più tempo per se stessi, nemmeno per la riflessione».