Toscana

Bocciata l’aggravante di clandestinità

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’aggravante di clandestinità (pene aumentate di un terzo se a compiere un reato è un immigrato presente illegalmente in Italia) prevista nel 2008 dal primo «pacchetto sicurezza» del governo, mentre il reato di clandestinità, introdotto nel 2009 dal secondo «pacchetto sicurezza» sarebbe immune da vizi di incostituzionalità.

L’aggravante di clandestinità (art. 61, numero 11 bis, del codice penale introdotto dalla legge 125 del 24 luglio 2008) sarebbe stata bocciata per violazione degli articoli 3 e 25 della Costituzione.

Intanto l’irragionevolezza, perché, in base al principio del «ne bis in idem», l’aggravamento della pena si sovrapporrebbe al reato di clandestinità introdotto lo scorso anno. Inoltre, l’aumento di pena violerebbe il principio costituzionale del «fatto materiale» quale presupposto della responsabilità penale, nel senso che l’aumento di pena sarebbe collegato esclusivamente allo «status» del reo (il trovarsi irregolarmente in Italia) e non alla maggiore gravità del reato, o alla maggiore pericolosità dell’autore. Come nel caso dei recidivi o dei latitanti.

La Consulta avrebbe, quindi, dato un sostanziale via libera alla legittimità del reato di clandestinità – punito con l’ammenda da 5mila a 10mila euro – introdotto dal secondo «pacchetto sicurezza», nel luglio 2009, dichiarando infondate diverse questioni di legittimità sollevate da numerosi giudici di pace.

In attesa della pubblicazione della sentenza, dalla Corte Costituzionale potrebbe venire, però, l’indicazione che spetta all’Autorità giudiziaria valutare, caso per caso, la grave entità del fatto, così da escludere eventuali giustificati motivi per cui l’immigrato si sia trattenuto illegalmente in Italia.

Il reato di clandestinitàL’articolo 10 bis del T.U. immigrazione, inserito nel Testo Unico sull’immigrazione dalla legge n. 94/2009, ha introdotto la nuova fattispecie di reato contravvenzionale dell’ingresso e soggiorno illegale in Italia, sanzionato con l’ammenda da euro 5.000 a euro 10.000.

La condotta tipica è costituita dal «fare ingresso» ovvero dal «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del T.U. immigrazione nonché di quelle di cui all’art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68.

Alla contravvenzione non si applica l’articolo 162 del codice penale, ossia la facoltà di estinguere il reato da parte del contravventore tramite il pagamento di una somma di denaro.

Per quanto riguarda la disciplina del procedimento penale per il nuovo reato, è previsto la presentazione immediata dell’imputato a giudizio innanzi al giudice di pace e lo svolgimento del relativo giudizio.

Il comma 2 dell’articolo 10 bis specifica che il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato non si applica allo straniero che sia stato respinto al valico di frontiera perché privo dei requisiti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato, ai sensi dell’articolo 10, comma 1.

In base al comma 4 della nuova disposizione, ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato per il reato in esame non è richiesto il rilascio del nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del medesimo reato.

Il questore comunica all’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato l’avvenuta esecuzione dell’espulsione ovvero del respingimento con accompagnamento alla frontiera ai sensi dell’articolo 10, comma 2, del Testo unico.

Sulla base del comma 5 del nuovo articolo 10-bis, in tali casi di esecuzione del respingimento o dell’espulsione, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere.

Se tuttavia lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima che sia decorso il termine previsto dall’articolo 13, comma 14, trova applicazione l’articolo 345 c.p.p., relativo alla riproponibilità dell’azione penale per il medesimo fatto e nei confronti della medesima persona pur in presenza di una sentenza di non luogo a procedere, anche se non più soggetta ad impugnazione, pronunciata per mancanza di una condizione di procedibilità.