Vescovi Toscani

Cardinale Giuseppe Betori: la relazione all’assemblea del clero di Lecceto

Intervento dell’Arcivescovo di Firenze

alla giornata conclusiva dell’Assemblea del clero

 

Lecceto, Casa di spiritualità “Elia Dalla Costa”, 13 settembre 2017

 

 1.     Consapevoli del contesto sociale

È ormai consueto che questa riflessione a inizio dell’anno pastorale si apra con alcune considerazioni relative al contesto più ampio in cui si colloca l’impegno delle comunità cristiane. Una più chiara consapevolezza delle dinamiche culturali e sociali in cui ci troviamo ad esercitare la nostra testimonianza e a portare l’annuncio del Vangelo è condizione necessaria per la loro efficacia. Non che la salvezza dipenda da noi, essendo opera della grazia di Dio, ma è nostra responsabilità creare le condizioni perché essa possa essere riconosciuta dagli uomini. E questo presuppone che si sia consapevoli del contesto in cui la parola della salvezza va oggi a calare.

Un contesto segnato da molteplici tensioni che dividono popoli e nazioni. Non ci è possibile dimenticare i tanti scenari di guerra in cui oggi la vita di tanti uomini e donne è minacciata, intere popolazioni sono costrette a lasciare le loro case e i loro paesi, la libertà e la dignità della persona umana sono calpestate e oppresse. In molti casi è la libertà religiosa a essere schiacciata. La scorsa settimana l’ingiusta detenzione di Asia Bibi è giunta a tremila giorni: non dimentichiamo questa coraggiosa martire di Cristo nella preghiera delle nostre comunità! La memoria di tante sofferenze, soprattutto quelle dei fratelli nella fede, dovrebbe risuonare con maggiore continuità nelle nostre assemblee liturgiche e suggerire opportune iniziative di carità.

Per quanto riguarda il nostro contesto nazionale, emerge ancora come problema primario quello del lavoro per tutti, in particolare per i giovani. Le crescenti situazioni di povertà e di disagio sociale, che le parrocchie segnalano a livelli sempre critici, hanno alla loro radice la perdita del lavoro o il non averlo mai raggiunto, cui non di rado si connette quello della mancanza di abitazione. A fronte di questi drammi c’è da auspicare ancora maggiore attenzione e incisività da parte della politica. Il tema del lavoro esige da parte di tutti un impegno più sostanziale. Non a caso del lavoro come vocazione, opportunità, valore, fondamento di comunità e promotore di legalità si occuperà la prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani a Cagliari il prossimo mese.

E alla politica c’è da chiedere ben maggiore impegno anche su un altro fronte critico della nostra società, quello del sostegno alla famiglia, aggredita nella sua identità propria, lasciata a sé stessa nelle sue responsabilità educative, non aiutata nella sua vocazione alla vita, con il conseguente tragico crollo della natalità nel Paese. Registro con favore la presenza in non poche nostre comunità di iniziative che cercano di togliere le famiglie dal loro isolamento e, seppure non in grado di portare contributi sostanziali alla soluzione dei loro problemi, almeno capaci di creare relazioni e contesti comunitari.

Tra lavoro e famiglia si intrecciano anche le vicende del mondo giovanile. La prossima Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi ci incoraggia a rafforzare ogni attenzione verso i giovani, all’accoglienza e al dialogo con loro, con una crescente consapevolezza della criticità della loro situazione ai nostri giorni. Vi si intrecciano le carenze dell’istituzione scolastica, le confuse prospettive di inserimento nel mondo del lavoro, le sollecitazioni consumistiche del mercato, le diffuse derive del bullismo, dell’alcoolismo, della dipendenza dai social media. Non vogliamo vedere solo questo, perché sappiamo anche che non mancano tra i giovani tensioni ideali, volontà di relazione, capacità di innovazione, coraggio nelle prove. Stare vicini, offrire occasioni positive di incontro, fare proposte di esperienze significative, costituiscono un orizzonte su cui collocare iniziative che scaturiscano da un’intelligente creatività pastorale.

Una parola va detta anche a riguardo del fenomeno migratorio che attraversa la nostra società italiana, ancora contenuto nei numeri rispetto ad altre società occidentali ma assai imponente nella percezione che se ne ha e che viene divulgata. Ci troviamo impreparati ad affrontare questo incontro tra popoli, culture e religioni e lo si percepisce spesso come un fatto che mette in pericolo la sicurezza sociale, dimenticando che la storia dei popoli, anche del nostro, è attraversata periodicamente dalle migrazioni e che la nostra stessa identità ne è frutto. Si tratta di porsi di fronte alle migrazioni contemporanee, legate a contesti di guerra e di povertà estreme, con uno spirito che unisca al tempo stesso accoglienza per l’altro riconosciuto come fratello e consapevolezza della propria identità culturale e religiosa nel momento in cui ci si pone in dialogo. Pensare di arginare i fatti con i muri e i divieti è puramente illusorio; cercare di orientarli attraverso politiche di cooperazione e di coordinamento, come i corridoi umanitari, non solo è saggio ma è anche capace di evitare gli esiti più distruttivi, come le morti in mare, e di generare prassi virtuose, con la prudenza che fa i conti con le concrete possibilità.

In questo contesto aggiungo due ulteriori riflessioni. La prima riguarda la connessione che a volte viene istituita tra la presenza dei profughi richiedenti asilo e gli atti terroristici; una connessione indebita, in quanto il terrorismo è espressione di altra natura, che si innesta su rivendicazioni di dominio all’interno del mondo musulmano e di nuclei politici violenti in esso che fanno uso perverso della religione e si oppongono alla cultura dell’occidente. Al terrorismo si risponde rafforzando le ragioni della nostra identità – perché no, mostrando quanto i suoi valori debbono alla radici cristiane – e reprimendo la violenza in tutte le sue forme. La seconda riflessione riguarda invece l’accoglienza dei profughi, che vede protagoniste non poche nostre comunità. Ringrazio quanti sono impegnati su questo fronte e invito tutti a dare, nelle modalità per loro possibili, il loro contributo. Promuovere percorsi di accoglienza e di integrazione favorisce la pace sociale e prepara un futuro più sicuro per tutti.

Avvicinando lo sguardo alla nostra realtà locale, non ho che da ripetere quanto ebbi occasione di indicare nella festa del patrono San Giovanni: «La città ha bisogno di presenze vive, di istituzioni che sappiano valorizzare e promuovere contemporaneamente il loro portato culturale con la loro vocazione all’incontro tra gli uomini. Non solo contenitori, ma soggetti attuali di esperienze. […] E poi, non si dovrà anche noi cominciare a pensare a partire dalle periferie, come spesso invita il Papa, scommettendo sulle loro potenzialità di rigenerare l’intero corpo sociale cittadino, di una città che deve concepirsi in modo unitario, fino alla sua più ampia dimensione metropolitana? […] Ma per far questo occorre ricostruire le relazioni nel tessuto sociale dei nostri territori, creando e sostenendo radici capaci di generare unità, e questo ai vari livelli dell’esperienza umana, dalla famiglia al vicinato, dalle forme aggregative della società civile, incluse le comunità parrocchiali, alle stesse attività economiche; sì, fino a un’economia di relazione, che a partire dalle piccole azioni sia in grado di creare sviluppo sociale, un tessuto di speranza, una solidarietà organica». Sono parole per me sempre attuali, che ho visto accogliere da molti con interesse e favore, e a cui auspico possano far seguito scelte ben orientate.

 

  1. 2.     In ascolto delle indicazioni della Chiesa

         In un contesto che potrebbe anche disorientarci con la molteplicità e complessità dei problemi che presenta, diventa per noi importante lasciarci orientare da quanto ci propone il magistero della Chiesa, in particolare quello di Papa Francesco. Vi ribadisco l’importanza di ascoltarne con costanza e fedeltà l’insegnamento con cui quotidianamente commenta la parola di Dio e con cui settimanalmente propone temi di catechesi e interpreta i fatti del mondo.

È trascorso un anno e mezzo dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris laetitia, la cui ricezione ci impegna tutti in un cambiamento, non di dottrina – come purtroppo talvolta si legge e si sente dire –, bensì di approccio pastorale, più accogliente ma anche più esigente sul piano del discernimento. Abbiamo cercato di accompagnare questa ricezione con diverse iniziative di formazione, per il clero e per quanti sono impegnati nella pastorale familiare. In alcune situazioni il discernimento si fa particolarmente difficile, per cui ho ritenuto di offrire a tutti noi un aiuto, designando alcuni sacerdoti e religiosi a cui riferirsi per un confronto da parte di persone e coppie che non si ritiene di poter accompagnare personalmente nel discernimento. Valorizziamo questa opportunità, cerchiamo di offrire un orientamento condiviso, secondo le linee indicate nelle iniziative di formazione, facciamo sì che ogni persona che ricorre a noi si senta accolta, ascoltata, accompagnata.

Si profila intanto un’altra Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, nell’ottobre 2018, che porrà a tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Sotto il coordinamento del Centro diocesano di pastorale giovanile – che ringrazio – abbiamo da poco completato la redazione del contributo della nostra diocesi con le risposte al questionario che chiudeva il Documento preparatorio. Il nostro contributo confluirà in quello della Conferenza Episcopale Italiana e concorrerà a formulare l’Instrumentum laboris dell’Assemblea, che sarà il punto di riferimento del confronto tra i Padri sinodali. In questo anno che ci separa dalla celebrazione dell’Assemblea, il Servizio nazionale per la pastorale giovanile ha elaborato un percorso di discernimento pastorale, di ascolto dei giovani e di proposta di un’esperienza formativa, che dovrebbe concludersi con un cammino sulle vie di fede del nostro territorio, per poi convergere tutti in una veglia di preghiera a Roma con il Papa. Questa proposta nasce anche in considerazione del fatto che non sarà facile, per ragioni di distanza e di calendario, che i giovani italiani possano partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù prevista a Panama a fine gennaio 2019. È una proposta che costituisce anche un’opportunità per riprendere, rafforzare, qualificare quanto facciamo e dobbiamo fare con i giovani. Vi esorto a rispondere con convinzione e impegno a quanto ci verrà indicato dal nostro Centro diocesano di pastorale giovanile.

Dalla Segreteria generale della C.E.I. ci è giunto negli scorsi mesi il testo Lievito di fraternità, il sussidio “sul rinnovamento del clero a partire dalla formazione permanente”, frutto di un percorso triennale di riflessione dell’episcopato italiano per orientare i preti in questo cambiamento d’epoca e sostenerli in una pastorale più missionaria. Lo abbiamo presentato nella nostra Assemblea di Monte Senario e ora deve diventare la guida degli incontri mensili vicariali del clero per questo anno pastorale. Raccomando di restare fedeli a questo impegno e di valorizzare al meglio questa opportunità che abbiamo di riflettere sulla nostra identità e sul volto nuovo che deve assumere il nostro ministero in considerazione dei tempi che viviamo.

 

  1. 3.     Nella nostra Chiesa fiorentina

         Rivolgendo lo sguardo alla nostra Chiesa, ritengo anzitutto di dover ringraziare il Signore per il grande dono che è stata la presenza tra noi del Santo Padre, per la seconda volta in poco tempo, questa volta per il pellegrinaggio alla tomba di don Lorenzo Milani nel 50° della morte. Un gesto di omaggio a questo nostro prete fiorentino, riservandogli quel riconoscimento dell’ecclesialità della sua azione che tanto egli aveva ricercato durante la sua vita. La sobrietà del gesto compiuto da Papa Francesco non ne sminuisce il significato, ma al contrario accresce l’intensità del messaggio che egli ha voluto dare alla Chiesa e, per quanto più direttamente ci riguarda, ai preti. Permettete che vi riproponga oggi le parole del Papa: «Mi rivolgo a voi sacerdoti che ho voluto accanto a me qui a Barbiana. […] A tutti voglio ricordare che la dimensione sacerdotale di don Lorenzo Milani è alla radice di tutto quanto sono andato rievocando finora di lui. La dimensione sacerdotale è la radice di tutto quello che ha fatto. Tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito. Sono note le parole della sua guida spirituale, don Raffaele Bensi […]: “Per salvare l’anima venne da me. Da quel giorno d’agosto fino all’autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire” [Nazzareno Fabbretti, “Intervista a Mons. Raffaele Bensi”, Domenica del Corriere, 27 giugno 1971]. Essere prete come il modo in cui vivere l’Assoluto. Diceva sua madre Alice: “Mio figlio era in cerca dell’Assoluto. Lo ha trovato nella religione e nella vocazione sacerdotale”. Senza questa sete di Assoluto si può essere dei buoni funzionari del sacro, ma non si può essere preti, preti veri, capaci di diventare servitori di Cristo nei fratelli. Cari preti, con la grazia di Dio, cerchiamo di essere uomini di fede, una fede schietta, non annacquata; e uomini di carità, carità pastorale verso tutti coloro che il Signore ci affida come fratelli e figli. Don Lorenzo ci insegna anche a voler bene alla Chiesa, come le volle bene lui, con la schiettezza e la verità che possono creare anche tensioni, ma mai fratture, abbandoni. Amiamo la Chiesa, cari confratelli, e facciamola amare, mostrandola come madre premurosa di tutti, soprattutto dei più poveri e fragili, sia nella vita sociale sia in quella personale e religiosa. La Chiesa che don Milani ha mostrato al mondo ha questo volto materno e premuroso, proteso a dare a tutti la possibilità di incontrare Dio e quindi dare consistenza alla propria persona in tutta la sua dignità» (Papa Francesco, Discorso commemorativo a Barbiana, 20 giugno 2017). E ha concluso: «E voi sacerdoti, tutti – perché non c’è pensione nel sacerdozio! –, tutti, avanti e con coraggio!».

Non aggiungo altro di mio: la strada su cui il Papa ci vuole è fin troppo chiara. Siamone degni. Da parte nostra uno sforzo ulteriore di comprensione della figura e dell’azione pastorale di don Milani cercheremo di metterlo in atto con il Convegno che la diocesi e la Facoltà teologica gli dedicheranno il 6 e il 7 ottobre. Vi invito a parteciparvi e a riflettere su quanto ci verrà proposto in quel contesto di studio.

I cinquant’anni dalla morte di don Lorenzo Milani, non devono far dimenticare che quest’anno sono anche quarant’anni dalla morte di Giorgio La Pira. La sua testimonianza e la sua lezione di laico credente devono trovare sempre un’eco nella nostra comunità, ecclesiale e civile. A questo speriamo possa concorrere anche il nuovo impulso del processo di beatificazione che ha fatto ulteriori passi con la consegna della Positio. L’auspicio è che non ritardi troppo quel riconoscimento delle virtù eroiche, che invece nello scorso mese di maggio il Santo Padre ha felicemente decretato per il cardinale Elia Dalla Costa, a cui ora dunque possiamo rivolgerci come venerabile. E lo stesso auspicio vale per gli altri nostri servi e serve di Dio, a cominciare da don Giulio Facibeni. A novembre proporremo di nuovo che le nostre comunità parrocchiali, in occasione della festa della dedicazione della Chiesa cattedrale, dedichino momenti di conoscenza e preghiera verso questi nostri testimoni della fede.

Al di là però di quanti sono destinatari di particolare venerazione con l’apertura di processi canonici di beatificazione e canonizzazione, è bene che nelle nostre comunità resti vivo il ricordo di quanti, clero, religiosi e laici, hanno dato testimonianza di fede, speranza e carità. Ritengo di non far torto a nessuno se, tra tutti, qui ricordo don Paolo Bargigia, la cui morte ha segnato così profondamente tutti noi. L’ho ricordato e lo ricorderemo come «un servitore del Vangelo, un testimone di Gesù, un sacerdote totalmente speso nel servizio ai fratelli», che, anche e soprattutto nella malattia, vissuta come «una vocazione nella vocazione», ci ha mostrato cosa significhi essere prete: «un amico di Cristo, un innamorato di Gesù, capace quindi di introdurre anche noi nell’amicizia di lui», l’identità che lo ha segnato «come pastore nella comunità parrocchiale, come educatore nella scuola, come missionario al servizio di una Chiesa sorella, come membro del nostro presbiterio, come sofferente testimone del valore della vita».

Nel nostro cammino conta molto poterci riferire a figure in grado di mostrarci esperienze di fede esemplari, ma non dobbiamo dimenticare anche le iniziative in grado di nutrire la riflessione di fede e la formazione spirituale. Come ogni anno avremo gli incontri proposti dalla F.I.E.S., con un programma molto interessante nei temi e qualificato nei relatori. Raccomando a tutti una presenza assidua e partecipe. La stessa raccomandazione vale per la settimana teologico-pastorale, che a gennaio vedrà una riflessione attorno ai temi dell’incontro, identità, dialogo e accoglienza. Da ultimo, su questo versante formativo, dopo la bella esperienza del pellegrinaggio dei preti diocesani in Terra Santa, prima di rinnovare una proposta simile nel 2019, per il prossimo anno vorremmo pensare a organizzare gli esercizi spirituali insieme per il nostro presbiterio.

Mi avvio alla conclusione, ma prima ritengo opportuno anticiparvi un cambiamento di governo in una delle realtà più significative della nostra Chiesa, la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale. Dopo due mandati, come da norma statutaria, il can. prof. Stefano Tarocchi conclude il suo incarico di Preside di questa istituzione accademica che è a servizio di tutta la nostra regione e non solo. Lo ringrazio per la saggezza, l’equilibrio e la dedizione con cui ha svolto il suo compito in questi anni. Lascia la Facoltà in una nuova e più consona sede, con un accresciuto numero di alunni, l’inserimento nel cosiddetto “processo di Bologna” per il riconoscimento di diplomi e crediti a livello europeo, gli accordi con diverse istituzioni teologiche nell’est europeo, la collaborazione con l’Istituto Universitario Sophia, la realizzazione di numerose iniziative culturali, tra cui ricordo la partecipazione con altre prestigiose istituzioni accademiche ecclesiastiche alla Summer School di Archeologia e Geografia Biblica a Gerusalemme, il dialogo promosso con l’Accademia di Studi Teologici di Volos della Chiesa ortodossa di Grecia, la partecipazione di studenti della nostra Facoltà alle ricerche promosse nella Grotta 11 di Qumran dalla Facoltà Teologica di Lugano e dall’Università della Svizzera Italiana di Lugano, diversi convegni di studio e di confronto tra cui la recente Conferenza europea su formazione del clero e prevenzione degli abusi sui minori. All’inizio del mese di ottobre, sulla base delle indicazioni offertemi dal Consiglio di Facoltà e avendo ricevuto il nulla osta della Santa Sede, nominerò quale nuovo Preside della Facoltà il mons. prof. Basilio Petrà, della diocesi di Prato, studioso di teologia morale ben noto e apprezzato. Nel ringraziarlo per la disponibilità a svolgere questo servizio, gli formulo i miei migliori auguri.

Concludo con alcune parole sul Cammino sinodale, che segna la vita della nostra Chiesa in questo e nei prossimi anni. Esso ci propone a breve un appuntamento che spero vedrà la partecipazione numerosa delle nostre comunità: l’apertura della prima fase del Cammino, quella che avrà come protagoniste quest’anno comunità parrocchiali e aggregazioni ecclesiali. Ci ritroveremo nella Celebrazione eucaristica in cattedrale il prossimo 1° ottobre, preceduta dai quattro pellegrinaggi che ci vedranno confluire, attraversando il battistero, dalle quattro basiliche della città.

Quanto poi al significato del Cammino, come ho più volte ribadito, con esso vogliamo raccogliere la sollecitazione del Papa a Firenze di prendere in mano l’esortazione apostolica Evangelii gaudium per leggere, secondo le sue prospettive di discernimento, la situazione in cui viviamo per individuare direzioni di rinnovamento della nostra azione pastorale in senso missionario. Non essendo un Sinodo, non abbiamo come obiettivo giungere a decisioni comuni, e neppure vogliamo istituire modalità uniformi per procedere nel discernimento. Il nostro proposito è quello di mettere tutte le comunità, nelle forme che ciascuna riterrà più opportuna, in un processo di discernimento ecclesiale delle situazioni e di orientamento missionario. Intendiamo anche promuovere in seguito forme di ascolto che intercettino non solo chi frequenta la nostre comunità, ma anche i diversi soggetti sociali del territorio.

In concreto si tratta di leggere con attenzione il testo dell’Evangelii Gaudium attraverso la lente del discorso del Papa al Convegno ecclesiale nazionale del novembre 2015. In particolare si tratta di ripensare la nostra vita pastorale alla luce delle scelte di fondo che vengono indicate in questo discorso: essere una Chiesa di popolo; la condivisione dell’opzione per i poveri; lo stile di incontro, ascolto e dialogo; essere una Chiesa “inquieta” e “in uscita”. Alla luce di questa lettura provare a individuare le emergenze culturali, sociali, pastorali e spirituali del nostro ambiente. In base ad alcune priorità condivise cercare di formulare scelte innovative, che permettano di uscire dalle secche di una pastorale di conservazione verso una pastorale di missione.

Chiedo a tutti di entrare con fiducia in questo Cammino. Sono convinto che, con il coordinamento del Comitato di sensibilizzazione e degli Animatori sinodali, saremo capaci di vivere un’esperienza che ci permetta di essere fedeli al mandato che abbiamo ricevuto dal Papa: «Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio. Ne sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese» (Papa Francesco, Discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze 10 novembre 2015).

 

Giuseppe card. Betori

Arcivescovo di Firenze