Toscana

Caritas toscane in Emilia in visita alle parrocchie colpite dal terremoto

Dopo questa prima doverosa azione le diocesi si chiedono: ora che cosa facciamo? L’esperienza ormai collaudata negli anni ha trovato la risposta nei gemellaggi. Già nel terremoto del Friuli la formula vincente che fece crescere la solidarietà tra chiese fu  proprio quella del gemellaggio. Questa forma è stata rivissuta con il terremoto del L’Aquila che ha dato alcuni risultati, consapevoli che più il gemellaggio è voluto dalle due parti e più è proficuo. L’intenzione di Caritas Italiana è rinnovare questa forma di vicinanza anche con l’Emilia Romagna. Alle Diocesi toscane sono state affidate le parrocchie di Concordia, san Possidonio, Fossa e Vallalta della diocesi di Carpi.

Venerdì 13 una delegazione regionale della Caritas composta dal Vescovo incaricato dalla Conferenza episcopale toscana monsignor Riccardo Fontana, dal delegato don Renzo Chesi, dal direttore della Caritas di Prato Idalia Venco, da due vicedirettori della Caritas di Firenze Andrea Gori e don Fabio Marella e dal direttore della Caritas di Siena Giovanni Tondo, si è recata a far visita ai parroci delle parrocchie assegnate per esprimere la vicinanza e per dare la disponibilità di un cammino da fare insieme le Caritas della Toscana e le parrocchie emiliane.

Per il momento non è stato possibile capire quale sia il cammino da percorrere, però ci è sembrato opportuno compiere questo primo gesto. Forse prima del fare c’è da costruire l’essere in comunione. Il contatto con i sacerdoti che ci hanno accolto insieme al vicario generale della Diocesi al direttore della Caritas di Carpi e al delegato regionale dell’Emilia Romagna è stato molto significativo. Alcuni della nostra delegazione adesso riporteranno su questo giornale quanto è rimasto a loro impresso in questa prima visita.

Quello che abbiamo visto

Dopo la giornata passata con gli amici della delegazione regionale della Caritas Toscana in alcune parrocchie terremotate della diocesi di Carpi con cui siamo gemellati, durante il viaggio di ritorno mi risuonava nella mente un versetto di Marco: «Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia» (Mt 7,25). Sembra paradossale avere un pensiero del genere davanti alle immagini viste poco prima: interi centri storici devastati e chiese distrutte, fabbriche inagibili, tendopoli che ancora stentano ad essere abbandonate per paura o necessità, oltre al ricordo sempre vivo di tante povere persone che sono morte durante le due scosse. Certo tutto questo è avvenuto, però la popolazione non si è fermata, la vita civile si sta riorganizzando e le comunità cristiane non si sono arrese: anche se i muri non ci sono più, è rimasta una popolazione che non si vuole arrendere. Questa è la roccia: la volontà e la fede della gente.

Prima tappa del nostro viaggio è Concordia: il parroco, don Franco, 52 anni di ordinazione, da 30 anni vive in paese. Egli ci aspetta per strada, subito ci fa vedere la casetta di legno che attualmente è l’Ufficio parrocchiale e ci fa accomodare nella tenda adibita a chiesa, dove così racconta: «Ringrazio il Signore che non mi ha favorito, ho perso anch’io tutto, come la mia gente. Andrò nella casette prefabbricate come loro, attualmente vivo da mia sorella, dal crollo non ho salvato niente; stamattina per la vostra visita vi confesso che non sapevo cosa mettermi».

Proseguendo, egli dice: «Ho visto crollare tutto: la chiesa è crollata interamente, la canonica è inagibile come pure le case del centro storico, dove vivevano anziani, ma anche tanti stranieri che adesso sono costretti a vivere nelle tendopoli che la protezione civile della Toscana e del Lazio hanno preparato, qui vicino. Ammetto che, quando mi guardo intorno, vedo che c’è tanto da rifare e allora provo dei momenti di angoscia, specialmente nel pomeriggio: allora faccio un giro e tutto passa».  Cambiando discorso, egli continua: «Quello che adesso mi preme è che prima possibile possiamo avere un luogo per pregare: infatti attendiamo una nuova sistemazione, in un’area libera individuata dal Comune, in cui saranno sistemati il municipio e la chiesa prefabbricata».Don Franco ci ha fatto notare poi che per lui è fondamentale non sospendere l’attività pastorale, specialmente per i giovani: «un’ interruzione anche breve dell’attività può voler dire abbandono senza ritorno della loro vita parrocchiale» ed è per questo motivo – sottolinea il parroco – «che i campi estivi li abbiamo mantenuti, come le altre cose programmate». Concludendo prima di salutarci egli osserva: »Io non riuscirò a vedere la nostra chiesa rifatta, ci vorranno molti anni, però mio dovere è gestire questo momento difficile, affinché alla gente sia data la possibilità di entrare in una chiesa a pregare come faceva prima». Fondata sulla stessa «roccia» è anche la comunità di San Possidonio con il suo parroco don Aleardo, di 77 anni, che racconta: «Poco prima del terremoto stavamo terminando la ristrutturazione della chiesa e poi tutto è finito. Attualmente dormo all’asilo in una brandina, anche la canonica è stata danneggiata. Quello che mi dà pensiero sono gli abitanti che sono andati via, oltre 200, molti anziani e giovani stranieri: spero che trovino un alloggio al loro ritorno». Anche don Aleardo dopo un momento di sconforto riprende a raccontare: »La parrocchia però non ha interrotto la sua attività pastorale». Puntualizza poi Remo, responsabile della Caritas parrocchiale: «Con le scosse del terremoto siamo rimasti senza parrocchia perché la chiesa è crollata, la canonica è inagibile, in quanto adiacente alla chiesa e questa ha un muro che può cadere da un momento all’altro sulla canonica facendola crollare e tirandosi dietro lo stabile del municipio attaccato a questa. La villa è crollata e questo era il centro parrocchiale per tutte le attività. Ora le attività della parrocchia sono sotto un tendone; nonostante tutto questo siamo riusciti a far partire il centro estivo: domenica i ragazzi dell’ACR partiranno per un campo sulle montagne del Trentino». Anche in questa comunità è evidente dunque la voglia di non arrendersi. Prosegue Remo: «La quarta domenica d’agosto si svolgerà la sagra del Crocifisso, purtroppo senza il crocifisso storico, perché quest’ultimo si è sbriciolato con la caduta della chiesa; però la sagra si farà lo stesso, anche se in modo diverso e con più ristrettezze». Come sappiamo, anche tanti capannoni e fabbriche sono state lesionati, ma Remo sottolinea: «Chi ha dei capannoni o delle case lesionate si è messo a ripararle. I gesti di solidarietà sono stati tanti fin dai primi momenti: con la prima scossa della domenica ben 180 persone hanno trovato alloggio e cena presso la palestra, anche questa resa inagibile con la seconda scossa».

Spostandoci in macchina da un paese all’altro, fino a Fossa da don Mario, ci siamo poi resi conto dei danni che il sisma ha provocato, ma ovunque c’erano persone che più che con le parole con gesti concreti evidenziavano la voglia di non arrendersi!

Il servizio di Tsd http://youtu.be/FMKNRgs-BRI