Prato

Casa Francesco: «Ecco come siamo tornati a sorridere»

E poi li ha visti tornare a sorridere. Dopo la separazione dalla moglie, dopo i mesi nella stanza in affitto – «i bambini no, non possono restare a dormire» -, dopo la fila alla mensa La Pira e la spesa all’Emporio «quando a cena avevo i miei figli». D’un tratto, li ha visti tornare i bambini che sono: spensierati, rilassati. «E per me, padre separato, il rapporto con i miei figli è la cosa più importante, è quello che mi ha spinto in questi anni, giorno dopo giorno, a farmi forza e andare avanti». La svolta nella vita di Massimo è arrivata lo scorso maggio, con l’ingresso a Casa Francesco, la struttura gestita dalla Caritas diocesana, adiacente all’oratorio cittadino di Sant’Anna e dedicata ad ospitare padri separati con difficoltà economiche. Prima di entrare a Casa Francesco la vita di Massimo somigliava a tante storie di oggi, quelle che non fanno rumore e che in silenzio vengono definite «nuove povertà». Quelle storie – e sono tante – di genitori, padri soprattutto, che la separazione coniugale e la crisi economica trasformano di colpo in persone non più in grado di provvedere a se stesse. «È iniziato tutto nel 2011, con la rottura, subita e non cercata, con la mia compagna; – racconta Massimo, 49 anni, libero professionista – dovevo pagare il mutuo della casa, l’affitto e il mantenimento dei figli. Siccome non eravamo sposati, la legge mi imponeva degli obblighi ancora più onerosi». Per un po’ va avanti, prende un appartamento in affitto e continua a vedere i figli – 7 e 9 anni – con regolarità. «Poi a un certo punto gli affari hanno subito un calo. Più che altro, da lavoratore autonomo, avevo soprattutto problemi a farmi pagare». E così, quello che in coppia potrebbe essere un transitorio periodo di difficoltà da superare insieme, da soli finisce per essere un pantano in cui si sprofonda senza intravedere via d’uscita. «Ho lasciato l’appartamento e mi sono trasferito in una camera in affitto, – racconta ancora – ma lì ai miei figli non era permesso di rimanere a dormire, e io non facevo altro che ripetere loro di non alzare la voce, di non fare questo e quello… Era un divieto continuo che non ci rendeva sereni. Ma, in quel momento, era l’unica soluzione che riuscivo a permettermi». Nel frattempo ogni occasione è buona per risparmiare qualche soldo: «Mi hanno preso in carico i servizi sociali anche se per un lavoratore autonomi accedere ai contributi sociali è ben più difficile che per un cassaintegrato. Ho fatto la tessera per fare spesa all’Emporio della Solidarietà, qualche volta sono anche stato tra le centinaia in fila alla mensa La Pira». Fino a che un giorno, per caso, legge sul giornale di Casa Francesco, «una casa vera, dove avrei potuto tenere con me i bambini, passare insieme a loro le serate e farli restare a dormire con me: tornare alla vita normale». E così fa domanda. La trafila è relativamente breve: il colloquio alla Caritas, la verifica delle informazioni fornite, «a metà aprile ero lì. Ed è stata una salvezza. I bambini erano contenti, ci stavano volentieri. Li ho visti rifiorire». Una struttura semplice, ma dignitosa: un appartamento con quattro camere, una per ogni ospite; ciascuna di esse è fornita di bagno privato e dispone di letti (da uno a tre) per ospitare i bambini. Il soggiorno, con la televisione grande, il divano e le poltrone, è in comune. E poi la cucina, in cui ognuno ha i propri fornelli, il lavello, lo scolapiatti, la credenza e il frigo. Per avere la massima autonomia possibile. Il tutto, dietro pagamento di un affitto simbolico, ben lontano dai prezzi di mercato, «in un’atmosfera rilassata, che anche con gli altri babbi è stata subito collaborativa. Per me – ripete Massimo – questa è stata una scoperta inaspettata. Una boccata d’ossigeno che mi consente, in questi mesi di permanenza qui, di rimettere in sesto le finanze per ripartire in autonomia. E poi mi piace il clima che c’è. Piace anche ai ragazzi». Sabato scorso, in oratorio, è stata organizzata una pizzata: Massimo è stato coinvolto per stare ai fornelli. «Ho avvertito i miei figli e loro mi hanno chiesto di poter venire con me e servire ai tavoli con gli altri ragazzi. Siamo stati insieme tutta la sera, sereni come da tempo non succedeva, e dopo mesi, insieme, siamo tornati a sorridere».