Vita Chiesa

C’erano una volta i Gesuiti in Toscana

di P. Ennio Brovedani sjDirettore istituto Stensen – Firenze

Dopo Follonica, Grosseto e Livorno, i Gesuiti lasciano anche Firenze, dove, a parte il breve periodo della soppressione dell’ordine (1773 – 1814), sono presenti fin dal 1546 e nell’attuale residenza di Via Silvio Spaventa n. 4 dal 1895. La residenza e la relativa Chiesa di S. Maria del Buon Consiglio sono state chiuse, in attesa di una diversa destinazione, preferibilmente formativa. Per i prossimi anni, la presenza dei Gesuiti si limiterà alla direzione e programmazione delle attività culturali della Fondazione Stensen.

La sofferta decisione di abbandonare Firenze, dopo circa cinque secoli di permanenza e a prescindere dalle possibili e discutibili ragioni, suscita ovviamente diversi sentimenti, dallo sconcerto alla tristezza, ma anche, da parte di molti fiorentini, impotenza e disorientamento per la perdita di un bene personale e collettivo che ha inciso non poco nel percorso di formazione personale di molti credenti e non. È risaputo, infatti, che molte persone di diversa provenienza e condizione sociale riconoscono l’alta valenza formativa dei percorsi spirituali e culturali proposti dai padri gesuiti. Per consolidata tradizione, che trova il suo fondamento nella dinamica della spiritualità di S. Ignazio di Loyola (1491-1556), i gesuiti si sono sempre dedicati alla formazione umana, quale maturo esito di un discernimento spirituale. Questa vorrebbe essere la loro identità specifica, anche se oggi il profondo mutamento culturale e globale in atto esige una riformulazione di concetti, contenuti e metodi.

Se ripercorriamo la storia della presenza dei gesuiti in Toscana, nel corso dell’ultimo secolo si sono sviluppati numerosi luoghi e gruppi convinti dell’alta valenza formativa della metodologia ignaziana del discernimento spirituale, come prezioso strumento di crescita personale, ma anche di possibile orientamento nelle situazioni esistenziali e sociali complesse e, oggi, più che mai inedite. Sorge pertanto un profondo senso di impotenza e di precarietà, che non sembra riconducibile a delle precise responsabilità, ma semmai a una nostra difficoltà a interpretare i mutamenti sociali e culturali in atto e ad elaborare delle strategie conseguenti. È un problema globale che coinvolge soprattutto le nuove generazioni e ancora di più la Società, la Politica e la Chiesa.

La drammatica carenza di «risorse umane» è la principale ragione che ha portato alla decisione di praticamente abbandonare Firenze. Sicuramente ha influito il crescente calo delle vocazioni religiose nel corso di quest’ultimo ventennio, ma anche la difficoltà, a volte dolorosa, di inserimento dei giovani, spesso portatori di sensibilità, interpretazioni, proposte e valori in conflitto con le generazioni precedenti, senza escludere la delicata gestione della precarietà e delle fragilità o insicurezze personali. Il mancato ricambio generazionale, che ci fa sentire come una grande famiglia senza figli, non è un fenomeno esclusivamente italiano. Esso è riscontrabile in tutti i Paesi a cultura e economia Occidentale (Europa, Usa, Australia, in parte anche Sud America) e in tutti i grandi ordini religiosi (Francescani, Domenicani, Salesiani, ecc.). Ma è anche il riflesso di una crisi generale di identità culturale e di appartenenza, in ragione della crescente denatalità e dell’impatto della cultura scientifico-tecnologica sulle visioni tradizionali del mondo, con effetti di destrutturazione da un lato e di induzione di nuovi valori e possibilità operative dall’altro. Ci vorrà ancora del tempo per comprendere la natura e la reale reversibilità del processo. Molto dipenderà anche dalla Chiesa, dalla sua capacità di essere meno «ingabbiata» da rigidità dogmatiche e più ispirata da quel profondo senso dell’umano che ci ha insegnato Gesù Cristo e che ha convinto molte persone a spendere la propria esistenza a servizio del prossimo.

Sono anche maturi i tempi perché siano i laici stessi a divenire promotori di attività spirituali e religiose. Oggi, per fortuna, disponiamo di tecnologie sempre più efficaci e anche sostenibile per realizzare delle efficienti reti comunicative che consentano la progettazione e la proposta di percorsi di formazione umana e spirituale di qualità, possibilmente adeguati alle domande e alle aspettative. La vera sfida sarà la capacità di tradurre il linguaggio della Tradizione in modo comprensibile e convincente per le giovani generazioni.

La cultura e la fondazione Stensen restano pertanto il luogo dove la Compagnia di Gesù intende ancora impegnarsi e spendersi con le sue poche risorse residue. L’ambizione dello Stensen è sempre stata e continuerà ad essere quella di proporsi quale luogo di elaborazione culturale del sapere prodotto dalle diverse Istituzioni di Ricerca, una «interfaccia» tra credenti e non credenti che si interrogano sulle nuove e a volte inediti problematiche della società e cultura contemporanee, attraverso la proposta di ricerche e percorsi pluri e interdisciplinari. L’inter-religiosità e l’interculturalità, infatti, rappresentano due aspetti che condizioneranno sempre di più le tensioni e le dinamiche sociali dei prossimi decenni, in ragione dello sviluppo di Internet e della crescente globalizzazione della comunicazione. I giovani, soprattutto, devono imparare a convivere con una pluralità di culture e religioni e interiorizzare il principio etico del rispetto della dignità culturale altrui, quale prerequisito di un’autentica promozione umana. Presso la Fondazione Stensen sono già stati proposti vari percorsi in proposito.